domenica 13 luglio 2008

L'euro forte con l'inflazione

Il carovita col caromoneta, che storia è questa? Un tempo l’inflazione portava svalutazione, i due fenomeni si compensavano, sia pure non in modo virtuoso. Oggi l’inflazione va con la rivalutazione, e anzi per troppi aspetti ne è l’effetto: non sarà l’euro, invenzione senza precedenti, ad aver creato questa miscela senza precedenti? Insomma: non sarà l’euro, questo euro, la causa dell’inflazione?
La situazione è inedita. Ma l’euro è inedito. E più ancora la pervicace stolidità monetarista che gli sta dietro – che si imputa alla Bundesbank, ma i tedecshi da tempo hanno preso le distanze dalla ideologia dell’euro. Che cosa giustifica la forza dell’euro se non un’errata politica monetaria, che si vorrebbe a protezione dall’inflazione? Non la produttività, che in Europa cresce meno che negli Usa e nelle nuove potenze asiatiche, e in alcuni paesi europei, Italia in testa, è stagnante da un quindicennio. Non il diverso potere d’acquisto, comparativamente inferiore in Europa rispetto all’area del dollaro, anche molto inferiore. Non, evidentemente, il ritmo della crescita economica, che in Europa raramente passa l’1 per cento. È un fatto di reflazione forzata e insensata, di cui l’Italia ha già fatto le spese nel 1992, quando una politica di rivalutazione della lira sul marco portò al disastro.
Si dice il contrario: l’euro forte ha attutito i rincari internazionali dei beni che si negoziano in dollari, petrolio e materie prime alimentari. Ma la verità è che la causa prima di questi rincari è un euro troppo forte rispetto alla moneta che fa i valori delle materie prime. È l’assenza di una politica nei confronti del dollaro che non fosse il tasso divaricante d’interesse, al punto da raddoppiare-dimezzare il tasso di cambio in pochi mesi. Anche nel caso, che piace in Italia, che il dollaro sia stato di proposito indebolito dalle autorità americane, dalla Federal Reserve in combutta con la presidenza: a ogni riduzione dei tassi Usa, se reputata competitiva, si doveva rispondere con analoga riduzione dei tassi Ue.
Si dice che i tassi elevati sono una barriera contro l’inflazione. Ma il contrario è pure vero: gli Usa non hanno più inflazione della Ue, col dollaro debole, e mantengono la crescita, della produzione e dei consumi. Né è peggiorata l’inflazione delle grandi economie asiatiche agganciate al dollaro, che anch’esse subiscono il caro petrolio e il caro materie prime.
La politica dell’aloofness sul dollaro è più imbelle o suicida? Non riconoscere il dollaro, l’area del dollaro, dove si esprimono il benessere e la crescita mondiali e si fanno gli affari, è insensato. Dacché ci sono le politiche monetarie si è sempre puntato al concerto, all’incontro, alla massimizzazione degli interessi reciproci, se non all’accordo. A meno di non farsi la guerra. Che l’Europa non vuole e non sa fare. Perfino l’avida Francia di Poincaré riconobbe il diritto della Germania alla stabilizzazione dei prezzi e a una politica monetaria. L’Europa invece, che si vuole cattivissima, sull'euro s’è lasciata intrappolare dagli americani, che essa ritiene di disprezzare - si sa come è andata: gli Usa hanno coniato la “Fortezza Europa”, uno slogan, con le solite idiozie del mercato di quattrocento milioni, dei primati, della storia, etc., e l’Europa ci ha creduto. L’Europa ha creduto e crede di poter fare da sola, sputando sulla globalizzazione.
In passato avevamo l’inflazione e la svalutazione. Il meccanismo si riproduceva perversamente, ma non incrudeliva come ora contro i pensionati e i salariati. Oggi la politica monetaria si vuole onesta, leale ai propositi, ma non ha rotto la spirale. La riproduce anzi, per altre ragioni, in altre forme, raddoppiando il danno. Anzi, lo triplica: il reddito fisso paga il carovita, il carodenaro, e l’economia ferma, senza investimenti, con meno occupazione e meno reddito, complessivo e per occupato. Cos’altro è un disastro?

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