Ermanno Rea è persona squisita ma napoletano verace. Le due qualità vanno distinte oggi, ammesso che la seconda sia ancora una qualità. Ermanno Rea non è il napoletano che può ritrovarsi nello sfacelo incredibile della sua città, di mediocrità prima che di violenza, e di violenza saputa, dritta, che si rispecchia nella produzione di immondizia morale. Ma vive sempre e solo la sua città, tra lo stereotipo del nonno a Caporetto, e il protagonista naziskin alla stazione centrale, affettuosamente chiamato Caracas, che ha 55 anni. La scrittura pure è partecipe, e il rifiuto è stato repentino allo Strega, che già aveva vinto, a favore di Paolo Giordano, che di anni ne solo 25 e viene da Torino.
E non solo i premi, anche le classifiche (vengono prima le classifiche o i premi?), nei quali Napoli non si può dire che non eccella da qualche tempo, lo escludono. I napoletani su Internet lo dicono “bello, malinconico, struggente”, gli altri spernacchiano. Si aggiunga che Ermanno Rea si dice, Virgilio o Dante?, “cariatide comunista”, e si completa il rifiuto.
Essendo “Napoli Ferrovia” un quasi premio Strega si vorrebbe anche parlare di letteratura. Di personaggi, storie, scritture - il réportage sceneggiato che è la specialità dell’autore. Insomma della meraviglia del leggere, e del narrare. Ma Napoli purtroppo è sovrastante, per questa sua invadente, sconfinata, perfino orgogliosa, immondizia morale, nella politica, la magistratura, l’economia, il sindacato, nel popolo alto e basso, nella criminalità, e perfino tra gli intellettuali. Non Salerno, o Benevento, o Avellino, dove persone di rara virtù e competenza fanno ogni giorno il loro lavoro, ma l’asse Caserta-Napoli-Ercolano, che è anche l’area a più alta concentrazione di manufatti artistici e naturali dell’umanità. Si vorrebbe poter dire coraggio!, fate uno sforzo, se Napoli non fosse così supponente.
Ermanno Rea, Napoli Ferrovia, Rizzoli, pp 340, € 19
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