C’è molta storia in questo che in fondo è un libro d’occasione – Colafranceschi, ricercatore di Storia contemporanea a Roma tre, è ora funzionario aziendale – in veste prestigiosa fuori collana. Un ristorante autostradale che fu un’invenzione lessicale, e poi ha impersonato il “non luogo” postmoderno. Che però è un fatto, e da solo il postmoderno riconfina alle spiritosaggini intellettuali.
Un fatto molteplice, Colafranceschi sa fare la storia di quello che in definitiva è una bottega. Un fatto di architettura, legata alla funzione e al marketing. Di dieta e industria agroalimentare, il cibo avendo ricollegato al territorio - l'autogrill è, malgrado tutto, la fine del quarto di pollo e della cotoletta freddi del cestino da viaggio. Di etica nel lavoro: di applicazione personale, d’intelligenza del mercato, di cura. In una bizzarra escursione nell’Archivio Storico Eni, esito forse di un precedente impianto della ricerca, Colafranceschi riesuma dalle interviste storiche raccolte dall’Ente negli anni 1980 un ingegnere Ghellini che, nei dieci anni in cui lavorò con Mattei, non fece mai ferie, lui come gli altri, e chi se ne stava stravaccato al sole anzi gli sembrava stranissimo. Ghellini testimonia la cura maniacale con cui il fondatore dell'Eni voleva che i suoi ispettori controllassero le stazioni di servizio.
Il fatto è anche di politica e grandi affari. Qui però, da parte di Colafranceschi, con cautela (e qualche disattenzione: l’acquisto Eni di Montedison è del 1968). La storia si è fermata al 1974. La crisi del petrolio impone austerità, e che prova più significativa di austerità che bloccare la costruzione di autostrade, tratte autostradali e trafori? Ma dieci anni dopo il pil torna a crescere, del 2,5 per cento l’anno. Nel 1987 l’Italia sarà quarta potenza economica mondiale, avendo superato la Gran Bretagna. I punti di ristoro autostradali, ora tutti in mano pubblica, configurano un colosso dell’alimentazione, la Sme. Nel 1986 la Sme, fortemente ricapitalizzata dal presidente dell’Iri Romano Prodi e fortemente in utile, è ceduta a Carlo De Benedetti. La vendita non andrà a buon fine e il gruppo sarà smembrato. Ma vendita è termine improprio, la cessione era un regalo: Prodi dava la Sme a De Benedetti, con una finta compravendita in cui lo Stato non incassava nulla, e De Benedetti si prendeva il gruppo, con una dote (un prestito non oneroso) di trenta miliardi.
In un libro d’occasione di queste cose non va bene probabilmente parlare, forse per questo Colafranceschi perde qui l’occasione di aprire un altro fatto importante. Uno anzi che, insieme col referendum sulla giustizia l’anno successivo, porterà al sovvertimento dell’Italia. All'apparenza giudiziario, in realtà economico e di potere: la conquista dell'Italia da parte di Milano. Il “non luogo” insomma è ancora l’Italia degli storici. Ma ogni vuoto è destinato a riempirsi. Di che ne dà premonizione (una delle tante possibili, certo) Ballard nel suo ultimo romanzo, “Kingdom come”, il regno a venire. Il protagonista Richard Pearson, pubblicitario, ne dà la ratio in apertura: i pubblicitari credevano i non-luoghi “posti trasfigurati dai prodotti”, da “marchi e loghi che davano un senso” all’esistenza delle vaste periferie umane, mentre essi invece “in qualche modo si ribellavano, diventavano eleganti e sicuri, il vero centro della nazione”.
Simone Colafranceschi, Autogrill. Una storia italiana, Il Mulino, pp.125, € 16
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