Andranno a processo, dopo tre anni, gli spioni di Telecom. Con santini commossi – quello del “Corriere della sera” è da storia del giornalismo – per l’impavido giudice Napoleone, nomen omen. Che però non dice l’essenziale. Per conto di chi l’apparato Telecom di Tavaroli spiava i telefoni di cinquemila persone? Spiava "Roma ladrona" certo, ma a favore di quale amante della verità, sia pure diabolico? E perché è morto Adamo Bove, ex commissario di Polizia, con una carriera all’Antimafia, che lavorava in Telecom ma non gradiva il lavoro sporco, uscito di casa per andare a comprare un tubo per la lavatrice?
Ai lettori anche distratti restano però due certezze, non lusinghiere. Certo è che l’azienda non se ne avvantaggiava, né la sua controllante Pirelli. Se non per goliardia, nei casi di Moggi, Pairetto e Vieri, dato che Tronchetti Provera, padrone di Pirelli e quindi di Telecom all’epoca, è il primo o secondo tifoso dell’Inter – ma non tanto goliarda, visto le legnate che la Juventus ne ha avuto. Certo è anche che le inchieste che non devono arrivare a una verità sempre sono in carico a Milano. Da piazza Fontana in poi, migliaia di bombe senza colpevole, Calvi, la Sme, la Rcs, l’imbroglio di Mani Pulite, i bilanci truccati del calcio, e gli stessi processi innumerevoli a Berlusconi.
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