Tremonti sembrava destinato all’intoccabilità dopo lo strabiliante successo alle elezioni della Lega, ma in pochi mesi la palude romana ha ripreso ad asfissiarlo, e non l’ha già sommerso. C’è già chi si prepara un invito a palazzo Koch da Draghi, come già fece Fini con Fazio, il governatore destituito della Banca d’Italia che era cinque anni fa il dichiarato nemico di Tremonti.
I centri romani “di opposizione” sono sempre gli stessi: la Banca d’Italia con la sua potenza di opinione, il mellifluo Letta, che governa palazzo Chigi, e Fini con i suoi colonnelli. Il ricorso a Draghi dice tutto. Il governatore, come già Fazio, non nasconde l’ambizione di sostituirsi a Tremonti. Ma in un governo senza Berlusconi, Draghi è un dichiarato Democratico. È però anche l’uomo di Gianni Letta, la luce dei suoi occhi – Letta che, se non Andreotti, è il maestro di Gianfranco Fini.
Sarà più difficile ora giubilare Tremonti. Non perché Draghi possa meno di Fazio, ma perché Berlusconi ancora conta. Legge i numeri e sa che senza Lega non ha maggioranza. Ma gli avvisi si accumulano sulla testa del superministro, in privato come usa a Roma: un tempo nei salotti, ora nelle trattorie, le gelaterie e al telefono – sì, malgrado le intercettazioni, se non a loro beneficio. Non si può vendere il patrimonio pubblico, nemmeno la caserme e le case vuote. Non si possono bloccare le assunzioni. E non si possono tassare i petrolieri: è dannoso, e poi è inutile – in questo rinfoltendo i ranghi con l’opposizione Democratica.
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