astolfo
Anglofonia – L’epoca è ovviamente anglofona, nella lingua e nella letteratura (nei modelli, le strutture narrative, i generi, e nella produzione, l’immagine, le tecniche di vendita), nel linguaggio e negli stili di vita, nella pubblicità, nel cinema, nella musica. Lo è anche quando si vuole il suo contrario, no global. Lo è in qualsiasi espressione anglofona, dagli Usa alla Cina di Hong Kong, Singapore e Londra, all’India, e anche allofona.
La globalizzazione linguistica è pro tempore, parte delle oscillazioni del gusto? Già pregiudicata dal rifiuto no global? No, l’opposizione integra in questo caso il dominio – è un no che la stessa globalizzazione si costruisce. Il dominio è lì per durare, poiché fissa un’epoca radicalmente diversa, in cui l’Europa, che faceva la storia, d’improvviso si eclissa.
È la liberazione dalla teutonicità, febbrile quanto inconcludente, che fu l’acme, per quanto prolungato, del nazionalismo, dell’ideologia dei primati nazionali, nel disegno vittoriano prima, e poi tedesco. Brillante nelle soluzioni tecniche, la Germania si è perduta – e ci ha perduto – nella coscienza politica, la coscienza di sé. Dietro una serie d’invenzioni assurde. Per ultimo si è persa nell’“impolititicità”, l’assurdo odio contro l’“anglosassone”. Che, per quanto anch’esso inventato, si è rivelato ben più consistente dell’“ariano”. Il senso acuto di debolezza e inconsistenza dell’Europa deriva da questo ritardo, a riprendere, dopo due secoli e mezzo di vaniloqui, la sua ultima filosofia. Che fu scozzese.
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Borghesia – È elusiva. Si è difesa, bene, grazie a Marx che l’ha messa in guardia (ma i sovietici erano proprio bestie), ma è sempre stata inconsistente. Come “valori”, come blocco politico, come opinione pubblica.
Marx l’ha compattata e magnificata, come sempre fanno gli agenti provocatori, ingigantire il nemico, e questo è tutta la storia. Che, se è finita, è perché è la fine della borghesia.
Che cosa sarebbe la borghesia? Il profitto? La peggiore – la più dura – borghesia è dove non c’è profitto. Nemmeno l’avidità la connota, il colonialismo lavorava in perdita netta. Nessuno dei valori che s’è inventati e nei quali si crogiola è consistente: il sacrificio, l’applicazione, l’onore, l’innovazione.
Femminismo – C’è più donna nella letteratura maschile, anche in quella frivola di Fine Secolo (Ottocento), sulla sua psicologia, le attitudini, i languori, la procreazione, la famiglia, l’avventura, la stessa liberazione, che in quella femminile e femminista odierna. Dove anzi c’è una sola donna, nevrotica. Che la sua nevrosi coltiva, figurativamente ed effettualmente, attorno alla sua differenza, che uso farne.
Francia – La stabilità del francese è eccezionale: si scrive oggi come si scriveva nel Settecento – si scriveva nel Settecento come si scrive oggi. Immutabile è allora, con i suoi linguaggi, anche la società in questi tre secoli. Malgrado le guerre e le rivoluzioni.
La stabilità non può essere sociale. Ma certo è intellettuale. Un’eccezionalità, quindi, da fare paura, l’immobilità
Medio Oriente – È doppio e triplo. Per natura? Per convenienza? Per pigrizia?
Israele s’intende con Hamas. E perché non dovrebbe? S’è intesa anche con Arafat. Ci sono dei dati di fatto anche nel Medio Oriente, e uno di questi è dare un qualche posto ai palestinesi, non si possono cacciare e via.
Ma è vero che l’invenzione supera sempre la realtà, e che quindi quell’area va guardata a distanza. Il che non vuol dire con minore preoccupazione, ma anzi, se possibile, con più preoccupazione. Perché, senza scadere nel complottismo, davvero parecchi punti stonano.
Così c’è il re di Bahrein che manda ambasciatore all’Onu una signora ebrea. Che era anzi deputata, per la minoranza ebraica, al suo Parlamento. E che l’emiro si è andata a cercare, non c’è minoranza ebraica in Bahrein.
Re del Bahrein suona bene. È un titolo nuovo, e non da poco: nella penisola arabica solo i discendenti di Saud sono stati re finora, gli altri erano emiri. Quello di Bahrein è riuscito nell’impresa perché deve guardarsi dalle pretese degli ayatollah: Teheran ha scoperto che una volta Bahrein era soggetta al suo scià. E anche il filosemitismo fa parte della stessa strategia di difesa - la diplomazia nel mondo islamico è sempre molto complessa.
Il Qatar ha una bellissima, colta e intelligente emira. Un personaggio amato da Milano, che essa ama, per gli stilisti e l’opera. Suo marito ha fatto un golpe contro il proprio padre per aprire nell’emirato una base americana, la più grande. Poi ha aperto pure Al Jazeera, una televisione che più antiamericana non si può. Dove arrivano invariabilmente a cadenza, in esclusiva, i video di Osama. Dato per rifugiato ultimamente sul K 2 - dunque i video arrivano nel Qatar con gli sherpa.
E chi sono gli hezbollah libanesi? Sono armati dalla Siria, e finanziati dall’Iran? E combattono Israele o il Libano? Israele ora protegge Fatah, gli ex di Arafat, contro Hamas: li aiuta a trasmigrare in Cisgiordania. Si voleva uno Stato palestinese, ce ne saranno ben due. Com’è vero che non c’è peggior nemico degli arabi che gli arabi stessi. Erano i palestinesi il popolo più moderno dell’impero ottomano, per cultura, sensibilità, pluralità religiosa e sociale.
A Teheran gli ayatollah fanno mancare ogni giorno la luce. Per due ore ogni giorno, ma anche per sei e per otto. È estate, e non ci sono picchi nei consumi. Semplicemente, dicono i preti, non possiamo avere l’elettricità di cui abbiamo bisogno perché ci impediscono di farci le centrali nucleari. Uno. E due: è l’effetto dell’embargo che l’America ci ha imposto. Gli iraniani naturalmente non ci credono. Il paese ha il petrolio e il gas (non sfruttato, nel Golfo) per costruirsi tutte le centrali di cui ha bisogno. Ma la prendono con filosofia: già una volta hanno protestato, contro lo scià, e sono finiti nelle braccia degli ayatollah.
Multiculturalismo – È etnico: è occidentale.
È propositivo e non difensivo, come può sembrare. Così è risentito dalle altre culture cui l’Occidente lo propone, insieme con i discorsi unitari, e gli obblighi civili e sociali: le culture asiatiche, le islamiche, perfino le indigeniste dell’America. Per un pregiudizio politico ma anche per la sua specifità: è un secondo grado dell’assimilazione. L’assimilazione è stata rigettata da ebrei e arabi, e dagli iraniani, gli stessi turchi, in quanto comporta la perdita dell’identità, ma anche il multiculturalismo comporta una perdita dell’identità.
È offerta generosa nelle intenzioni ma confusa. Vuole superare lo sviluppo separato, essendosi questo imbucato nell’apartheid razzista. Ma provoca il contrario di ciò che si propone. Per esempio nella Chiesa, che fa di tutto per far dimenticare chi è: adotta gestualità africane, letture protestanti, e i miti pagani, della luce, il sangue, la numerologia.
Occidente – Ha creato il primo standard mondiale nella storia in fatto di attitudini mentali, valori sociali e stili di vita. In una fase calante, o per la prima volta non aggressiva, della sua storia.
È poco, è molto? È il sistema dell’arricchimento mediante la produzione e la vendita allargate, e dello sviluppo materiale delle condizioni di vita, del capitalismo.
Sinistra-destra – È la sinistra che fa la destra, moralista, decadente, ipocrita. La sinistra è tale se è vera, giusta, progettuale.
L’avvento della destra in Europa è conseguente al crollo del sovietismo, la menzogna suprema. Ma prospera perché quella malattia si riproduce, seppure in forme meno acute.
Una di esse è la certezza di possedere il potere e insieme la verità, per l’illusione dell’egemonia culturale. Un’illusione che se fa sorridere negli storici, che il mestiere stesso vuole incartapecoriti invece che stimolanti (critici), sorprende negli economisti e i sociologi. Il conformismo del nulla. Perché le novità degli ultimi trent’anni – la cultura viva, il riformismo – sono liberali, individualistiche, e quindi di destra.
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