La ricerca scientifica? Il dottorando può al massimo “aspirare a uno stipendio pari a quello che, nel ’46, i braccianti di Bergamo non erano più disposti ad accettare”. Ma poi è solo “frustrante” parlare dell’università e della ricerca: “Le cifre sono grottesche, nessuno ci fa più caso. Tanto per dirne una: per i diritti degli higlights della Serie A la Rai ha speso più di quanto nel 2008 l’Italia ha investito nella ricerca di base, i cosiddetti Progetti Prin”. L’Italia è all’ultimo posto fra i paesi industriali per l’impegno nella ricerca: “Dietro di noi c’è solo la Slovacchia, per un pelo. Gli Stati Uniti investono nelle istituzioni universitarie il 2,9 per cento del loro prodotto lordo, il Canada il 2,6 per cento”, l’Italia lo 0,9. Summa iniuria, “negli Stati Uniti di George W.Bush i finanziamenti pubblici dell’Università sono il doppio che in Italia”.
Al “Sole 24 Ore” non sono piaciuti gli ultimi affondi del governo contro l’università e la ricerca scientifica. La critica è per ora confinata al supplemento culturale della domenica, a opera del genetista Guido Barbujani, un collaboratore. Ma il tono è duro. Specie contro il decreto legge di agosto: “A colpi di un’assunzione ogni cinque pensionamenti c’è poco da fare: presto i docenti non basteranno più. Chiuderanno i corsi di laurea, poi le facoltà, poi interi atenei”. La privatizzazione è uno slogan semplicistico, è criticato anche il presupposto della “riforma” Moratti-Gelmini: “Oggi le tasse nelle università private sono dieci volte più alte che in quella pubbliche”. È facile a dire ma non a fare.
Si profila dunque battaglia tra la Confindustria e il governo, che sull’università è privatizzatore e decisionista: titubante in altri settori, in materia il governo è compatto e deciso, la componente ciellina o confessionale, di Moratti e Gelmini, concorde con quella laica, degli ex socialisti Tremonti e Brunetta. Con parentele strette, quest’ultima, in D’Alema e Berlinguer, oltre che ovviamente in Berlusconi. La partita d’altra parte è "decisiva" pure per il paese. È opinione condivisa che l’Italia ha tenuto, negli ultimi disastrosi trent’anni, malgrado la politica, per la cultura, la formazione. Ma ora, conclude il “Sole”, “in controtendenza con tutto il mondo civile, stiamo gettando nel cesso un patrimonio culturale accumulato attraverso secoli”. Il governo ha infatti le leve per farlo.
Il disastro dell’università, l’ingovernabilità, è l’effetto per metà dell’autonomia e per metà del governo. Come i medici negli ospedali, così i professori: gli intellettuali italiani non sono in grado di fare buon governo. Il presidente uscente della conferenza dei rettori, l’ex rettore di Siena Tosi, ha lasciato la sua università praticamente alla bancarotta. Si moltiplicano sfrenatamente corsi insulsi. C’è nepotismo oltre ogni limite tollerabile. Ma il governo mantiene leve importanti nell’ordinamento, oltre che per i finanziamenti ora cancellati per decreto da Gelmini e Tremonti. Leve anzi decisive se la distruzione dell’università è un disegno compiuto: Berlinguer moltiplicò le frequenze senza assicurare i corsi, Moratti ha bandito nei fatti ogni concorso e ogni ricambio, Brunetta ha cancellato con un emendamento i “precari”, dai cultori della materia ai ricercatori a contratto, circa la metà del “corpo insegnante”.
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