Una Fiat che, ormai per il terzo anno, fa il bilancio con le automobili. Col settore cioè in maggior crisi in tutto il mondo. Che per il gruppo è stato un peso dal 1974, dopo la prima crisi petrolifera. Che tiene in Italia, suo primo o secondo mercato, col Brasile, in un anno in cui il mercato dell’auto si contrae del 10-12 per cento. A opera di un manager che di formazione era poco più di un contabile, e la cui filosofia è "fare prodotto", nientemeno, ma ha il pregio di venire da fuori. E di un azionista che è poco più di un ragazzo, e ne conserva l’animo sgombro. Consentendosi, per la forza di Fiat Auto, una prima efficace opera di pulizia nel suo non trasparente assetto di comando. Dapprima con una partecipazione diretta visibile della famiglia al controllo del gruppo, ora con l’accorpamento Ifi-Ifil.
Su entrambe le operazioni Milano ha menato grande scandalo, città come si sa di ogni virtù. Strappandosi i capelli allo swap due anni fa, col torvo silenzio sull’accorpamento. Questa reazione spiega da sola la novità della Fiat. Il parallelo con il riassetto Mediobanca è rivelatore, alla cui ombra il gruppo torinese ha vissuto per oltre trent’anni, un salotto così pieno di tagliole malgrado le paginate del “Corriere” e del “Sole”, malinconico seppure sempre pericoloso, e anzi torvo, decisamente, al confronto con la brillantezza Fiat. La Fiat va, la Fiat Auto, perché Elkann e Marchionne si sono liberati di Milano, che sarà stato pure il salotto buono, ma del diavolo.
Gli storici diranno se la colpa era di Cuccia, del sistema Mediobanca. O dell’Avvocato, che piuttosto che lavorare (produrre e vendere automobili) preferiva far “fare i bilanci” a Romiti, cioè a Cuccia. È probabile che la seconda sia vera: il sistema ha continuato dopo l’uscita di Romiti, e la morte di Cuccia, fino alla morte di Umberto, il fratello-sosia dell’Avvocato. Con lo snobismo politico tradottosi ultimamente nei sarcasmi contro Berlusconi – che per ritorsione compra da allora solo macchine tedesche, s’è pure fatto sponsorizzare dalla Opel, e la Fiat Auto voleva darla a Colaninno, il liquidatore di Olivetti, e quasi liquidatore di Telecom (e non per altro, perché Colaninno è “l’uomo dei compagni”). Poi, rapido, il miracolo. Contro ogni terribile congiuntura, il crollo delle Torri, il crollo delle banche. Contro lo squallore sindacale a Termini Imprese e Pomigliano d’Arco. Contro l’opinione di Milano, che nell’attacco a Torino non è riuscita ad andare oltre la Juventus.
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