Parla da filosofo D’Avanzo su “Repubblica” nella sua polemica contro Travaglio. Parla di “logica di valori e disvalori”, di “logica di guerra «di guerra per una justa causa» che non riconosce «un justus hostis»…”. Quando sa, entrambi sanno, che è solo protagonismo e carrierismo. Di giornalisti giudiziari, cioè poco più che questurini. E che se colpa c’è, o responsabilità, è della Rai, che favorisce la carriera dei carrieristi. Chiamandola, l’ipocrisia non ha limiti, Resistenza. D’Avanzo è in polemica con Travaglio perché quest’ultimo ha detto alla Rai che il presidente del Senato Schifani è un lombrico e un mafioso, lui che allo stesso titolo ha diritto alla qualifica di mafioso.
Il giornalismo si fa forte da un ventennio dei cronisti giudiziari, figura di cui D’Avanzo e Travaglio sicuramente sono i principi. Entrambi per un periodo sulla prima pagina di “Repubblica”. Sempre imbattibili, per quanto possano essere oltraggiosi, perché hanno “le carte”. Ma che sempre ce le hanno, questo è il punto, 1) di parte, e 2) da fonte confidenziale. Una figura da sempre tenuta nei giornali in punta di bastone, perché si fa forte delle fonti. Le migliori delle quali sono le più oscure. È un giornalismo di confidenti, che un tempo si diceva di questurini, dai suoi luoghi di frequentazione.
Le questure sono ora cambiate, luogo più spesso di funzionari democratici, sensibili, e anche colti. Il mestiere no, testimoniano D’Avanzo e Travaglio nella loro polemica: il cronista giudiziario non solo va a pranzo e cena con i “questurini”, che ora si annidano nei corridoi delle Procure e dei partiti a loro collegati, ma ci passa pure le vacanze con la famiglia. Per produrre verità che, purtroppo, sono sempre quelle delle questure, indimostrate e indimostrabili.
Ci sono ragioni di mercato, dietro il giornalismo delle questure – se ci sono: i libri di mafia e corruzione vendono molto, i giornali invece non vendono. “Repubblica”, già teatro di D’Avanzo e Travaglio, di questo giornalismo è stata per molto tempo la regina, offrendo, accanto ai pensieri profondi di Carlo De Benedetti sul futuro del mondo, i pompini con bustarella di questa o quella berlusconiana - virtuali beninteso, il giornale si vuole moralista. Ma c’è una questione di etica, soprattutto per la Rai, il Raiume dei piccoli avventurieri di partito, gli orfani della Dc con le doppie e le triple tessere. Che dice di vincere gli ascolti con questo giornalismo, e in realtà vince perché ha costi abnormi, pagati con le tasse. Molto sicuramente sarà stato perdonato a Prodi, che quindi non ci ritroveremo nell’altra vita, essendo lui destinato al paradiso. Ma c’è un ma: che Rai è questa, che giornalismo, che diavoleria?
sabato 13 settembre 2008
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