Gli Stati Uniti, dopo avere prosperato con l’assets inflation, la straordinaria speculazione su titoli, derivati e immobili finanziata dai mutui facili, ne hanno scaricato l’insolvenza sull’Europa attraverso il dollaro debole, e se ne sono surrogati i mercati di esportazione. Gli Stati Uniti continuano a prosperare, l’Europa paga il conto.
Si può vederla così, come l’ennesimo sgambetto della perfida America del perfido Bush. Invece che come l’ottusità del governo monetario europeo e la stupidità dei suoi fondamentali. Il fatto però è certo, confermato dall’Ocse: la recessione, prevista e vagheggiata per gli Stati Uniti, si abbatte invece sull’Europa. Nessuno compra più i buoni prodotti tedeschi, la Germania non compra più dall’Italia, e così via.
La risposta al dubbio è nelle cose. C’è una grande area della globalizzazione, del commercio mondiale, ed è il dollaro. E c’è al suo interno un’area, l’Europa, che si ritiene più virtuosa, più solida, più protetta contro l’inflazione, la tassa dei poveri, più avanzata tecnicamente, insomma “più migliore”. Ma le cose non stanno così. Il dollaro offre talmente tanti vantaggi, in termini di grandezza del mercato, e di flessibilità e convenienza, o contenimento globale dei costi, da assorbire le spinte inflazionistiche della sua debolezza, specie sulle materie prime, e rilanciarsi. L’euro sovrano invece è una palla al piede, che imprigiona l’economia: se assorbe in parte l’inflazione del dollaro, lo fa al costo d’insterilire la produzione. Come uno che è virtuoso perché si è castrato.
È però vero in un certo senso che l’America vince la partita a scapito dell’Europa. L’America di Bush. Incapace in tutto l’arco della crisi politica, nel Libano-Palestina, in Irak, in Iran, in Afghanistan, in Pakistan, e contro il radicalismo islamico, l’America ha invece riuscito un capolavoro nella politica monetaria e dello sviluppo. Ma questo perché l’indigenza dell’aloofness europea non ha paragoni.
Nessun commento:
Posta un commento