La strage di Castelvolturno conferma molte evidenze disattese dei fenomeni di mafia, nonché la disinformazione (i morti sono sei o sette, sono nigeriani o ghanaiani, sono appena arrivati o vecchi residenti?), l’approssimazione (sono spacciatori, trafficanti, magnaccia? non sono la stessa cosa), l’irrilevanza degli apparati repressivi, per impotenza, incapacità, menefreghismo, burocraticismo, basta sentire il questore o il prefetto. Queste cose però si sanno. Non si dicono – c’entra pure la superficialità dei media, ma tutti le “sanno”.
L’evidenza che sconvolge i paradigmi mafiosi ha almeno tre aspetti:
1) Le mafie non hanno – sono – il controllo del territorio. Che ci fanno tanti “negri” in casa della camorra, lontani migliaia di chilometri dalla loro casa e da ogni organizzazione, se non sono, come evidentemente non sono, killer o gente di fatica? Prima dei neri gli albanesi sono stati sparati, anch’essi a caso. Si spara a caso non per dare una lezione al mondo, ma per riaffermare la propria presenza. Il kalashnikof attesta la mancanza del controllo.
2) Tra le mafie ci saranno convegni ma non ci sono concertazioni, e tanto meno votazioni, come nell’infame letteratura della mafia siciliana dopo “Il Padrino”. L’unica argomentazione è il piombo.
3) Le polizie sono inette. Non tanto per Castelvolturno, se è stata una sparatoria selvaggia nel mucchio. Ma non solo non sanno chi sono i morti, non sapevano che giravano armi e gruppi di fuoco da carneficina, contro gli albanesi come contro gli africani. Le mafie più deboli, quelle immigrate, senza basi, senza logistica, senza le asserite coperture, di albanesi, slavi, rumeni, rom, nigeriani, ghanaiani, cinesi, sono ignote. Di essi non potendosi nemmeno dire che li protegge l’omertà.
Ranieri Barbacciani-Fedeli, Saggio storico dell’antica e moderna Versilia, Libreria Giannelli, Forte dei Marmi, pp.321 + XC, € 10
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