Si potrebbe ritenerla una maledizione - a meno che, questa è sfuggita all’antiberlusconismo, l’uomo non porti sfiga... Ogni volta che la destra stravince le elezioni per trasformare l’Italia, una crisi economica irrimediabile la ingessa. Nel 2001 fu l’11 settembre, ora la gelata finanziaria: il paese lavora poco, il denaro costa caro, e i conti pubblici saltano. L’effetto è già stato registrato con evidente soddisfazione dai giornali padronali, le trombe dell'opposizione: le entrate sono minori, le uscite maggiori, per gli interessi maggiorati sul debito, i conti sono già saltati.
Ma è pure vero che il governo di destra non fa quello per cui è stravotato: una decisa liberalizzazione. E un taglio reale alla spesa pubblica improduttiva. Sull’esempio magari della Spagna socialista, di Felipe Gonzales e ora di Zapatero. O della Gran Bretagna laburista. Quanta spesa improduttiva c’è nella sanità e nella scuola, ognuno lo constata giornalmente, i due maggiori canali di spesa. E negli appalti pubblici, che sono ormai principalmente tecniche di corruzione: l’appalto è solo l’inizio di una infinita revisione prezzi tra compari. Il metodo di dare una mancia a tutti non paga, anche perché è intenibile, vuole sempre più giri di vite o più tasse.
La crisi ricorrente è insomma anche l’esito di un governo di destra che fa la sinistra. Per dare magari ragione, seppure rovesciandolo, all’Avvocato Agnelli, che cinico sosteneva essere necessario un governo di sinistra per fare le cose di destra. Tra salvataggi, protezioni e stabilizzazioni, accrescendo la spesa pubblica invece di ridurla.
Consolidare il debito
Berlusconi, la bella copia di Gianni Letta, la permanenza democristiana al potere, non ha ricette. Ma non le ha neppure Tremonti, il socialista che è diventato leghista, cioè il modernizzatore per eccellenza. Il ministro dell’Economia ha tentato di scardinare l’Ue quattordici anni fa, con l’ausilio del ministro degli Esteri Martino, figlio del primo europeista italiano, Gaetano Martino, ma ha capito presto che la cosa non era possibile. Ha tentato il protezionismo nella secondo esperienza sette anni fa con la stucchevole polemica anti-Cina. Ora è senza parole. Ma prima o poi dovrà mettere mano a quelle che, malgrado tutte le riforme e le cessioni di sovranità europee, sono le incombenze tradizionali del ministro del Tesoro: le politiche del debito e monetarie.
Sono sedici anni che l’Italia sta col fiato sospeso, stretta al diaframma dal contenimento della spesa pubblica. Che è obiettivo necessario, ma irrangiungibile: l’Italia non avendo più il controllo della politica del cambio e monetaria, deve però pagare interessi onerosissimi. La politica del debito virtuosa è in una morsa asfissiante. Una qualche forma di consolidamento del debito era necessaria dopo la svalutazione disastrosa del 1992 e prima dell’euro. Ora è inevitabile, prima del soffocamento.
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