Nessun giudice si muove, nessun sovrintendente, nessun giornale per il parcheggio al Pincio. Per il doppione di un’opera che già da trent’anni è in funzione e non è utilizzata: nessuno ricorda che il parcheggio di Villa Borghese aveva accesso anche da piazza di Spagna, con tappeti mobili, che poi si chiusero per mancanza di utenti. Questo silenzio è squallido, e potrebbe essere sospetto, per molto meno sovrintendenti, giudici e apparti d'informazione avrebbero intasato l'opinione pubblica e anche le carceri, ma non è tutto.
Il parcheggio al Pincio è la Waterloo di Veltroni, così come altre decisioni immobiliari last minute del suo governo a Roma. È una vergogna e una sconfitta sia che si faccia sia che non si faccia, e di più se è gratuita. Ha reso impraticabile il Pincio già per quattro anni, tra polvere, transenne, sporcizia, disordine, e sprechi, nonché pezzi d'opera buttati alla rinfusa, e la cosa durerà per almeno altri quatto. Il tutto per favorire il solito partito degli architetti, con le costose prospezioni archeologiche “preliminari”. Per un’opera che non è necessaria e nemmeno utile: non ci abita nessuno, non ci lavora nessuno, e le famiglie romane, gli innamorati e i turisti che affollano il Pincio per la bellezza non hanno tempo e voglia di spendere per ingrassare il parcheggio. Gli altri parcheggi sono vuoti, a Ludovisi e, appunto, Villa Borghese.
Il progetto è segno del governo di Veltroni, così semplicista e superficiale. Nulla di speciale, insomma. Non fosse per la pelosa difesa d’ufficio che ne fanno i Carandini e i Chicco Testa, il piccolo cabotaggio che gira attorno alla politica di una certa sinistra, il partito degli architetti e ingegneri. Che non è corruzione, certo. Non si è detto per anni che bisogna mettere a frutto il capitale artistico? Il Pincio non è fatto per la veduta e il sapiente giardino, ci pensa il terzo settore a metterlo a frutto, quello avidissimo degli studi tecnici di archeologia, paesaggistica, viabilità, e della sosta a pagamento.
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