Si risollevano le sorti politiche di Brown in Inghilterra perché è intervenuto prima e più rapidamente di ogni altro a salvare le grandi banche. Col pauso delle vestali del mercato, “Economist” e “Financial Times”. Senza un cenno di autocritica dei due giornali. Che sono stati fatti (e forse lo sono ancora) dalle banche d’affari, e dai compari di queste banche, gli istituti di rating. Dai grandi ladri cioè all’origine degli ammanchi senza precedenti che hanno svuotato il mercato. E porteranno a una reazione a catena di fallimenti, non esclusi gli stessi santoni del mercato e della dirittura morale, “Economist” e “Financial Times”.
Per un quindicennio i due grandi giornali si sono fatti con le indiscrezioni pilotate delle banche d’affari. Per questo o quell’affare, oppure contro questo o contro quello. Affari come ora si sa banditeschi, di cui i due giornali sono stati i complici – e possono essere le vittime. Ma non c’è in essi alcuna autocritica.
Che il senso morale britannico sia jingoista, si sapeva: Londra è la migliore. Ma che il nocciolo della corruzione sia ancora protetto significa che la crisi, per quanto grave, lascia inalterato l’assetto degli affari. Si rubava, cioè, e si continua a rubare.
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