Saranno trecento gli esuberi a fine anno, forse cinquecento, al gruppo L’Espresso-la Repubblica. Due-tre volte i 150 esuberi che il comunicato ufficiale ipotizza. Il consiglio d’ieri sulla trimestrale ha preventivato un peggioramento sostanziale nel quarto trimestre, soprattutto della pubblicità, per effetto della crisi. Ma ha preso atto che la crisi è solo in parte congiunturale. Sia la pubblicità che la diffusione, a parere dello stesso editore del gruppo, Carlo De Benedetti, rifletteranno negativamente la ridefinizione in corso dei ruoli della carta stampata. In attesa che nuove formule o indirizzi consentano il rilancio, l’equilibrio del conti va raggiunto tagliando i costi. Su un totale di 3.410 dipendenti, già ridotti di una cinquantina negli ultimi sei mesi, occupati, gli esuberi previsti sono, secondo De Benedetti, un sacrificio trascurabile e sopportabile. Se fossero risolutivi: il futuro dei giornali preoccupa seriamente l’editore.
Scontata è peraltro l’opinione a “Repubblica” che De Benedetti abbia da tempo scientemente sacrificato il giornale al “Corriere della sera”. Abbia interrotto la corsa scalfariana alla leadership in edicola, accontentandosi della nicchia, in cambio della riconoscenza della Rizzoli Corriere della sera, che ne pubblica le riflessioni, e della Milano che conta.
De Benedetti ha preso anche la gestione del gruppo, in parte per sottolineare la difficoltà del momento e assumersi l’onere dei tagli, e in parte per separare le attività editoriali dal resto del gruppo di famiglia. Il progetto si sta facendo strada di un’integrazione dei giornali con altri soggetti dei media, legati alla televisione e al suo forte mercato pubblicitario. Il passo fatto con All Music, il canale tv, e Radio DeeJay, non consente l’integrazione necessaria, e da solo è un costo. Col passato governo Berlusconi, quando pareva che la Rai sarebbe stata privatizzata, De Benedetti era il candidato numero uno a Rai 1. Ora la scelta resta tra Telecom e Sky – Mediaset è fuori gara per ragioni di anti-monopolio. E cioè, considerata la condizione residuale delle attività mediatiche di Telecom, solo di Rupert Murdoch, un editore che ha sempre voglia d’imbarcarsi nei giornali.
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