Le riunioni al Tesoro del Comitato per la stabilità finanziaria sono state rassicuranti, ma si sono svolte nella freddezza. Nessun timore d’insolvenza, ma è gelo fra Tremonti e Draghi. Il ministro dell’Economia si era già detto scontento della risposta delle banche al provvedimento di rinegoziazione dei mutui: per troppi aspetti essa è troppo onerosa. Alle riunioni ha fatto pesare un difetto di vigilanza sui coefficienti di patrimonializzazione. Di più di una banca, compresa Unicredit, che adesso si dovrà in qualche modo rimpolpare. Col sospetto successivo che la speculazione su Unicredit sia originata da indiscrezioni sul Csf più che dalla richiesta da parte della Consob di rafforzamento dei coefficienti patrimoniali, non nuova. Indiscrezioni su Londra o altra piazza d’affari – di banca d’affari.
Al paragone con le famose riunioni del Cicr di tre anni fa quelle di questi giorni, benché in successione affrettata, sono innocue. Non c’è un’Antonveneta di mezzo da cedere, né un Fazio che si candida a Palazzo Chigi – Draghi si illude, come tutti quelli che non hanno mai faticato, ma dopo le elezioni non c’è materia. Si è quindi discusso dei problemi specifici, coefficienti, liquidità, sofferenze. Ma non c’è armonia. Draghi come uomo delle banche di affari, alla cui avidità e a niente altro è da ricondurre la tremenda crisi finanziaria, non può avere la fiducia di Tremonti, nè di qualsiasi altro ministro politico non legato alla palude romana. È Tremonti che a suo tempo ha nominato Draghi per la Banca d’Italia. Ma, in fondo, perché lo voleva l’allora presidente della Repubblica Ciampi.
In una Repubblica bene ordinata un ministro del Tesoro e un governatore della Banca centrale che polemizzano in pubblico sarebbe materia di preoccupazione. In Italia questo è uno scandalo minore, lo scarso peso che viene dato alla lite. Va pure detto che Draghi non è più il banchiere centrale: le funzioni di banchiere centrale sono passate alla Bce, il governatore mantiene il vecchio status per la pigrizia o la pusillanimità dei media. Fa solo degli studi, che però, politicamente schierato, egli stesso riduce a documenti di parte. Ha però un rapporto stretto con le banche, per la vigilanza, il mercato interbancario, gli investimenti del suo Fondo pensioni, una simbiosi di cui non si saprebbe dire quella delle due parti è il saprofita. La freddezza con cui Tremonti reagisce - questa è la terza o quarta volta in quattro mesi - alla alterigia di Draghi significa che Berlusconi non ha più contro le banche.
Nei rapporti con le grandi banche, tutte in qualche maniera legate a Prodi, questo si vede in più modi. Da Intesa Berlusconi ha avuto l’aiuto decisivo per riportare in bonis Alitalia. Il patron di Intesa, Bazoli, ha usato la sua influenza sul gruppo Rcs per una posizione più equa nei confronti del governo, e il richiamo è stato ascoltato. Sulla lealtà di Profumo Berlusconi si sente ora garantito da Geronzi, il nuovo influente socio di Unicredit nonché presidente di Mediobanca. Lo stesso Profumo sembrerebbe aver fatto tesoro del tentativo ennesimo in primavera dei suoi soci di maggioranza, le fondazioni bianche delle ex Casse di risparmio, di sbarazzarsene, evitando l'esposizione politica a favore del partito Democratico.
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