David Foster Wallace, Infinite Jest.
giovedì 9 ottobre 2008
Il santo delle scuole di scrittura
Il libro di culto delle scuole di scrittura. La scrittura che fa valanga sui blog. Globale. Del nulla. Con nulla. Che si ricorda come esercizio di bravura, lo scimmiottamento della scrittura. La scrittura globale dell’era globale, con marketing come si deve aggressivo, Murakami, buon numero degli anglo-indiani, qualche israeliano, Chuck Palahniuk per la singerie del noir – che ha un Italian Site, redatto in italiano, sul quale il suo libro che uscirà tra un anno o due ha già diecine di commenti – e molti italiani. Mimi sempre ingegnosi, spesso brillanti, che fanno la metafora del reale. Salinger, che ne è il nume e ha dato il nome alla pionieristica Scuola Holden, aveva ancora un’anima.
È all’origine dell’infinita produzione post-Tondelli, dei romanzi anonimi, spesso in forma di noir. Dell’intraducibilità. Della narrativa senza tempo, luoghi, personaggi, dei minuti insondabili insignificanti stati d’animo. Dell’autore come attore sopraffino, che non dice ma lascia capire. Il nume dei Wu Ming e di Baricco, che pure l’hanno preceduto, Ammanniti e gli altri ottimi scrittori del vuoto, dalla tirature milionarie – fanno parte della scrittura? Libro d’esordio nove anni fa dello stile Fandango, ex Rizzoli, in concorrenza con Stile Libero Einaudi, la scrittura delle scuole di scrittura. Che non sono male in quanto suppliscono alla carente alfabetizzazione della scuola. E sono un affare: crescono ogni anno a diecine, e sono già un centinaio. Si sono venduti corsi di scrittura a dispense, in edicola. Ma letto a sé, fuori dal contesto, qualcosa lascia: non per nulla Foster Wallace è di formazione filosofo, "wittgensteiniano" - ma Wittgenstein, analizzando il liguaggio, si ridusse al silenzio, Foster Wallace è incontenibile, della eterogenità dei fini della storia.
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