Sembra una commedia degli equivoci. L’Europa si presenta in grande pompa a Pechino per trattare lo sviluppo del commercio internazionale - dopo trent’anni di globalizzazione - e l’uscita dalla crisi. Nell’occasione inaugura una scuola sino-europea del diritto. E nelle stesse ore il Parlamento europeo insignisce del premio Sakharov il dissidente Hu Jia, in carcere nella stessa Pechino. Non una settimana prima, non una settimana dopo, con l’intento anzi dichiarato di marcare il vertice euro-asiatico.
È il tipico gesto europeo da maestrina. Di chi insegna al mondo le virtù. Ai paesi islamici per così tanto tempo, ora alla Cina, domani magari all’India. Tralasciando la sua pochezza, la sua incapacità, e anche la sua scarsa qualificazione al ruolo, con i tanti cadaveri ancora disseppelliti in casa. Ma è un gesto sinistro in un continente in così rapida perdita di velocità in tutti i campi di confronto, l’etica politica compresa.
L’Europa non riesce a capire che la Cina è una superpotenza, che l’Asia è il centro del mondo. E anzi perpetua, seppure nella veste accattivante dei diritti di libertà, la sua vecchia battaglia di civiltà. Incapace di comprendere l’islam, pur essendosi riempita di mussulmani, e riottosa ad accettare quello che la superpotenza americana sa da vent’anni, da un po’ prima di Tien An Men, che la ricchezza si produce in Asia.
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