Il crack finanziario c’è stato, anche più grave, reiterato, che nel 1929, ma la vita non s’è fermata. Il crack non è lo stesso perché non c’è e non ci sarà la depressione – l’anticipazione della depressione (Federal Reserve, Fmi, Bce) serve a evitarla. Malgrado tutto.
Malgrado cioè lo sgonfiamento del pil di uno e forse due punti negli Usa, e anche in Gran Bretagna, col prosciugamento dei derivati, crediti virtuali. Malgrado il veleno interbancario, che circola nei viluppi tra le banche di tutto il mondo. Malgrado il passaggio di tanto debito privato a debito pubblico, in Usa, Gran Bretagna e Germania. Malgrado il crollo della liquidità al consumo, per l’inesigibilità degli investimenti, in titoli e in fondi, d’investimento, perequativi, pensionistici, polizze vita. Non vendere è la posizione giusta per non perdere. Ma sterilizza la liquidità. È come aver messo i soldi sotto il materasso. Questa finta stabilità inoltre aiuta le banche a non sradicare le pratiche innominabili. Malgrado infine la perdita del centro. Da troppo tempo la predizione della fine dell’America, che peraltro sarebbe anche la fine dell’Europa, si susseguono senza esito, sapendo più che altro di scongiuro, se non di masochismo. Ma le banche centrali e i fondi sovrani asiatici acquisteranno più peso nella finanza e gli affari mondiali. Il futuro sarà sempre più transpacifico, con una ulteriore spinta dopo quella che, trent’anni fa, portò il Giappone al proscenio – prima del quasi fallimento del Sol Levante.
Non ci sarà però il 1929 perché i fondamentali dell’economia sono ancora saldi: si consuma e si produce, la capacità di spesa globale è più o meno intonsa, in questa fase della crisi. Che lo sgonfiamento della speculazione anzi rafforza, in questo provvidenziale, nel ritorno del petrolio e le materie prime ai valori di mercato. Ma appunto – e ci sarà da pensarci – l’economia rimane salda grazie alla globalizzazione. Fosse rimasta transatlantica sarebbe già ferma.
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