Si arrestano i camorristi a centinaia con l’arrivo della Folgore, tra Castelvolturno e Casaldiprincipe. Non erano dunque tanto “latitanti”. È che la sfida dell’esercito ha scosso le intette polizie, locali nazionali. C’è questo fattore burocratico nelle politiche della repressione, nella loro inettitudine come nei loro successi.
È un aspetto non analizzato, e imprevedibile, dell’uso dell’esercito contro la delinquenza. È come chiamare gli arbitri stranieri, minacciare di chiamarli, che non sono migliori ma sono una sfida alle cattive abitudini (parzialità, sufficienza). L’esercito non ha nessuno degli strumenti che hanno i CC e la Polizia: informazioni, logistica, conoscenza delle leggi e le procedure. E tuttavia ogni volta che il governo ne ha deciso l’impiego in questi ultimi quindici anni a fini dissuasivi e repressivi, in Aspromonte contro i rapimenti, in Sicilia dopo gli eccidi di mafia, e ora nel casertano, i risultati sono stati immediati e perfino radicali – sui rapimenti, e sulla potenza militare della mafia.
Razionalizzando, con la trita logica della pubblicistica che si vuole impegnata, l’impegno dell’esercito conferma alle forse della repressione la volontà dello Stato di perseguire quella specifica forma di delinquenza. Ma lo Stato è le forze della repressione. No, in ballo è la burocrazia, la sfida portata sul terreno della burocrazia, l’unico linguaggio parlato dalle forze dell’ordine, che le muove. Allo stesso modo che nelle mafie – questi fenomeni sono speculari. Che si mostrano, emergono, si denunciano, attaccano, quando sono sfidate da altre mafie.
domenica 12 ottobre 2008
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