A Roma il sindaco sposta nel quartiere Tuscolano un accampamento rom da una circoscrizione all’altra, attraversando poche strade, da Tor Vergata alla confinante Cinecittà. Da una circoscrizione che ha votato destra a una che ha continuato a votare sinistra. La quale protesta. Ma venendo meno così alla solidarietà ai rom. E, soprattutto, continuando a non voler capire la questione dei nomadi.
Che probabilmente è il fattore che ha spostato Tor Vergata a destra.
I rom da sempre controllano i quartieri del Tuscolano (furti, pizzo, strozzinaggio, affitti), ma evidentemente non garantiscono più l’ordine, non dove ci sono gli insediamenti recenti. Anche Cinecittà è Tuscolano, ma è ferramente regolata da sempre dal clan Casamonica. Come dice l’imprenditore Caltagirone: “La troppa tolleranza genera intolleranza”.
L’imprenditore Caltagirone, editore del “Messaggero”, vice presidente del Monte dei Paschi, è aspro con Veltroni per il mancato governo di Roma quando ne era il sindaco. Il che è vero, Veltroni ha usato Roma per avere ogni giorno un titolo sui giornali, ma non se ne è occupato molto. Caltagirone afferma anche che i dati sulla crescita di Roma nei cinque anni di Veltroni sono “mistificati”, che infrastrutture essenziali sono trascurate, e che c’è un “rischio “favelas”. Ma negli anni di Veltroni sul “Messaggero” questo non si è letto, non fino alle varianti al Piano regolatore imposte da Veltroni con sedute notturne alla vigilia del voto, che era sicuro di vincere, almeno a Roma – le varianti hanno escluso Caltagirone a favore di altri imprenditori romani.
Crolla lunedì l’economia mondiale. Il Tg 3 intervista il Nobel Spense, che dice quanto dura sarà, e a seguire Gasparri e Di Pietro, poi fa parlare Veltroni. Di Pietro ammicca, perché lui ne sa di più, ghigna, dice qualcosa come, se si è ben capito: “Siccome Berlusconi ha detto che va bene, mi fa piacere che vada male”. Veltroni dice che se l’Italia si salva questo si deve al senso di responsabilità dell’opposizione. Con panoramica di visi beati, di D’Antoni, Franceschini, Letta, e altri ex giovani ex Dc.
Si arrestano, lo stesso lunedì nero, quaranta persone a Napoli, tra cui due politici, un assessore del Pd di Napoli, ex ex di De Mita, e un consigliere comunale di An, per violenze accertate e reiterate a Chianura e nel calcio. “Un mondo a parte” li dice il giudice di Napoli che ha ordinato gli arresti. Napoli sempre si assolve. Anche gli omicidi, documenta il “Corriere della sera” il giorno dopo, si fanno a Caserta.
Dante è “grandissimo reazionario se mai ve ne furono” a dire di Eco. Oggi vede impegnati in severa concorrenza due campioni della sinistra, Sermonti e Benigni. È reazionaria questa sinistra?
C’è però anche il papa nella gara, è vero. Ma giusto perché Dante è diventato merce da prime time, buca lo schermo come Sanremo. Grazie a Benigni, che al vero Sanremo ce l’ha portato, col massimo successo.
Borrelli vorrebbe precettare gli orchestrali della Scala che scioperano. È un melomane. Ma non ha detto nulla tre anni fa quando gli orchestrali scioperarono, e Muti se ne andò. C’è giusto e giusto.
Santoro prende Granbassi invece di Vezzali, che fa tanto più audience. Anche come velina, ha più da mostrare. La prende anche contro l’Arma dei Carabinieri, la Benemerita. La vuole di bronzo, dura come la sua trasmissione. Un’atleta nel cuore di Larussa e Gasparri. Anche se Santoro non riesce neppure a ricordare, nella sua lunga trasmissione, perché – perché ricordò il Tibet a Pechino, all’Olimpiade.
Granbassi consola venerdì 3 a “Annozero” la Santanché insultata da due spettatori. Lerner invece afferma di non avere sentito, “Ero a dieci metri”. E Santoro si tira fuori: “Non sono un vigile urbano”, non sto qui cioè a fare le multe. È questo il problema della sinistra, che questi personaggi la impersonino.
L’informazione divisa. Venerdì 26 Rai Tre manda in onda un’ora sulla guerra in Afghanistan, un reportage di Jacona che mostra gli inutili rischi delle truppe italiane in un campo già perduto. Alle 23 manda in onda un’ora con le truppe italiane a Herat, dove tutto va bene.
In Spagna i valori immobiliari si sono dimezzati. Cinque milioni di vani sono invenduti. Come dire che non c’è più sistema finanziario, che se non fallisce è perché si tiene su coi debiti. Come fece, sterilmente, in Giappone, dal 1992 al 2004 – con una stagnazione lunga cioè ben dodici anni. E tuttavia Zapatero, che la Spagna ha appena votato, va a New York giovedì 25 a sfottere l’Italia, e anche la Francia: “Li abbiamo superati, li supereremo”. Il nazionalismo può essere una molla politica potente più di ogni conto o tornaconto.
Se non bastasse il precedente giapponese, c’è anche quello svedese, ancora più duro, che Gavazzi evoca sul “Corriere della sera” due giorni dopo: “In Svezia vent’anni fa fallirono tutte le banche, anche allora a causa di una crisi del mercato immobiliare. Il reddito scese di oltre il 5 per cento e la disoccupazione salì dal 2 al 10 per cento. La crisi durò tre anni. Lo Stato nazionalizzò le banche e per salvarle spese 6 punti di pil”. Ma questo può non fare paura a un politico, un politico ha altre armi.
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