lunedì 13 ottobre 2008

Quando la Versilia non aveva il mare

Si discute di fare meglio l’olio dell’infinito uliveto che da Massarosa va alla Spezia, di individuare e debellare le cause specifiche della “mal’aria” lungo il mare, di migliorare gli accessi e gli sbocchi della tante cave, non solo di marmo, di assestare i terreni in pendio, del miglior uso della manomorta e dei tesori della chiesa. Non senza interesse per il lettore di oggi, anzi con taglio sempre contemporaneo. Effetto forse della letteratura economica, quando si lega alla storia e ai caratteri, della natura e delle popolazioni.Nel 1845, anno della pubblicazione di questa ristampa, la Versilia era solo un pontile malfermo per i carichi di marmo. Non c’era l’industria del mare. E il Forte, che ora vende il metro quadrato al prezzo più alto in Italia, era il forte, uno dei tanti disseminati dai granduchi lungo la costa. Ancora in questo dopoguerra, peraltro, vaste zone della Versilia si segnalavano per la povertà – mentre Manduria in provincia di Taranto guidava la classifica dei posti dove si viveva meglio, per la "naturale" abbondanza di ulivi, anche se trascurata. Ma la Versilia già allora si curava.
La cura dell’ulivo è perfino commovente, una coltura che tanto è ricca potenzialmente quanto è abbandonata in Italia al traffico dei marchi e all’insensata politica agricola europea. Il “tenue lavoro storico-patrio” del Barbacciani-Fedeli, “socio di rispettabili accademie italiane”, documenta un paio di dozzine di tipologie di olivi, quercetano o minutaio, stringaio, grossinaio, moraiolo, frantoiano o morcaio, mortellino o allorino, pallottolaio, cornetto, peppolaio, laurino, colombino o razzarolo, cucco, grendinone, bastardo, selvatico, tiburtino… Ricca è anche la “gioponica olearia”: la luce tra le ceppaie, e tra i grandi e piccoli rami, la potatura dall’alto, eccetera. E la tecnica di lavorazione: lo “spolpa olive” del signor Stancovich, il “torchio oleario domestico portatile” dello stesso, il procedimento Bonard, parroco di Vandarques in Francia, “per ricavare dall’ulive una maggiore quantità di olio… (mediante) una semplicissima aspersione dell’ulive nell’aceto”… Era come avere il mare oggi, l’industria che ha reso superflua la fatica e moltiplica il reddito.Ranieri Barbacciani-Fedeli, Saggio storico dell’antica e moderna Versilia, Libreria Giannelli, Forte dei Marmi, pp.321 + XC, € 10

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