Per una coincidenza vengono alla lettura cinque testi di ultrasettantenni, che si gustano come i più nuovi. L’ultimo Camilleri, 1925, della serie Montalbano, le tre memorie del Novecento di Citati e Pedullà, 1930, e di Magris, 1939, uno storico della letteratura, un contemporaneista (“critico militante”) e un filologo, e l’ennesimo vagabondaggio del social scientist Arbasino, 1930, nel futuro dell’Italia, la gioventù. Se si rifacessero i campionati letterari per anni, non si troverebbero ultimamemente tanti libri di maggiore interesse.
Sono autori del resto che sempre hanno un libro nuovo, l’incontinente Camilleri è a uno al mese, Citati, Pedullà, Magris e Arbasino uno l’anno. Ma non deludente, e anzi solitamente innovativo e fantasioso. Un libro da leggere anche nel trito genere della collettanea, della raccolta di scritti sparsi e d’occasione. Senza dover litigare, come usa fra i giovani all’anagrafe, per imporsi in qualche modo all’attenzione, fino a imitare il reality, imitazione dell’imitazione.
Sono autori creativi, imprevedibili cioè e non scontati, ognuno diverso dall’altro, che fa il bello della lettura. E a uno sguardo anche trepido sulla contemporaneità sembrano esaurirla. Con pochi innesti – tra cui almeno un altro paio di settantenni, Merini, Eco. Hanno anticipato e meglio esprimono l’Uno dei Wu Ming, l’unidentified narrative object.
Magris, certo, non è (ancora) settantenne. Ma chi ha più filo più fila, si diceva una volta, mentre le scuole di scrittura vanno solo bene per le editrici di Milano, le loro amiche agenti letterarie, e i remainders. Con le fanciullezze, l’individuo diviso, i linguaggi insignificanti, e ora i gialli e i libri di viaggio. Camilleri, quindici milioni di copie vendute di Montalbano, è anche l’artefice del rinnovato interesse dell’editoria internazionale per gli autori italiani, da solo.
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