“Il calore del sangue”, l’ultimo romanzo di Irène Némirovsky, si vende in Francia a 5 euro (5,50 nelle librerie francesi in Italia), e in italiano a 11, sempre in edizione economica. Perfino il vendutissimo Camilleri costa in francese la metà che in italiano: Montalbano si vende, tradotto, a 5-6 euro, contro i 12-14 dell’Italia. “I Puritani” cantati dalla Bartoli all’uscita si comprava a 23 euro su Amazon.fr, a 37 in Italia. Un libro scientifico che su Amazon.fr si vende a 95 euro, su analoga libreria italiana online si vende a 126. Per non dire di Amazon.com, dove lo stesso libro è disponibile a 111 dollari, appena 86 euro. Il confronto con i libri italiani lo reggono solo quelli inglesi – non però se si elimina la differenza di valore di cambio fra sterlina e euro.
Quello dei libri americani e di Amazon.com è tutto un caso particolare, al di là anche del cambio di favore sul dollaro. La “cultura” in America è disponibile a prezzi talmente bassi che la Dogana e Poste Italiane la tassano nuovamente con l’Iva e la gabellano di nuove spese di spedizione, in modo da metterla fuori mercato. Certamente preoccupati di proteggere il petrimonio culturale nazionale. Fatto certo apprezzabile: si può apprezzare che la “cultura” sia in Italia così apprezzata da diventare cara. Ma perché proteggerla, se è così robusta?
Non si vede peraltro dove e in cosa è migliore. Non sono migliori l’arte tipografica, la carta, la legatura. E d’altronde la stampa sempre più spesso si fa delocalizzata, in Albania, in Romania, perfino in Cina (molti libri illustrati per bambini). Il risultato è che, almeno quest’anno, si comprano meno libri. In recessione il prezzo fa molto. Il libro non pesa come l’automobile, e tuttavia è anch’esso un “consumo” elastico, in rapporto con il reddito e con il prezzo: subito si contrae a una variazione negativa dei parametri. Le catene librarie e le librerie online si affannano in promozioni e sconti in serie, ma il prezzo cosiddetto industriale è malthusiano.
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