È un libro che non dà quello che promette, benché garantito da Andrea Romano, che l’ha voluto, e dedicato a importanti studiosi: “A Franco Cardini,\a Umberto Eco (e a sua moglie)”: non sappiamo chiudendolo dov’è la libertà nell’islam – non c’è (ma la moglie di Eco, non avrà un nome?).
È un articolo prolisso sui sette nemici di Ramadan (laici, destre, femministe, gay, israeliani, estremisti mussulmani, esperti di terrorismo). Un’autodifesa, faticosa. L’islam non da ora è la seconda religione in Europa. Ma Ramadan la vuole col fastidioso noi e voi.
Bello e poliglotta, professore a Oxford, dopo essere stato preside di liceo a Ginevra a ventitrè anni, nipote del fondatore dei Fratelli Mussulmani in Egitto, ma svizzero di quarta generazione, rinato nel 1990 a vita nuova con l’islam, che ha studiato in venti mesi appassionati al Cairo, il personaggio è principe dei talk show, e questo è tutto. Un’imbarazzante serie di note sul vuoto rimanda a libri, siti, discorsi, articoli, incarichi dell’autore, e perfino a un “prossimo libro”, o due, dello stesso.
Volendo, si può aggiungere che non è colpa sua. L'islam che imperversa è molto occidentale, del tipo di Occidente che questo stesso islam contesta: elettronica, internet, 007, molti soldi, e il presenzialismo, il gusto di apparire più che di essere. In estate, un sondaggio sugli intellettuali più influenti del pianeta delle autorevoli riviste "Foreign Policy" (Usa) e "Prospect" (Gran Bretagna), sui cento nomi che le stesse proponevano, ha visto ai primi dieci posti i mussulmani. Tutti i mussulmani proposti. Tutti sconosciuti eccetto Yunus, il banchiere dei poveri. Con nessun contributo alla cultura o allo stesso islam. Ma si votava per e-mail. E i candidati italiani delle due riviste, per intendersi, erano Eco e Gianni Riotta.
Tariq Ramadan, Islam e libertà, Einaudi, pp. 143, €9
sabato 1 novembre 2008
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