Che Manconi e Andreotti siano d’accordo per dire quella col terrorismo brigatista una “guerra” non è sorprendente. L’Italia è sempre vittima del compromesso storico. Sorprendente è la sorpresa di Morucci, che pure fu sbadato soldato delle Br, ma pur nella sua superficialità non pretende a tanto. E il coraggio, finalmente, di Virginio Rognoni. Che, dopo aver servito il compromesso storico fino a recente quale vice-capo del Csm, finalmente ha scritto al “Corriere della sera” che non fu una guerra.
È un coraggio non da poco, poiché mette l’ex ministro dell’Interno in urto con i “padri” della “guerra”, Cossiga e Andreotti, che su questo non l’hanno mai perdonata a nessuno. E potrebbe essere l’inizio di un po’ di verità su quegli anni terribili. Rognoni, che sicuramente la conosce, non la dice. Ma citando l’etica e il diritto internazionale di guerra indica dove e come il terrorismo si radica, e si nasconde. Che comincia, è bene ricordarlo, non con le Br ma con le bombe di Milano del 1969, quelle dimostrative alla Fiera e quelle mortali di piazza Fontana. Rimaste impunite per connessioni evidenti con i servizi segreti nazionali e per manipolazioni degli stessi.
Che fosse una guerra oppure no non è questione irrilevante. Nella lotta al dissenso interno, fino al terrorismo compreso, gli Stati hanno le mani legate: gli Stati non possono combattere il terrorismo con le armi del terrorismo, segretezza e violenza indiscriminata, sarebbe illegale e non è etico. È diverso se lo Stato è in guerra: ogni guerra si combatte per vincerla, con tutti i mezzi possibili.
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