venerdì 7 novembre 2008

Il mondo com'è (13)

astolfo

Antiamericanismo – Non si dissolve con Obama. Non riguarda infatti l’America – tutti sono per gli americani e contro i terroristi mussulmani, anzi contro i mussulmani, piace perfino l’hamburger – ma la libertà e la giusta mercede. L’uguaglianza fa paura – l’uguaglianza nella libertà, garantita e anzi promossa dalla legge. Soprattutto ai notabili delle culture incistate: l’antiamericanismo non è politico o sociale, è culturale. Per questo è possibile stare con Chàvez e Ahmadinejad contro gli Usa.
Contro il "modello Usa" da "bestiame bovino" è forte al fondo in Italia il pregiudizio di Evola, di un mondo che si vorrebbe spiritualista. Che però non lo è, in nessuna misura, tra il pubblico informe della televisone come tra quelle delle librerie Feltrinelli. L’antiamericanismo si può dire, è, la cartina di tornasole del bisogno di libertà, che (non) è un bisogno primario - bisognerebbe aver fatto il passo definitivo, costituzionale, comportamentale, verso un sistema di libertà per porsi congruamente il rispetto della tradizione e della storia.
Si prenda l’abisso italico, che riduce lo sbarco in Sicilia a un fatto di mafia. Con gaudio - la Schadenfreude va ugualmente agli Usa e alla Sicilia. Ma più spesso a opera di siciliani, per una sorta di odio-di-sé meridionale. “Tutti, in Sicilia, (lo) sapevano”, scrive Gaetano Savatteri da ultimo in “La volata di Calò”. Protestando di non crederci, però… “Tutti conoscevano questa storia. Se ne parlava nelle piazze, magari sottovoce. Tutti erano sicuri che fosse andata così, e ancora molti lo sono”. “La volata di Calò” è stata scritta per celebrare una famiglia di industriali isolani, i nipoti di Calogero (“Calò”) Montante, che sono al fronte contro la mafia. Ma della mafia allo scrittore piace dare questa immagine di onnipotenza. Anche perché il libro si regge giusto per questo aneddoto. Dopo il racconto di Camilleri “Una corsa verso la libertà”, che rappresenta gli alleati come truppe di occupazione, con le loro stucchevoli cicche e Lucky Strike.
Un evento di portata mondiale, un passo decisivo nel ribaltamento della guerra ridotto a fatto criminale. Una follia? Ma è anche una negazione della liberazione. Il fascismo eterno che la libertà annega nella perfidia albionica, sia pure agitato da comunisti o ex. Di che mettere in crisi tutto il castello dei diritti umani.

Ciclo – “Abbiamo comprato in Ucraina, abbiamo rilevato le minoranze di Bank of Austria e Hypovereinsbank, nonché il gruppo Capitalia. Nel momento che era il picco del ciclo. Col senno di poi sarebbe stato meglio aspettare”. Così l’amministratore di Unicredit Profumo commenta la crisi della sua banca in Borsa. Ma sono gli acquisti che conformano il ciclo. Il ciclo non evolve per sue proprie logiche. Troppi acquisti, o acquisti troppo cari, determinano i picchi del ciclo, cioè i punti di svolta. Chi troppo spende s’assottiglia.

Complotto – È idea della politica caratteristicamente intellettuale: per voler ricondurre la politica a disegno, la cosiddetta razionalità.
È sindrome molto mediterranea: la congiura è popolare in Grecia e Italia, come già nell’Ellade e nell’impero romano, ed è agitato furbescamente in Africa, nel Medio oriente, in Turchia, in abito islamico insomma, dove è di regola la dissimulazione (taqiya). È però assente in Spagna e Portogallo. Non è quindi un fatto di Nord\Sud. Può essere il derivato di un assetto psicologico, di quello ce si chiama levantinismo. Un fatto di furbizia, quindi, non di razionalità

Conservatore – Il vero conservatore è realista. Il realista è sempre conservatore?

Ebraismo – Ora che è tornato incontestato, si definisce bizzarramente per differenza, e anzi in polemica. Soprattutto nei confronti del cristianesimo e dell’islam, con i quali ha bene o male potuto convivere.
C’è qualcosa di anomalo in questo ebraismo in guerra col mondo intero, specie con l’uso strumentale dell’Olocausto e dell’antisemitismo, e con il revisionismo all’insegna degli antiquati primati nazionali. Non è fondamentalismo. Non c’è il rifiuto delle esperienze altre. Ma la voglia di opporsi sì, arrogandosi il giudizio – il primato.

Europa – Si discute se è in quanto è – è stata – cristiana. Ma l’Europa è laica, quella moderna e contemporanea: per le guerre, la filosofia, la psicologia. Perfino per la fisiologia: l’europa è sterile, compra i figli e i lavoratori. In realtà l’Europa oggi non è: non ha nozione di sé – un’identità (l’Unione Europea è solo una camera di commercio e una clearing house) e non ha un progetto, tenendosi insicura dietro i buoni-cattivi propositi, un esercizio in sentimentalismo. Non è un deserto, non ancora, ma è arida. È l’effetto della morte di Dio, che è fenomeno tipicamente europeo?

Fascismo – Asor Rosa ha scritto sul “Manifesto” il 6 agosto: “Il terzo Governo Berlusconi rappresenta senza ombra di dubbio il punto più basso nella storia d'Italia dall'Unità in poi. Più del fascismo? Inclino a pensarlo. Il fascismo, con tutta la sua negatività, costituì il tentativo disostituire a un sistema in aperta crisi, quello liberale, un sistema completamente diverso, quello totalitario. Pochi oggi possono consentire con la natura e gli obbiettivi di quel tentativo; nessuno, però, potrebbe contestarne la radicalità e persino, dentro un certo assai circoscritto ambito di valori, le buone intenzioni”. Berlusconi invece “è il figlio naturale del craxismo; è il figlio naturale dell'affarismo democristiano ultima stagione (ben altri titoli d'onore si possono inscrivere nel blasone storico della Dc)”. È vis polemica? No, Asor Rosa si vuole storico serio. Con Galli della Loggia concorda che “il moralismo vano è fastidioso (lo dico con cognizione di causa, avendo studiato a lungo, e con analogo rigetto, gli antigiolittiani)”. Insomma, ragiona. L’1 ottobre, riprendendo l’argomento sul “Manifesto”, risponde ai critici: “Quali analogie ci possono essere mai tra Berlusconi e Mussolini, tra berlusconismo e fascismo? Ovviamente nessuna: non sono mica scemo. Io non ho inteso - e non ho scritto - che Berlusconi è come Mussolini né che il berlusconismo è come il fascismo: io ho inteso, e scritto che - nella specificità e peculiarità delle rispettive identità - sono peggio”.
Non è una novità, il fascismo c’era già per Togliatti nel 1950, per Concetto Marchesi nel 1955, “clerico-americano”, per “l’Unità” e “Paese sera” nel 1969, il “fascismo Fiat” e “il fascismo delle istituzioni”, e ancora dieci anni dopo c’era “il fascismo delle Br”. Intanto era venuto il compromesso storico e la Dc non è più stata fascista. Asor Rosa dev’essere ben piantato in quella stagione, che assolve la Dc e condanna Craxi. Che una sola cosa fece, ridurre l’inflazione dal 20 al 3 per cento, esito non fascista. Avendo per ministro del Tesoro dalla Dc una figura non di primo piano come Goria. E a difesa dall’inflazione portando addirittura il popolo, quando Lama e la Cgil lo sfidarono col referendum.
Il fascismo è in Italia, paese che è stato fascista con convinzione, uno sfondo invadente, che decolora e deforma la realtà. Di chi lo agita e lo usa – il fascista non ne è intaccato. Fascista è l’avversario, che più spesso è il concorrente politico, il “socialfascista”, nel linguaggio della Terza Internazionale, sopravvissuto all’università. Ma questo è molto fascista: chi va in giro a dare del fascista al suo avversario, forte sempre del suo buon diritto. Forse per sentirsi vivo. Magari dopo essere stato propriamente facsista nel suo piccolo, la fila ala posta, il traffico, il lavoro, la famiglia. La demonizzazione dell’avversario è cardine rivoluzionario fascista, la rivoluzione socialista si vuole critica. Lo spettro del fascismo limita fortemente la democrazia: nell’efficienza, o capacità di agire, nella difesa, nel contrasto della corruzione, nella pacificazione. Agitare il fascismo porta al fascismo. È fascismo.

Globalizzazione – Muore per inadempienza: l’incapacità – l’impossibilità? – di garantire la crescita, e anzi di interpretare, meno che meno regolare, la crisi, in atto da quasi due anni. Non c’è l’albero della ricchezza, e non c’è il moto perpetuo, nemmeno in economia. Ma viene criticata per i motivi sbagliati – non ultimo l’illusione di abbatterla con i propri motivi – e cioè retrogradi. La globalizzazione ha portato più ricchezza all’ex Terso mondo, e non meno. Gliene ha anche dato gli strumenti, tecnici e giuridici, fatto politicamente qualificante. Ha ammesso, perfino protetto, la diversità culturale, ce si tratti dell’organetto arcadico, o della civiltà Inca o Maya, nel senso che ha aperto alle popolazioni e alle culture marginalizzate la possibilità di uscire dal folklore e dall’isolamento. Ha imposto – tentato – un livello minimo di diritti umani, che molte culture contestato, in Africa e in Asia. Ha allargato, non ristretto, la protezione della natura e dell’ambiente.
Poteva fare di più, ma non c’è una domanda qualificata. Mentre c’è – c’era – una radicata opposizione: l’istanza antiglobal è contro, nei fatti, la sua enunciazione dottrinale. Il discorso dei mezzi non è secondario. Che si tratti delle seconde case, delle cacche dei cani, dello sperpero delle immense risorse idriche. Dei vincoli dello spirito di clan, in Africa, in Asia. Dei limiti all’autosfruttamento, attraverso l’emigrazione e la sous-traitance.

Riforma – Solo in Italia è un fatto spirituale, dell’uomo che parla con Dio, e una Gestalt positiva, socializzante, un nuovo Secolo Primo dell’era cristiana. Fin dall’inizio la Riforma fu un affare politico, in Germania, Svizzera, Olanda, Francia, a Praga e altrove, per non parlare dell’anglicanesimo. E poi non c’è l’uomo è il suo Dio – c’è, ma in quanto solitudine, benché presuntuosa. La fede socializza nella specie, se non nel gruppo o nella comunità, anche i mistici e gli eremiti sanno di non essere soli.

Si vuole in Italia rigeneratrice la Riforma, che da lungo tempo ormai è sterile, ha disseccato nella grande patria germanica ogni fede – la fede è esercizio residuale da Uppsala e Rotterdam a Tubinga, per teologi.

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