Camilleri salta subito in testa alla classifica. Sempre con Montalbano, anche se il commissario è appesantito – ma beneficia stabilmente, perché non dirlo, dei film che Carlo Degli Esposti e Alberto Sironi ne hanno tratto, con le ultime serie dei quali esce in contemporanea (le prime serie, quelle a budget non punitivo, resteranno nelle teche Rai come gli insigni sceneggiati di una volta, “La baronessa di Carini“ et al.). Questa volta però una novità c’è: Montalbano si innamora. Sul serio, non ci dorme la notte.
Camilleri, narratore scettico e anzi irridente, come il suo maestro Vázquez Montalbán, il suo protagonista lo tiene fidanzato, da trent’anni, con una signorina ormai cresciuta e anch’essa astinente che sta a Boccadasse, a duemila chilometri di distanza. Questa volta lo “squasi sissantino” commissario invece s’innamora. Il plot non è dei migliori. Anche perché Montalbano è innamorato ma stanco, perfino in trattoria non ha più “gana”, gli manca solo il fritto di calamari e gamberi. Ma finalmente i personaggi si toccano.
Persiste e si rinnova il fenomeno Camilleri. Che scrive in siciliano, anzi in un suo siciliano che per molti siciliani è arduo. Che è latino per costruzione - gerundio, consecutio, ottativo, terminazioni, radicali. In parte anche intuitivo: “Scassare i cabbasisi”, “che camurria”. Ma è pur sempre un vernacolo. Inoltre, è volgare e farsesco: un Catarella è inesistente, tanto è analfabeta e semplice. Montalbano stesso non è tanto normale, così fisso ormai da quindici anni nella stessa situazione, di vita, di lavoro, di affetti. È un non affettivo, non è nemmeno antifemminista. Sarà per questo che è molto popolare.
Montalbano pratica la ritenzione. Che non corrisponde a nessun tipo umano, neanche al Sud. Se non nell’epica antimatrimonio. Che Camilleri vorrà corretta, eticamente, politicamente, e invece è ipocrisia a tutti gli effetti benché introiettata, neanche più avvertita, questa ammuina costante in funzione di amore. Ma è comprensibile e piace evidentemente, poiché Montalbano scala sempre le classifiche. E non repelle, come il vernacolo. È la solitudine saggia dell’uomo nato stanco – anche nel lavoro entra a ritroso, tirato dagli eventi.
Ma è pure, propriamente, il mondo del Sud. Nei personaggi più che nei luoghi che i film magnificano. Per il modo di essere più che per quello che dicono: personaggi diversi, fuori norma, fuori schema. Con spessore, anche se fuori del “tipo” psicologico. E il contesto, anch’esso fuori dagli “schemi” sociologici, ma reali.
Andrea Camilleri, L’età del dubbio, Sellerio, pp.267, € 13
giovedì 13 novembre 2008
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