“Petrolio a 60, dollaro a 1,30, dopo Bush” titolava questo sito il 9 aprile, dopo una prima avvisaglia il 17 gennaio. Il crack delle banche ha accelerato il rientro, ma le ragioni sono sempre quelle: “La triplice confluenza sul caro-petrolio che ha caratterizzato la seconda presidenza Bush, una produzione limitata di greggio Opec, la speculazione a termine, e la rincorsa dei paesi Opec sul dollaro debole, dovrebbe cessare col 2008“. La politica degli alti prezzi dell’energia è divenuta insostenibile nel prosieguo dell’anno, e in concomitanza col crack finanziario, per l’economia americana.
Col “partito dei texani” il ritorno del mercato dell’energia a valori normali avrebbe colpito la Russia di Putin, diceva ancora questo sito, e così è. Mosca deve soccorrere i suoi grandi konzern del petrolio e del gas, così come Bush deve rifinanziare le sue banche. La rivalutazione del dollaro ha solo in parte compensato il rientro dei prezzi del greggio - + 20 per cento circa per il dollaro sull‘euro, contro il - 60 per cento del petrolio.
Indenni al rientro sono praticamente le compagnie petrolifere, e quelle del settore energia che hanno riserve di petrolio o gas. L‘artificiosità del caro-idrocarburi è certificata dalle politiche di contabilizzazione delle compagnie. Che non hanno mai rivalutato le loro riserva a 160 dollari al barile. Riserve e scorte si trovano nel patrimonio delle compagnie a 60-70 dollari al barile. Che è il valore atteso del prezzo base del petrolio per il medio periodo.
Del crack bancario si può dire che in gran parte è vittima dell'uso avventuroso dei derivati sulle materie prime, quelle energetiche in particolare. Il tracollo è iniziato con le banche di affari, qualcuna fallita, altre salvate, ma tutte fallite a mano a mano che gli impegni speculativi sono venuti al pettine. La crisi dei mutui era stato in qualche modo assorbita, la speculazione a termine sul greggio e il gas è invece stata micidiale.
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