“Intendo sostenere che la politica internazionale e il pensiero economico dovrebbero essere femministi”. Martha Nussbaum taglia il cerchiobottismo sociologico nel quale è impelagata da anni con i “Rapporti sullo sviluppo umano” dell’Onu, la nuova forma di scientismo a fini filantropici. Confortata dal radicale Marx dei “Manoscritti”: “L’uomo ricco… è l’uomo la cui propria realizzazione esiste come necessità interna, come bisogno”. Solo con l’attenzione ai problemi specifici che le donne subiscono a motivo del sesso, come si sa, “si possono affrontare in modo adeguato i temi generali della povertà e dello sviluppo”. Ma qui la filosofa fa di più, Aristotele e il liberalismo applica al tempo obbligato che, più occupa gli esseri umani, le donne in particolare, più del lavoro per un salario, la cura dei non autosufficienti: i bambini, gli anziani, i portatori di handicap, gli ammalati.
Con approccio neo aristotelico, dell’uomo che è “un animale con bisogni” tanto quanto è un animale razionale, fuori cioè dall’unilinearità dell’approccio cosmopolita imperante, dello “sviluppo umano” come cosa da individuare e allargare. “In una prospettiva più aristotelica che kantiana, l’approccio delle capacità considera gli esseri umani anzitutto come esseri animali, le cui vite sono contrassegnate da una condizione di bisogno non meno che dalla dignità”. I diritticome esito delle capacità. Senza dimenticare i diritti fondamentali: “Se abbiamo il linguaggio delle capacità, abbiamo anche bisogno del linguaggio dei diritti?” Sì, per i diritti fondamentali di libertà, per i diritti forniti dallo stato, per sottolineare le possibilità di scelta e di libertà come terreno di incontro nelle aree dubbie.
La colpa è di Kant
Il tema è “le capacità”, la rete individuata in “Diventare persone. Donne e universalità dei diritti”, 2001. Da un punto di vista che consente di verificare le capacità in materia di libertà e di giustizia, quello delle donne nei paesi in via di sviluppo, le “donne mancanti” di Amartya Sen. Il punto di partenza è la vita che le donne, essenzialmente le donne, dedicano in famiglia ai non autosufficienti. L’uomo come cittadino e lavoratore deriva da secoli di pensiero sociale di tipo contrattualistico. Basato cioè sul principio del mutuo vantaggio, da Locke alla Società Ben Ordinata di Rawls. L’errore di origine è in Kant, che separa l’etica dalla natura. Mentre “le cure per i bambini, gli anziani e gli handicappati sono una parte significativa del lavoro”. Martha parte da questa conclusione di Eva Kittay, filosofa e badante in proprio, “Love’s Labour”.
In mezza pagina Nussbaum fa un formidabile quadro delle discriminazioni delle donne nel Terzo mondo utilizzando le tabelle Onu – l’Onu l’ha cancellato ma c’è sempre un Terzo mondo. Per scoprire in un’altra mezza pagina, subito dopo, che i diritti fanno un quadro labile: sono individuali o anche di gruppo, sono politici o prepolitici, eccetera. E arriva alla conclusione che i diritti politici e civili sono intrecciati a quelli economici e sociali.
I neo liberali, Martha Nussbaum tra essi, parlano di diritti e non di uguaglianza. Forse per questo scoprono spesso l’acqua calda. Ma l’approccio delle opportunità resta proficuo, posto che è il solo che questa cultura unica consente, per prospettare filosoficamente un “minimo sociale fondamentale”. Consente un vero confronto internazionale “pesato”, un “confronto sulla qualità della vita”. E rende possibile un “consenso per intersezione” tra persone altrimenti di orientamento diverso. Consolidandosi in un elenco di punti fermi di funzioni e opportunità, che anche essi per caso sono dieci, che rifanno la celebrata lista dei beni primari di John Rawls, il padre del neo liberalismo – i liberali, volendosi empirici, elencano le cose, più che individuare logiche e nature.
La filosofia politica è (per metà) femminista
Si può definirla una sociofilosofia, ce ne può essere una? Il linguaggio di questa filosofia è certo opaco, i percorsi indistinti, a furia di precisazioni. Con alcuni lampi, Aristotele non c’è stato per nulla. Il multiculturalismo, che mina questo nuovo cosmopolitismo, è domato di passata, in un paio di occasioni – con l’alterigia, per non andare incontro alla verità Onu di cui esso è parte. “Le norme transculturali sono necessarie se dobbiamo proteggere diversità, pluralismo e libertà”. Il multiculturalismo è insidioso per molti aspetti, oggi specialmente lo sviluppo delle bambine: “Il mio approccio ritiene che la protezione delle capacità delle ragazze giustifica una strategia interventista”.
La mera datazione consente alla filosofa di stabilire che l’età dei diritti è l’età delle donne. La filosofia politica (la teoria della giustizia) risorge negli anni 1970, dopo lunga eclisse, con la rinascita del liberalismo kantiano (Rawls, Habermas) e con l’insorgenza femminista. Anzi, delle due novità insieme: “Il concetto liberale di libertà e l’esigenza umana di una varietà di forme diverse di libertà d’azione sono idee preziose” per il femminismo..
La famiglia senza filosofia
Resta tuttavia irrisolto il nodo politico della famiglia. Il tempo della cura scandisce la famiglia, questa “parte delle strutture fondamentali della società”, per molti aspetti obbligata anch’essa e non libera, in alcuni casi ben regolata dalle leggi ma sempre irrisolta sul piano filosofico. Una decisione della Corte Suprema delle Hawaii consente una lista impressionante, un’altra, di condizioni o funzioni legate alla famiglia. Ma il problema è solo posto. Così come il tema della non autosufficienza: importante, posto con brillante intuito, ma irrisolto.
L’argomentazione liberale sulla famiglia, di Rawls come di Nussbaum, si risolve bizzarramente nella statolatria, né più né meno. Per l’oggettiva indigenza dello stato. Basta fermarsi a uno qualsiasi degli interventi dello stato, della magistratura, anche femmina, o dell’assistenza sociale locale, in materia di protezione dei minori, per misurarne l’insufficienza. Sia pure a fronte di genitori indegni, purché non criminali. Lo stato, più che mettere a disposizione delle risorse, e stature sui diritti, non può fare altro. La soluzione non ci può peraltro essere, per l’insufficienza dell’approccio, organizzato sui casi, di questo liberalismo, che la complessità della famiglia, anzitutto come fatto naturale (procreazione, gestazione, nascita, nutrizione, cura), mette impietosa a nudo. Ma è la filosofia, in generale, buoni propositi e comandamenti (condizioni minime), assortiti da speciali commissioni di esperti – esperti di filosofia?
La demografia non è etica
La demografia, che è il fatto sociale primario, questo liberalismo non considera, la natalità, la mortalità, e la famiglia – se non per l’eugenismo, ingenuo quando non è perverso. Che invece è un fatto, e anche molto solido. La denatalità vuole le donne sul mercato del lavoro (vuole anche gli immigrati, che poi tratta col manganello, ma questo è un altro discorso). E le vuole contemporaneamente a casa. Nel quadro di un’attesa di vita prolungata che ne aggrava sensibilmente le incombenze, la nuova figura del'accudente, per i non autosufficienti, essendo quasi sempre donna. Queste incombenze, seppure non contabilizzate, sono misurabili sui conti pubblici: negli Usa la metà della spesa sanitaria va agli anziani (un quarto all’ultimo anno di vita), e cioè l’8 per cento del prodotto interno lordo, considerato che la spesa sanitaria assorbe il 16 per cento del pil (il 4 per cento all’ultimo anno di vita). In Italia quest’anno la popolazione sopra i 65 anni raddoppia rispetto al 1971, da sei milioni a dodici – mentre quella sotto i quattordici anni scende da 13,2 a 8,4 milioni. Gli anziani, che nel 1971 erano la metà dei giovani, ora li soverchiano di una volta e mezzo. È un mutamento radicale per la previdenza e l’assistenza, e per lo stesso concetto di mutualità. Anche se i numeri, lamentevolmente, non sono rilevanti per l’etica e la filosofia. E tanto più per l’individualismo borghese, specie se radicale.
In questa nuova demografia è l’ultima profonda disuguaglianza, non soltanto per le donne. La spesa sanitaria individuale nell’ultimo anno di vita si stima nel mondo sviluppato (America e Europa) in 50 mila dollari, mentre l’idratazione che impedirebbe in Asia e in Africa il novanta per cento delle morti infantili per dissenteria costa un dollaro a testa. In termini economici un anno di piaghe a letto e di dolori senza speranza al centro del mondo vale cinquantamila nuove vite in periferia. E in termini filosofici?
Martha C. Nussbaum, Giustizia sociale e dignità umana, Il Mulino, pp.150, €12
sabato 20 dicembre 2008
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