“La questione morale sta corrodendo il centrosinistra. La sua causa è il Pd, il mancato ricambio generazionale e al vertice la debolezza come partito”. La morale della favola l’ha tratta Gustavo Zagrebelsky a Maria Antonietta Calabrò sul “Corriere della sera” mercoledì: “Non bisogna invocare il centralismo democratico”. Tanto più che “al centro del Pd non c’è nulla e così a livello locale i cacicchi si sono scatenati”. I lettori di questo sito lo sanno da tempo, e ora la morsa si stringe, dell’ala confessionale del Pd contro lo zoccolo duro (ex) comunista. I popolari ne parlano ovunque, tra di loro e anche con gli estranei: i postcomunisti, come ora li chiamano, stanno portando il Pd alla rovina, i guai del Pd sono tutti diessini, Veltroni è un problema e non una risorsa, un giovane-vecchio togliattiano. La discontinuità s’impone per salvare e rilanciare il Partito, su un nome di estrazione non postcomunista.
Il nome non c’è – dovrebbe essere Fioroni, ma non si vuole bruciarlo - ma c’è un identikit: non può essere diessino. Il successore non può essere “uno di loro”. Ma questo è anche un problema, e non da poco: che in un congresso o nelle primarie lo “zoccolo duro” è imbattibile. E dunque bisogna evitare una scelta di tipo congressuale, i postcomunisti sono maestri nell’occupare i posti. La soluzione dev’essere politica, senza primarie né congresso.
Un esito del genere non è facile. Ma i popolari sono determinati. L’insofferenza si è acuita negli ultimi giorni, di fronte all’occupazione della scena dei comprimari tutti postcomunisti. E si traduce in una valanga di accuse, indiscrezioni, pettegolezzi. Con l’intento di accelerare il rcambio al vertice prima dei tempi lunghi di un congresso o di primarie. Tutti i machiavellismi della questione morale sono utilizzati, dagli appalti al semplice traffico delle influenze e ai nepotismi, per posti, carriere e affitti privilegiati. È cominciata con i Della Valle, che a Firenze a fine estate hanno annunciato il nuovo stadio nella zona di Castello. Di cui non avevano nemmeno un disegno in mano, ma che sarà il perno della Tangentopoli fiorentina. Tutti gli amici sono mobilitati, tra gli intellettuali, alla Rai, nelle redazioni, nelle Procure, tra i banchieri padroni dei giornali.
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