martedì 16 dicembre 2008

Il mondo com'è (14)

astolfo

Antifascismo – Fu ampio, non solo prima ma anche durante gli anni del consenso, e tuttavia è stato ridotto al Pci. Non ultimo, dagli storici anticomunisti. È liberale (azionista) solo l’antifascismo dei compagni di strada, da Gobetti a La Malfa. Si accetta, si accettava, che fosse stato socialista, ma ora non più.
Storicamente, e nelle cronache, l’antifascismo fu largamente degli altri. Di Matteotti. Di Guglielmo Peirce, lo scrittore, arrestato nel 1937. O di Pavese, malgrado la lacrimosità. Di Paola Masino, che col racconto “Fame” provocò nello stesso anno la chiusura del settimanale “Le grandi firme”, la corazzata Rizzoli, di pugno dello stesso Mussolini. Che però non si ricordano. Mentre è di Vittorini, che invece dal regime era premiato. O di Zavattini, Moravia, Morante, Ungaretti, che il regime premiava ancora nel 1943.
La “riduzione” comunista dell’antifascismo è anche l’opera della storia fascista. Perché si riduce il fenomeno totalitario alla sola esclusione dei comunisti, mentre invece escludeva i due terzi dell’intellighenzia e della società. E può consentire a posteriori la riscrittura della storia in senso noltiano, del nazifascismo come antidoto al comunismo sovietico.

Globalizzazione – È egualitaria. È l’egualitarismo internazionale. Tira perciò verso il basso (ai livelli “marginali) i salari e i prezzi. Ma essendo giusta è inattaccabile, e irreversibile.
La democratizzazione che essa comporta si bilancia con le condizioni di legge minime, che anch’esse fanno l’eguaglianza: l’igiene, di vita e di lavoro, la salute, l’ambiente.

Guerra – Qualche volta è utile a qualcuno, per fini non calcolati nei piani. Ma in termini di costi\benefici mai a nessuno: la posizione di Giolitti era, teoricamente, imbattibile.

Nella discussione su pace e guerra si è sempre al dibattito sulla democrazia ateniese: se sono – erano – i ricchi a spingere per l’espansione, la guerra continua, oppure il popolo, che in Atene comandava. Razionalmente, non c’è guerra che possa essere popolare, ma così è molte volte.

Mercato – È la speculazione. Tanti profeti della crisi sono in circolazione, i “l’avevo detto” due, tre e cinque anni fa. Ma nessuno che azzardi una spiegazione di quanto sta succedendo in Borsa, l’altalena di fenomenali accensioni e altrettanto fenomenali crolli. Mentre alcune cose sono chiare.
Si lascia intendere che la crisi è quella dei mutui, mentre i mutui sono stati in qualche modo assorbiti. Sono stati cancellati dagli attivi delle banche coinvolte, mentre i loro effetti a catena sulle altre banche - la loro “tossicità” – sono minimi. I titoli tossici sono quelli delle gigantesche banche d’affari che hanno infettato il sistema finanziario mondiale con le speculazioni a termine senza adeguate ricoperture. Non più quindi solo il mercato americano, ma anche quello europeo e del resto del mondo. Con i loro compari, i fondi di copertura, hedge funds, che invece che operare per assorbire gli incerti e i movimenti anomali, operano al contrario per provocarli. Speculano cioè, specialisti come sono in short selling. Sono loro che movimentano le Borse con le forti oscillazioni, e malgrado la crisi stanno infatti guadagnando, anche molto.
Questo è il secondo aspetto noto, che si tarda però a evidenziare, e anzi si omette. Per un motivo semplice: l’hedging è il mercato, il mercato è speculazione. È anche altre cose, è un gioco ordinatore, equilibratore, fra domanda e offerta, ma casuali e non necessarie. La domanda resta per esempio concetto volatile, confinato nella categoria onnivora delle aspettative e le propensioni, di cui nulla si può dire.
La speculazione, la cui definizione è anch’essa sfuggente, ha peraltro un nucleo preciso: è l’elusione delle norme. Speculare di può dire in mille modi, ma nella sostanza è giocare contro le norme, sfruttarne i buchi e la debolezze. Soprattutto avvalendosi della legalità - questa è anche la forza dell’America, mentre altrove lo speculatore è più spesso un bancarottiere dal fiato corto o un ladro.
La speculazione ha dalla sua la promessa dell’arricchimento rapido e senza fatica. Contro una posta negativa – il fallimento – che non ha alcun potere dissuasivo, essendo pagato dagli altri. Ma appunto perciò è un atto aggressivo, non a somma zero: è appropriarsi delle risorse altrui. Col consenso, ma estorto. In quanto distorto appunto dalla legalità, dal rispetto formale delle regole.
Il silenzio sull’evidenza è l’esito dell’altra arma della speculazione: la capacità di fare consenso. Anche qui attraverso armi proprie, seppure violente, che tutte si riassumono nella capacità di fare informazione, non sempre di parte. Senza spesa – senza corruzione – e con un esercizio molto indiretto del potere.

Privacy – È un caso di inversione di senso, la parola e la cosa sono antifrastiche, ideologicamente: si invoca e si garantisce la privacy, a un prezzo, per ottenere via libera all’indiscrezione.Nasce come offerta e non come domanda. Ed è strutturata legalmente. È espediente legale per poter entrare senza colpa nelle vite altrui. Le pagine bianche che non danno l’indirizzo corrispondente a un numero di telefono se non c’è un previo consenso dell’interessato (venticinque milioni di consensi?). Ma danno il vostro indirizzo e numero di telefono, selezionati sulla base del fatturato telefonico e del tipo di connessione internet che privilegiate, a qualsiasi venditore in grado di pagare per essi. O la liberatoria del chirurgo. Sono gli effetti del dilagare degli avvocati a percentuale, dagli States nel mondo. Di una concezione formalistica del diritto, avvocatesca.Più s’invoca e s’impone dove tutte le riserve sono violate, le abitudini quotidiane, i modi di dire, perfino i pensieri remoti, i vizi, gli amori, se in qualche modo, per caso, di sguincio, sono impigliati nella tastiera. Diecine e centinaia di regolamenti sulla privacy, da sottoscrivere, vi svelano: sono in realtà l’autorizzazione a penetrare le vostre visceri, a prendervi per stanchezza.

Televisione – È una realtà a sé, che si appiccica come una cattiva abitudine, di quelle che si tengono in angolo remoto: le madri che litigano con le figlie, le mobbilitazzioni per lo schermo, gli striscioni allo stadio, i vaffanculo. L’immagine è invasiva. E deprimente: la televisione produce depressione. È la sindrome mcluhaniana perfetta, compresa la riduzione del reale.
Lascia però evidentemente inalterata la vita, poiché essa va avanti, compresa l’innovazione continua dell’elettronica, senza modifiche sostanziali. L’immagine è ininfluente. Altrimenti saremmo ancora al paradiso in terra nell’Unione Sovietica, con tutti i “santi subito” della chiesa. Berlusconi vince perché conosce la televisione e non “fa” le cose per lo schermo.

Totalitarismo – Un sistema totalitario è comunque criminalizzante. Come Schmitt spiegò difendendosi a Norimberga: “Estirpa ciò che non può utilizzare, e cerca di utilizzare ciò che non può estirpare”.

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