È lo stesso panettone degli altri anni, dell’esibizionismo della miseria. Resteranno, questi libri di Vespa annuali ossessivi, malinconica ma dura fonte della politica nella Seconda Repubblica. Un negozio. Tra chi vende primizie, chi coloniali, e chi pesci, presto puzzolenti. Ma tutti commercianti col fegato ingrossato perché il vicino vende sempre di più. Senza un’idea o uno slancio, che i censori arcigni non consentono, le mummie dei sanatori giudizari o tra gli stessi giornali che se ne fanno beffe, e incapaci di ribellarsi.
Un politico dovrebbe dare fiducia, condurre gli elettori verso un fine. Questa politica è invece un suk o un bazar, e più per le contumelie che per l’esposizione della merce. Si capisce che Berlusconi, che è un venditore, sbaragli la concorrenza. Che peraltro non sa che dire, a parte accusarlo di turpitudini. Perché non ha merce, o ce l’ha avariata e non sa liberarsene.
Aspettiamo ancora che Prodi parli, o Rutelli. Veltroni e D’Alema non solo non menzionano il comunismo ma neppure il socialismo. E in fatto di democrazia si muovono male, nel loro stesso partito. In tutte le democrazie, anche le più radicalizzate, i politici si rispettano, Zapatero rispetta Rajoy, per esempio, e viceversa, solo in Italia si recitano i reality, a chi ce l'ha più grosso, e questo è tutto.
Bruno Vespa, Viaggio in un’Italia diversa, Mondadori, pp. 478, €19,50
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