L’ambiente è dirimente come il salario. Nelle condizioni globali della produzione ambiente e salario sono i fattori di riequilibrio. Alla pari delle coppie salute e igiene da una parte, prezzi e consumi dall’altra. È con la gestione (salvaguardia) dell’ambiente, dell’igiene, di vita e di lavoro, e della salute che il mondo industrializzato può sperare di sopravvivere in un quadro di produzione globale. Nel quale la spinta verso il basso dei salari, dei prezzi e dei consumi sarebbe altrimenti imbattibile.
La globalizzazione è egualitaria. È l’egualitarismo in chiave internazionale. È qui la sua forza: la globalizzazione è cioè democratica, e quindi giusta, e per questo imbattibile. E fatalmente attirerebbe verso condizioni di salario e di reddito minime (“marginali”), che per il mondo industrializzato significherebbe un intollerabile impoverimento. Questa spinta si riequilibra con le condizioni di produzione, in termini di tutela della salute, della sicurezza nel lavoro, dell’ambiente, della qualità del prodotto. Coltivando, e proteggendo, ciò che fa la qualità della vita e dei consumi. Sul presupposto, anch’esso da far valere, che la globalizzazione regge se tutti i suoi pilastri si mantengono solidi – non c’è globalizzazione senza un’Europa ricca (l’ipotesi non è bizzarra).
È questo quadro che fa la forza e i limiti del protocollo di Kyoto. Come di ogni normativa minima in tema di diritti umani, contro il lavoro minorile, servile, cottimista, e a protezione della salute. Ma con particolari esigenze di flessibilità. L’Europa, che è l’unica area col Giappone ad avere adottato il protocollo, deve lavorare a “imporre” questa soluzione anche ai maggiori produttori mondiali, in America e in Asia. Applicarlo da sola non salva l’ambiente e condanna l’Europa. E la globalizzazione.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento