Scrittura cristallina, dopo sessant’anni. Miracolo di Parise ventenne. Il libro è pasticciato (scritto in fretta, edito in fretta): dieci lire, “una miserie di elemosina”, diventano dopo poche pagine “una somma enorme”, c’è un dialetto “napoletano” che invece è, forse, romano (“Muoio fascista pe’ mano de rosso”), c’è un “odore del letto napoletano, dolciastro, misto dell’effluvio della biancheria…”, in stanze che poche righe prima “non avevano letti, ma solo materassi stesi per terra”, eccetera. E tuttavia scritto senza una sbavatura, una parola di più. Con enfants terribles molto neo realisti, ma senza il patetico.
Parise era dotato di solida corazza, anche se il generone romano lo rigurgiterà senza affanno, che lui era sceso a dominare. In “Come non ci si difende dai ricordi” Nico Naldini ne fa un ritratto scurrile e anzi cattivo, di segaiolo, opportunista, frivolo, e infine, con Comisso, matto: “El xe mato come so mama”. Una signora che, simile in questo a Goffredo, dice Naldini, era nota in città per la nevrosi dell’accumulo, di guanti, borsette, eccetera. Ma non può esimersi dal distillarne con acume il dono, a proposito della curiosità all’apparenza superficiale: “Goffredo aveva spesso questa visione di se stesso come pianta fanerogama capace di inseminare a distanza mentre lui sarebbe rimasto in ozio. Perché sapeva che il suo ozio secerneva una materia che solidificandosi sarebbe diventata un racconto bellissimo”. Specie con le zie: “Le tantes non hanno mai smesso di attrarlo, per il gusto dell’intrigo che accompagnava ogni loro accidente. In ciascuno trovava contorni surreali per un impianto scenico inesauribile”.
È un romanzo comico, più di Campanile allora in voga, più del redentorista Zavattini. È il picaresco che Parise reinventa. La trascuratezza sarà allora del genere, le ripetizioni, le contraddizioni – il picaresco è un raspare, più che un intaglio. C’è anche la falsità della prima persona, un ragazzo di strada che parla come un glottologo, un esperto d’arte, e un sociologo. Il cui paradiso è una bicicletta mezzo rubata, lui che ha un nonno socialista e biciclettaio. Il genere si vuole incongruente, con un fondale di maniera, come qui è Vicenza. Le avventure hanno poco di avventuroso, come il genere invece vorrebbe: il prete bello è un ex cappellano militare, che, aitante, fascista, ignorante dell’amore, accende l’immaginario e la vita delle nubili del quartiere. Ma c’è un segreto nella scrittura.
Goffredo Parise, Il prete bello, 1954
lunedì 29 dicembre 2008
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