Cento persone a mezzogiorno occupano a piazza Venezia l’angolo cruciale con via IV Novembre, bloccando il traffico nelle quattro direzioni, tutto il centro di Roma. L’animatore dice: “Compagni, lo sciopero è un diritto. Siamo centinaia di migliaia in tutta Italia, diamo un segnale duro al governo”. Su fondo di musica di Jovanotti. Ma potrebbe essere un messaggio registrato, i cento non sono giovani, o forse sono demoralizzati, non tengono su nemmeno le bandiere rosse.
Tutt’attorno centinaia di mezzi della pubblica sicurezza, per garantire l’ordinato svolgimento dello sciopero, con alcune migliaia di poliziotti, e il controllo dal cielo con gli elicotteri. Aspettano il corteo che deve scendere per via Nazionale. A mezzogiorno e mezza i manifestanti non sono di più, e anzi di meno, quando decidono di marciare in corteo sul ministero della Gelmini a Trastevere. Occupano i binari del tram, ma sono meno dei dipendenti della Cgil centrale. Anche se a Roma, dichiarata in stato di calamità naturale, era possibile assentarsi dal lavoro senza perdere la retribuzione. I romani che appiedati vanno di fretta non mostrano alcun interesse. Non maggiore affluenza hanno registrato gli altri punti di raccolta, alla Sapienza e a San Giovanni.
La catena del dispiacete si allunga nel pomeriggio, attendendo l’esondazione del Tevere, oltralpe. La cifra di “centinaia di migliaia”, che l’Ansa ha servizievolmente riportato, circola infatti sui tg francese e spagnolo della piattaforma Sky. Non si finisce più di compatire, dopo la stessa Ansa, e i compagni spersi di piazza Venezia, la Cgil, il sindacato, la sinistra, l’Italia, il segretario Epifani che ha organizzato questo sciopero per non si sa che cosa. Cioè si sa: per aprirsi la carriera politica, ora che il suo ciclo alla Cgil è finito, sul modello Cofferati. Lo squallore è stato spesso, sotto il cielo fangoso, nell’acqua della pioggia sporca stagnante. Figurazione fisica di una politica decomposta, che tutto porta a marcire, anche il sindacato e il senso del ridicolo.
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