È una strana partita dei furbi in Europa e negli Usa sulla crisi dell’auto. In Italia Fiat Auto chiude per un mese, e non nega più la realtà. Anzi salta dall’ottimismo al pessimismo: senza aiuti non si esce dalla crisi, e comunque non più di sei gruppi sopravviveranno, la Fiat non sarà più italiana. Marchionne e John Elkann giocano cioè la carta governativa del patriottismo, che tanto costa caro per l’Alitalia. Ma non cessano la campagna politica e di astio contro Berlusconi. Il governo risponde che un intervento a favore dell’auto non sarà mai preso se non in comune con l’Unione europea.
Con la stessa Europa cioè dove la Germania ha già deciso un mese fa per i fatti suoi, salvando a caro prezzo la Opel. Dopo avere impedito già due mesi il piano europeo anticrisi proposto dalla stessa Italia. La Opel che è la maggiore antagonista della Fiat nel Centro Europa, con gli stessi modelli negli stessi segmenti di mercato.
Negli Usa le fabbriche americane di Detroit sono sotto accusa per aver sperperato la capacità innovativa e di produttività che avevano accumulato. A vantaggio delle case giapponesi negli stessi Usa, e della concorrenza in Europa e in Sud America. Il risentimento è forte nell’opinione e al Congresso, dove la maggioranza democratica al Senato ha fatto mancare i voti al salvataggio che il presidente democratico eletto Obama aveva promosso. Questo ora si farà con i fondi già stanziati per la crisi delle banche, per insistenza della Casa Bianca del presidente repubblicano uscente. Ma si trascura di dire che i tre di Detroit sono in crisi per i salari e i contributi pensionistici ben più gravosi pagati rispetto ai concorrenti nipponici negli stessi Usa.
Bisogna ritenere che l’industria dell’auto, e con essa le economie industrializzate, non siano con l’acqua alla gola? Non ancora? O non è un caso di accecamento generalizzato, di Dio che perde chi si vuole perdere?
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