I dentisti ungheresi offrono dalla pulizia alla protesi a metà prezzo, compresa una settimana di vacanza, magari in un costoso centro benessere. E non c’è solo l’avidità, sull’Italia pesa il sovietismo sindacale, un letto in un ospedale pubblico costa sempre il doppio di un letto negli eccellenti ospedali romani della chiesa, a vent’anni dalla caduta del Muro. C’è un paese in cui il comunismo non muore, il comunismo sovietico, del "tutto è regolato e nulla funziona". Della politica vecchia, della burocrazia, della disorganizzazione, delle mance, senza giustizia. Dei lavori pubblici interminabili. Della libertà di rubare allo Stato, il gas, l’elettricità, l’acqua, le tasse. Delle medicine buttate nella spazzatura ancora sigillate. Della Nomenklatura eterna, di politici ridotti a figurine di biscuit, laccate, impomatate, imbustate – perfino la Cina li ha abbandonati ma non l’Italia, Andreotti non è il solo: nessun leader del Sessantotto, nessuno del Settantasette, solo i vecchi arnesi e le loro controfigure, Prodi di Andreotti, Berlusconi di Craxi.
È immobile il sindacato, una delle forze più vivaci dell’Italia repubblicana, si direbbe incartapecorito. È immobile l’economia, malgrado le privatizzazioni e le liberalizzazioni. Che hanno finito per irrobustire il lato sovietico dell'economia con Autorità occhiute e privilegiate, costosissime, senza beneficio per i cittadini: dopo le privatizzazioni e le liberalizzazioni, l'italiano paga l'elettricità, il gas, il telefono, il conto corrente e i mutui più cari in Europa.
Le privatizzazioni hanno, dove sono intervenute, un distinto flair post-sovietico: grandi banche e industrie prese per quattro soldi, cattivi servizi, tariffe monopolistiche. Due grandi banche e quattro gruppi industriali, tutti ex pubblici, dominano la Borsa. Uno in negativo, Telecom, tre in positivo, Eni, Enel, Finmeccanica. Uno svenduto dodici anni fa per niente, e gestito dai nomi più prestigiosi del capitale italiano, a partire da Guido Rossi, l’avvocato dei ricchi: un gruppo pubblico all’avanguardia in Europa e nel mondo alla privatizzazione, per la banda larga e altri servizi, che ora non sa nemmeno farci telefonare, benché favorito nel monopolismo da autorità compiacenti, l’Antitrust, l’Agcom.
È immobile l’opinione pubblica, i media, che dovrebbero fare l’analisi e la critica di questa realtà: privati oggi come ieri, cioè ossequienti. È sempre la continuità dello Stato, se si vuole, che fa la storia italiana, dell’Unità: dei socialisti che diventano fascisti, dei fascisti che si trasformano in comunisti, e dei comunisti convertiti al mercato e liberali. Ma la classe dirigente è sempre quella, e anche i poliziotti, fascisti e democratici, forse anche cristiani, sono sempre lì a combattere insieme a noi. Si discute ora, come già dieci anni fa, sull’identità italiana, se c’è, se non c’è, o se è perversa. E può darsi che il sovietismo sia nel Dna. Certo è in una serie impressionante di fenomeni.
La nomenklatura, di padre in figlio – nelle professioni, giornalismo compreso, come in politica
I nuovi capitalisti, predoni
I dipendenti pubblici neghittosi e prepotenti
L’inefficienza: un’analisi medica in una struttura pubblica costa tre e quattro volte che in una privata
La corruzione diffusa, “normale”
La Giustizia politica
Il Grande Orecchio Selettivo
L’immunità del potere: giudici, giornalisti, carabinieri, e certi politici
Uffici giudiziari che fanno a gare a truffare lo Stato, dichiarando più udienze, più processi, più scartoffie
L’apparenza ipocrita, la durezza dei fatti
L’antiamericanismo
L’autocensura
Il comparaggio politico
La libera speculazione a sinistra. Sono campioni della sinistra i maggiori speculatori, nella tradizione di Parvus, Stavinsky, Maxwell, Soros, a danno dei risparmiatori e della legge: Soru, De Benedetti, Colaninno, Consorte, e perfino Chicco Gnutti
I privilegi: delle Camere, delle grandi Corti, del Quirinale
I circenses: notti bianche, orchestre provinciali, corsi per modelle
Comuni che si affannano a truffare i cittadini. Roma, per dirne una, il Comune meglio amministrato d’Italia, di cui è sindaco Veltroni, il politico più amato d’Italia, che manda un milione di cartelle esattoriali di tasse che sa pagate o prescritte. E un altro milione sta per mandare. A opera di un esattore pubblico, Equitalia, di proprietà dell’Agenzia delle entrate e dell’Inps. Chi paga le raccomandate? Chi paga Equitalia? Chi paga l’encomiabile call center 06 che deve tenere dietro a tutte le proteste e incanalarle verso i muti uffici Ici, dell’annona, dell’unità contravvenzioni, etc.? Chi paga gli uffici muti?
Il sovietismo qui c’entra poco, è più il gioco delle tre carte. Il Comune di Roma, che spende tantissimo ed ha quindi un bisogno insaziabile di soldi, ha tenuto banco per un paio d’anni vendendo all’esattore, allora il Monte dei Paschi, gli addebiti già pagati o prescritti. Quando i compagni del Monte si sono sottratti, avendo anticipato un sacco di soldi per niente, il buon Veltroni ha rifatto il gioco delle tre carte, rifilando il milione di cartelle ineseguibili a Equitalia, cioè a tutti gli italiani. Per i costi diretti, di ricerche, consulenze, pareri legali, raccomandate. E indiretti, per le centinaia di migliaia di nuovi casi a carico del giudice di pace e del tribunali. Il sindaco buono incassa nuovi aggi, che gli hanno consentito di respirare nel 2007, e gli consentiranno anche di tirare fino a tutto il 2008, poi si vedrà.
Questo gioco delle tre carte non è innocente, e anzi sarebbe materia penale, ma non bisogna disturbare la Procura della Repubblica, che a Roma deve fare la guerra ai rumeni. Per i destinatari del milione di cartelle sono un sacco di disagi, ma Veltroni è pur sempre il sindaco più amato d’Italia, quando gli va male ha con sé il 60 per cento dei romani. Evidentemente hanno altro di cui essergli grati, si sa che Roma è città fascista anche se vota a sinistra, volentieri affrontano il disagio della tassa pagata. In Italia è come nell’ex paradiso sovietico: la borghesia c’è ma si nega.
sabato 19 gennaio 2008
Le notizie sono provocazioni
Dice Mastella a Geremicca sulla “Stampa”: “Di Pietro ha fatto avere al giudice di Brescia che lo prosciolse un incarico da tre milioni di euro in faccende di autostrade”.
Non sollecitato, dice il direttore del Tg 1 al professor Sartori e agli altri ospiti di Tv 7: “Si dice che anche qui (al Tg 1? alla Rai?) c’è la lottizzazione, cosa non vera. Anche se alcuni si sollazzano con queste cazzate”.
Scrive Marco Imarisio da Capua sul “Corriere della sera”: “Il giorno degli arresti, due distinti signori si aggiravano nei corridoi della Procura colloquiando amabilmente con i giornalisti, chiedendo loro notizie sull’inchiesta, e soprattutto da quali fonti le avessero apprese. Erano due carabinieri in incognito”.
Sempre sul “Corriere” dice Dario Fo: “I miei amici della sinistra mi dicono che questa è solo la punta dell’iceberg…. Tentano di rallentare l’esplosione del bubbone. Ma quando accadrà si capirà tutto: perché la giudice Forleo è stata isolata e si è cercato di spaventarla; perché a De Magistris è stata tolta l’inchiesta”.
Che alla Rai, e al Tg 1, non ci sia la lottizzazione, è notizia talmente eversiva che uno s’immaginerebbe sfracelli. Ma tutte queste cose venivano dette e scritte ieri, e oggi sono scomparse, nemmeno un’eco flebile. “Non accettare le provocazioni”, si diceva ai cortei di quarant’anni fa. L’aria è ora avversa a quei cortei, ma la parola d’ordine sembra la stessa: le notizie sono provocazioni. Ieri non è un’eccezione: è stata una giornata come tante, e oggi, come tutte le altre giornate, le notizie vere, emerse per caso, imperizia, vendetta, sono accuratamente sepolte. L'altro ieri Scalfaro ha detto al "Corriere" una cosa sorprendente: "L'avviso di garanzia che gli fu recapitato a Napoli durante un vertice dell'Onu arrivò con un tempismo singolare", arrivò a Berlusconi, nel 1994. Ma non ha detto, e nessuno glielo chiede, se fu lui o fu Borrelli ad anticiparne la notizia al "Corriere della sera", he la pubblicasse in grande rilievo.
Oggi del resto si leggono altre cose succulente – sepolte domani?
Dice D’Alema a Macaluso sul “Corriere”: “La magistratura giudicante ha sempre dimostrato notevole autonomia e senso dell’equilibrio”. Sola eccezione la Forleo?
E Cossiga, sempre al “Corriere”: “I primi mafiosi stanno al Csm… Sono loro che hanno ammazzato Giovani Falcone, negandogli la Dna e prima sottoponendolo a un interrogatorio. Quel giorno lui uscì dal Csm e venne da me piangendo”.
Chiamparino scrive alla “Stampa”: “Il Pd non è niente di più di un contenitore in cui gruppi e sottogruppi tenuti insieme più da logiche di potere che da visioni politiche cercano spazi, ruoli e visibilità”.
“La Stampa” divide il Pd in sette correnti, quattro (ex) cattoliche e tre (ex) diessine.
Sempre su “La Stampa” il superlaico Marcello Pera scrive: “Il laicista non è solo sordo e cieco. Negando diritto alla fede o deridendola come residuo mitologico, il laicista è supponente e tracotante: vuole imporre il suo punto di vista, vuole avere il monopolio della verità. Dice di seguire Galileo, ma di Galileo non conosce neppure la distinzione (e talvolta contrapposizione) tra verità di fede e verità di scienza”. La parola a Odifreddi: almeno su questo ci sarà un seguito?
Non sollecitato, dice il direttore del Tg 1 al professor Sartori e agli altri ospiti di Tv 7: “Si dice che anche qui (al Tg 1? alla Rai?) c’è la lottizzazione, cosa non vera. Anche se alcuni si sollazzano con queste cazzate”.
Scrive Marco Imarisio da Capua sul “Corriere della sera”: “Il giorno degli arresti, due distinti signori si aggiravano nei corridoi della Procura colloquiando amabilmente con i giornalisti, chiedendo loro notizie sull’inchiesta, e soprattutto da quali fonti le avessero apprese. Erano due carabinieri in incognito”.
Sempre sul “Corriere” dice Dario Fo: “I miei amici della sinistra mi dicono che questa è solo la punta dell’iceberg…. Tentano di rallentare l’esplosione del bubbone. Ma quando accadrà si capirà tutto: perché la giudice Forleo è stata isolata e si è cercato di spaventarla; perché a De Magistris è stata tolta l’inchiesta”.
Che alla Rai, e al Tg 1, non ci sia la lottizzazione, è notizia talmente eversiva che uno s’immaginerebbe sfracelli. Ma tutte queste cose venivano dette e scritte ieri, e oggi sono scomparse, nemmeno un’eco flebile. “Non accettare le provocazioni”, si diceva ai cortei di quarant’anni fa. L’aria è ora avversa a quei cortei, ma la parola d’ordine sembra la stessa: le notizie sono provocazioni. Ieri non è un’eccezione: è stata una giornata come tante, e oggi, come tutte le altre giornate, le notizie vere, emerse per caso, imperizia, vendetta, sono accuratamente sepolte. L'altro ieri Scalfaro ha detto al "Corriere" una cosa sorprendente: "L'avviso di garanzia che gli fu recapitato a Napoli durante un vertice dell'Onu arrivò con un tempismo singolare", arrivò a Berlusconi, nel 1994. Ma non ha detto, e nessuno glielo chiede, se fu lui o fu Borrelli ad anticiparne la notizia al "Corriere della sera", he la pubblicasse in grande rilievo.
Oggi del resto si leggono altre cose succulente – sepolte domani?
Dice D’Alema a Macaluso sul “Corriere”: “La magistratura giudicante ha sempre dimostrato notevole autonomia e senso dell’equilibrio”. Sola eccezione la Forleo?
E Cossiga, sempre al “Corriere”: “I primi mafiosi stanno al Csm… Sono loro che hanno ammazzato Giovani Falcone, negandogli la Dna e prima sottoponendolo a un interrogatorio. Quel giorno lui uscì dal Csm e venne da me piangendo”.
Chiamparino scrive alla “Stampa”: “Il Pd non è niente di più di un contenitore in cui gruppi e sottogruppi tenuti insieme più da logiche di potere che da visioni politiche cercano spazi, ruoli e visibilità”.
“La Stampa” divide il Pd in sette correnti, quattro (ex) cattoliche e tre (ex) diessine.
Sempre su “La Stampa” il superlaico Marcello Pera scrive: “Il laicista non è solo sordo e cieco. Negando diritto alla fede o deridendola come residuo mitologico, il laicista è supponente e tracotante: vuole imporre il suo punto di vista, vuole avere il monopolio della verità. Dice di seguire Galileo, ma di Galileo non conosce neppure la distinzione (e talvolta contrapposizione) tra verità di fede e verità di scienza”. La parola a Odifreddi: almeno su questo ci sarà un seguito?
Politici di razza
S’intendevano un tempo per politici di razza i più capaci, ora sono i parenti. La moglie di Mastella, il cognato di Mastella, il consuocero di Mastella, la compagna di Bassolino, senatrice, il fratello di Pecoraro Scanio, calciatore di serie A e senatore, il primo della categoria dopo Rivera, e gli innumerevoli parenti napoletani che si danno una mano in politica, di cui fa l’elenco “Il Sole” giovedì. Nessuno scandalo, si fa in America e in Asia, e quindi va bene anche in Italia: dinastie si creano come i Clinton, i Bush, i Kennedy, i Roosevelt, i Bhutto, i Gandhi. Anche se non si fa in nessun altro posto in Europa, Polonia esclusa, e in Occidente.
In Italia, questo si può dire, si fa però di più: le genealogie sono numerose, coinvolgendo fratelli e sorelle, e in qualche caso perfino i genitori. Alla politica scopertamente assimilando le alte cariche dello Stato. Non ci sono solo i figli di Segni, La Malfa, D’Alema, Cossiga, Craxi. O le vedove, di Tarantelli, D’Antona, Calipari, delle vittime di mafia, terrorismo e americani. Ci sono anche i fratelli e la sorella del giudice Borsellino, antimafiosi severi perfino con lo Stato, anche se il giudice era di destra e loro si sono messi a sinistra. La sorella di Falcone. I genitori di Giuliani. Il senso della famiglia rimane forte, il cardinale Ruini non dovrebbe impensierirsi, nella medicina, tra i giudici, nel calcio, questo sopratutto a Milano. Fino al giornalismo, che pure fa politica, e fa dell’Italia un caso unico al mondo: c’è il Tg 5 delle figlie, la Iena figlio dell’Alto Funzionario dei media, e il figlio direttore del padre direttore, magari uno di destra e uno di sinistra.
In Italia, questo si può dire, si fa però di più: le genealogie sono numerose, coinvolgendo fratelli e sorelle, e in qualche caso perfino i genitori. Alla politica scopertamente assimilando le alte cariche dello Stato. Non ci sono solo i figli di Segni, La Malfa, D’Alema, Cossiga, Craxi. O le vedove, di Tarantelli, D’Antona, Calipari, delle vittime di mafia, terrorismo e americani. Ci sono anche i fratelli e la sorella del giudice Borsellino, antimafiosi severi perfino con lo Stato, anche se il giudice era di destra e loro si sono messi a sinistra. La sorella di Falcone. I genitori di Giuliani. Il senso della famiglia rimane forte, il cardinale Ruini non dovrebbe impensierirsi, nella medicina, tra i giudici, nel calcio, questo sopratutto a Milano. Fino al giornalismo, che pure fa politica, e fa dell’Italia un caso unico al mondo: c’è il Tg 5 delle figlie, la Iena figlio dell’Alto Funzionario dei media, e il figlio direttore del padre direttore, magari uno di destra e uno di sinistra.
venerdì 18 gennaio 2008
La Repubblica è una storia da raccontare
C'è perfino la storia di Padre Pio, e tuttavia la Repubblica resta sostanzialmente intonsa: malgrado un largo lavoro di recupero, anche se non di approfondimento, alcuni punti nodali della storia repubblicana sono vergini.
Il primo è il Pci. Non tanto il 1921 quanto Togliatti, il partito dell’Unione Sovietica. Di prima della guerra fredda, e di dopo. È molto importante per liberare mezza Italia, soprattutto la cultura – dell’amministrazione, della giustizia, della politica estera, dei rapporti umani, e perfino del cinema e della letteratura.
Il secondo è la Ricostruzione conflittuale. Gravemente conflittuale. O il ruolo di Scelba nei governi De Gasperi.
Il terzo è la continuità dello Stato dopo il fascismo. Con la conseguente estromissione di Parri il 23 novembre 1945. Oltre la solita solfa che il partito d’Azione era inconsistente: partendo dall’elezione reciproca fra De Gasperi e Togliatti (Parri lo disse “un colpo di stato”).
La primissima storia da fare sarebbe quella delle bombe, da piazza Fontana a Brescia, circa duemila attentati che hanno preceduto il terrorismo. Piazza Fontana è ormai vecchia, e alcuni testimoni importanti sono ancora in vita, i senatori Cossiga e Andreotti per primi. Ma forse per questo ancora la storia non si può fare.
Degli altri argomenti non diamo la priorità, citiamo in ordine sparso:
Le riforme di Fanfani, che sono venti – ventuno se si contano i decreti delegati del fanfaniano Malfatti.
Il centro-sinistra, l’ultimo tentativo organico di rinnovare l’Italia.
La donna imprigionata nella libertà.
Il governo del non governo. O il governo attraverso la crisi di Andreotti.
Il sindacalismo sterile o pernicioso: sanità, ferrovie, burocrazia.
La Rai, o la lottizzazione. La Rai, o la cultura del vittimismo.
Una storia della magistratura: composizione sociale, ideologie, sentenziario.
Il fascismo persistente dell’ordine giudiziario: ermellini, eccellenze, insindacabilità, litigiosità.
Una storia del Csm - contro Tobagi, contro Falcone, contro Cordova.
Una storia dei carabinieri sarebbe importante.
Una storia aggiornata del giornalismo: cos’è successo dopo Gelli, chi comanda?
In attesa di fare la storia di Mani Pulite, del trojajo che la sottende.
Il primo è il Pci. Non tanto il 1921 quanto Togliatti, il partito dell’Unione Sovietica. Di prima della guerra fredda, e di dopo. È molto importante per liberare mezza Italia, soprattutto la cultura – dell’amministrazione, della giustizia, della politica estera, dei rapporti umani, e perfino del cinema e della letteratura.
Il secondo è la Ricostruzione conflittuale. Gravemente conflittuale. O il ruolo di Scelba nei governi De Gasperi.
Il terzo è la continuità dello Stato dopo il fascismo. Con la conseguente estromissione di Parri il 23 novembre 1945. Oltre la solita solfa che il partito d’Azione era inconsistente: partendo dall’elezione reciproca fra De Gasperi e Togliatti (Parri lo disse “un colpo di stato”).
La primissima storia da fare sarebbe quella delle bombe, da piazza Fontana a Brescia, circa duemila attentati che hanno preceduto il terrorismo. Piazza Fontana è ormai vecchia, e alcuni testimoni importanti sono ancora in vita, i senatori Cossiga e Andreotti per primi. Ma forse per questo ancora la storia non si può fare.
Degli altri argomenti non diamo la priorità, citiamo in ordine sparso:
Le riforme di Fanfani, che sono venti – ventuno se si contano i decreti delegati del fanfaniano Malfatti.
Il centro-sinistra, l’ultimo tentativo organico di rinnovare l’Italia.
La donna imprigionata nella libertà.
Il governo del non governo. O il governo attraverso la crisi di Andreotti.
Il sindacalismo sterile o pernicioso: sanità, ferrovie, burocrazia.
La Rai, o la lottizzazione. La Rai, o la cultura del vittimismo.
Una storia della magistratura: composizione sociale, ideologie, sentenziario.
Il fascismo persistente dell’ordine giudiziario: ermellini, eccellenze, insindacabilità, litigiosità.
Una storia del Csm - contro Tobagi, contro Falcone, contro Cordova.
Una storia dei carabinieri sarebbe importante.
Una storia aggiornata del giornalismo: cos’è successo dopo Gelli, chi comanda?
In attesa di fare la storia di Mani Pulite, del trojajo che la sottende.
Mozione di sfiducia Pd via Mastella
Nei fatti dev’essere avvenuto come Marco Imarisio racconta oggi sul “Corriere”: arresti e denunce contro Mastella nascono in un sistema corrotto di potere e parentele locali. Non è da oggi che la giustizia convive con simili degenerazioni. E poi Capua è Napoli: tricche, ballacche e putipù sono la realtà anche nelle aule dei tribunali, con le pagliette, i principi del foro e le claques. Secondo Imarisio c’è anche di peggio: eleganti carabinieri in borghese sono stati disseminati a Capua tra i giornalisti per capire chi sapeva che cosa, e che opinione s’era formato. Roba da non crederci, in questo Napoli è sempre Napoli, che le ansie delle mamme per l’immondizia stagnante e il familismo minacciano di ridurre a dimensione piccolo borghese e quasi normale.
Ma è come se Veltroni avesse posto attraverso Mastella una mozione di sfiducia al governo. Che mantiene sempre l’obiettivo unico di evitare le elezioni quest’anno, e in qualche modo, con o senza Prodi, ci riuscirà. Ma ora rischia. Veltroni pone paradossalmente la sfiducia attraverso la componente ex Dc del suo partito. Nella persona del signore del voto di Capua, che prima era nell’Udeur di Mastella e adesso è contro di lui nel partito Democratico. La pone a tempo – quanto basta perché si arrivi ai referendum, e quindi all’estate, e a evitare le elezioni nel 2008: ma è inevitabile che Mastella si difenda attaccando.
Ma è come se Veltroni avesse posto attraverso Mastella una mozione di sfiducia al governo. Che mantiene sempre l’obiettivo unico di evitare le elezioni quest’anno, e in qualche modo, con o senza Prodi, ci riuscirà. Ma ora rischia. Veltroni pone paradossalmente la sfiducia attraverso la componente ex Dc del suo partito. Nella persona del signore del voto di Capua, che prima era nell’Udeur di Mastella e adesso è contro di lui nel partito Democratico. La pone a tempo – quanto basta perché si arrivi ai referendum, e quindi all’estate, e a evitare le elezioni nel 2008: ma è inevitabile che Mastella si difenda attaccando.
Il governo nella trappola verde
Mercoledì cade il governo. Oppure no? L’opposizione, infatti, che ha presentato una mozione contro il ministro Verde Pecoraro Scanio, ha molte pezze d’appoggio, e anche una situazione parlamentare favorevole, ma non la voglia di far cadere il governo.
I motivi d’insoddisfazione, all’interno della stessa maggioranza, nei confronti del ministro sono numerosi e densi. C’è l’emergenza: la spazzatura in Campania e le inconcludenti politiche di smaltimento dei rifiuti. C’è il nepotismo, a favore di fratelli, sorelle e conviventi. Ma soprattutto è motivo di risentimento il fatto che i Verdi, pochi, siedono sopra il più cospicuo settore di aiuti pubblici, gli unici su cui Bruxelles non può esercitare divieti e controlli: i depuratori (comunali, no consorziali, no comunali), gli acquedotti (il più famoso, l’Acquedotto Pugliese, si perde per strada la metà dell’acqua), il trattamento dei rifiuti, le energie alternative, i parchi, i restauri. Tra i settori fuori mercato, l’ambiente è la stella polare del sottogoverno, più dell’indebiata sanità, il partito degli Ingegneri e Architetti è invidiatissimo. Piantare alberi, o spiantarli, grattare i muri, disegnare una piazza, un chiosco, una panchina, la tipologia di interventi di cui Rutelli sindaco di Roma è stato l’inventore e il condottiero, con gli appalti a pioggia da uno-due milioni, tutti ora vorrebbero poterlo fare. L’unica incognita è appunto l’opposizione, che ha presentato la mozione contro il ministro, ma per l’ora della votazione sta prenotando i gabinetti.
I motivi d’insoddisfazione, all’interno della stessa maggioranza, nei confronti del ministro sono numerosi e densi. C’è l’emergenza: la spazzatura in Campania e le inconcludenti politiche di smaltimento dei rifiuti. C’è il nepotismo, a favore di fratelli, sorelle e conviventi. Ma soprattutto è motivo di risentimento il fatto che i Verdi, pochi, siedono sopra il più cospicuo settore di aiuti pubblici, gli unici su cui Bruxelles non può esercitare divieti e controlli: i depuratori (comunali, no consorziali, no comunali), gli acquedotti (il più famoso, l’Acquedotto Pugliese, si perde per strada la metà dell’acqua), il trattamento dei rifiuti, le energie alternative, i parchi, i restauri. Tra i settori fuori mercato, l’ambiente è la stella polare del sottogoverno, più dell’indebiata sanità, il partito degli Ingegneri e Architetti è invidiatissimo. Piantare alberi, o spiantarli, grattare i muri, disegnare una piazza, un chiosco, una panchina, la tipologia di interventi di cui Rutelli sindaco di Roma è stato l’inventore e il condottiero, con gli appalti a pioggia da uno-due milioni, tutti ora vorrebbero poterlo fare. L’unica incognita è appunto l’opposizione, che ha presentato la mozione contro il ministro, ma per l’ora della votazione sta prenotando i gabinetti.
giovedì 17 gennaio 2008
Petrolio giù dopo Bush - il Texas si riassesta
Non c’è tregua sul caro-petrolio. Che ondeggia sui cento dollari a barile, e sembra destinato a salire ancora. È possibile, ma la speculazione comincia già a tirare i remi in barca, e i texani si riassestano, nella certezza che il caro-petrolio non reggerà al dopo Bush. È una follia economica da tutti i punti di vista, eccettuato quello dei petrolieri, e concorre alla recessione incombente, solo la forza della presidenza americana la puntella. La crisi di Wall Street può sostenere i corsi delle materie prime, come dei beni rifugio, ma ancora per poco.
Il Texas è il maggior beneficiario dell’inarrestabile boom. Più dell’Opec e della Russia. Il Texas ha le maggiori riserve americane di petrolio e gas, anche se in diminuzione e a costo elevato, e ha le tecnostrutture e i gruppi d’interesse che gestiscono il mercato interno di tutta l’America e buona parte di quello internazionale. C’è questo fattore accanto ai tre che vengono portati a spiegazione del fenomeno: la crescita della domanda in Asia, i limiti delle riserve Opec, la speculazione in derivati sulle materie prime. L’interesse di Bush al caro-petrolio viene insinuato alla George Moore, come un complotto di famiglia per arricchirsi. Mentre i Bush sono una famiglia di politici e fanno politica. Ma, con George W., a lungo governatore del Texas, a favore appunto della Lone Star.
Il Texas è il maggior beneficiario dell’inarrestabile boom. Più dell’Opec e della Russia. Il Texas ha le maggiori riserve americane di petrolio e gas, anche se in diminuzione e a costo elevato, e ha le tecnostrutture e i gruppi d’interesse che gestiscono il mercato interno di tutta l’America e buona parte di quello internazionale. C’è questo fattore accanto ai tre che vengono portati a spiegazione del fenomeno: la crescita della domanda in Asia, i limiti delle riserve Opec, la speculazione in derivati sulle materie prime. L’interesse di Bush al caro-petrolio viene insinuato alla George Moore, come un complotto di famiglia per arricchirsi. Mentre i Bush sono una famiglia di politici e fanno politica. Ma, con George W., a lungo governatore del Texas, a favore appunto della Lone Star.
Le Civilizzazioni di Zapatero senza fondi
Organizzato in pompa col leader turco di destra Erdogan, sulla comune radice massonica, il foro madrileno Alleanza delle Civilizzazioni sarà stato il primo flop politico del socialista Zapatero. Perfino i giornali amici, “El Paìs” e “El Mundo” lo hanno snobbato, malgrado l’imponenza della manifestazione. Che si è chiusa, dopo due giorni di buoni propositi, con una serie di iniziative per 135 milioni di dollari, ma senza fondi. Zapatero si è perfino dovuto difendere sul costo della manifestazione, 11 milioni di dollari, asserendo che a essa hanno contribuito le case reali di Giordania – notoriamente incapiente – e Qatar.
L’iniziativa è partita monca: con ben cinquanta organizzazioni internazionali, quelle del turismo impegnato, e soli 32 Stati, in gran parte sceiccati. Zapatero l’ha presentata come un’iniziativa per la convivenza culturale e religiosa. Ma all’insegna anche lui del “perché non possiamo dirci cristiani (e meno che mai cattolici)”: ha invitato ulema e mullah, il gran rabbino di Israele e, per i cristiani, il metropolita di Smolensk e Kaliningrad, Kirill.
L’iniziativa è partita monca: con ben cinquanta organizzazioni internazionali, quelle del turismo impegnato, e soli 32 Stati, in gran parte sceiccati. Zapatero l’ha presentata come un’iniziativa per la convivenza culturale e religiosa. Ma all’insegna anche lui del “perché non possiamo dirci cristiani (e meno che mai cattolici)”: ha invitato ulema e mullah, il gran rabbino di Israele e, per i cristiani, il metropolita di Smolensk e Kaliningrad, Kirill.
Quante divisioni ha Odifreddi?
Il matematico Piergiorgio Odifreddi, nomen omen, a leggerlo e guardarlo fa un po’ paura. Più per l’atteggiamento che per la filosofia che espone – il matematico è anche filosofo, vedette televisiva della divulgazione scientifica, e autore di best-seller, ultimo “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)”. Per la strafottenza. Che forse gli viene da uno speciale peso scientifico: è titolare di Matematica a Torino, dice sempre che è appena tornato dall’America. O dal successo: col “Perché” è in vetta al nuovo laicismo televisivo alla Augias-Brown. Certo, è forte di una folta capigliatura.
Ma Odifreddi è anche esponente di riguardo della nuova sinistra, del partito Democratico. Sul quale è inflessibile come sul papa. Gliele canta pure a Veltroni, che dal papa è voluto andare. E alla vigilia dell’abortita visita del papa alla Sapienza, che Mussi non osteggiava, gliele ha cantate anche al ministro: “Proprio lui che ha abbandonato il Pd perché non sopportava il compromesso tra tra Ds e Margherita”. Questo Pd dev’essere un altro da quello che Odifreddi rappresenta, che appunto è un compromesso tra Ds e Margherita. Ma, se la sinistra deve morire per lui, non sarebbe giusto si chiedesse: quante divisioni ha Odifreddi?
Ma Odifreddi è anche esponente di riguardo della nuova sinistra, del partito Democratico. Sul quale è inflessibile come sul papa. Gliele canta pure a Veltroni, che dal papa è voluto andare. E alla vigilia dell’abortita visita del papa alla Sapienza, che Mussi non osteggiava, gliele ha cantate anche al ministro: “Proprio lui che ha abbandonato il Pd perché non sopportava il compromesso tra tra Ds e Margherita”. Questo Pd dev’essere un altro da quello che Odifreddi rappresenta, che appunto è un compromesso tra Ds e Margherita. Ma, se la sinistra deve morire per lui, non sarebbe giusto si chiedesse: quante divisioni ha Odifreddi?
La scienza laica di Cini
Marcello Cini, epistemologo caro a molti, ha acceso la miccia antipapale con la sua lettera al “Manifesto” il 14 novembre. Poiché quello che dice il “Manifesto” è vangelo, la lettera si cita ma non si legge. Eccola. L’argomento di Cini è che “la linea politica del papato di Benedetto XIV si fonda sulla tesi che la spartizione delle rispettive sfere di competenze tra fede e conoscenza non vale più”. Col disegno di espropriare “la sfera del sacro immanente nella profondità dei sentimenti e delle emozioni di ogni essere umano”. In particolare con “l’appoggio esplicito dato alla cosiddetta teoria del Disegno Intelligente”. Che Cini non esplicita, ma dice “tentativo – condotto tra l’altro attraverso una maldestra negazione dell’evidenza storica, un volgare stravolgimento delle controversie interne alla comunità degli scienziati e il vecchio artificio della caricatura delle posizioni dell’avversario – di ricondurre la scienza sotto la pseudorazionalità dei dogmi della religione”. Una lettere polemica, dunque, e non espistemica.
Il fatto è che Galileo non si sarebbe espresso così – è tuttora un maestro della prosa italiana, leggerlo per provarlo. Che la spartizione delle sfere tra fede e conoscenza non vale più da un pezzo. E che il Disegno Intelligente non è un crimine. È la prova di Dio del reverendo Paley (se c’è l’orologio ci dev’essere un orologiaio), che si rifaceva al sillogismo di san Tommaso d’Aquino: “Ogni qualvolta un disegno intelligente esiste, deve essere esistito un disegnatore; la natura è complessa; dunque la natura deve aver avuto un disegnatore intelligente”. Un Discovery Institute in America l’ha ripreso, senza parlare di Dio, in termini di ricerca scientifica: i processi vitali si spiegano meglio con una causa intelligente piuttosto che attraverso un processo casuale come la selezione naturale - a questo probabilmente si riferisce farraginoso Cini. Ma tanto è bastato perché l’improvvido Carlo Bernardini raggruppasse tutti i docenti della gloriosa facoltà di Fisica della Sapienza per scrivere burocraticamente al rettore: “Condividiamo in pieno la lettere di critica che il collega Marcello Cini le ha indirizzato sulla stampa”. Aggiungendo: il papa ha diffamato Galileo, in un discorso a Parma, il 15 marzo 1990.
Il discorso a Parma si è rivelato essere un cenno di venti righe, abbozzato a Rieti subito dopo la caduta del Muro e ripreso a Madrid due mesi dopo, sulla caduta delle certezze, anche nella scienza e nella tecnica. Il papa vi cita Ernst Bloch e Feyerabend a proposito di Galileo: “All’epoca di Galileo la chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo”. Il papa è tedesco e cita i tedeschi, ma avrebbe potuto citare il coevo e rispettato storico Pietro Redondi, la cui summa di studi galilaiani, "Galileo eretico", ora ristampato, uscì per la rima volta nel 1983. O l'accurato romanzo di Jacob Popper, “L’uomo e l’ombra”, del 1966. Insieme con Bloch e Feyerabend il papa citava Carl Friedrich von Weizsäcker, per la nota “via direttissima” che arriva alla Bomba partendo da Galileo. Il fermo Fermi non dissentirebbe, e non molti hanno dubbi. È peraltro con la Bomba che la scienza ha ripreso a dubitare. Leggendo Cini sembra di no, ma la sua lettera è piena d’inesattezze, non solo nell’assunto principale.
Identifica la democrazia in Oscar Luigi Scalfaro, un uomo che ha dissolto due Parlamenti in due anni. Incarna nella Sapienza 705 anni di autonomia antipapalina, mentre la Sapienza fu fondata da un papa, e non dei migliori, Bonifazio VIII. Dice che della teologia “non c’è più traccia nelle università moderne, per lo meno in quelle pubbliche degli stati non confessionali”. No, la teologia c’è sempre nelle università dove c’era, in Germania, Svizzera, Inghilterra, Belgio, Olanda, etc. Mentre non si trova “la spartizione delle sfere di competenze tra Accademia e Chiesa” che ci sarebbe dai tempi di Cartesio. Troppe sfere.
Il problema, che Cini certo sa anche se sfugge ai cofirmatari, è che questo laicismo puzza di complotto. Di chi vede ovunque la mano della chiesa, della massoneria, della Cia, dei servizi deviati, delle forze in agguato della reazione. E non li vede magari dove ci sono. Diceva Pascoli già un secolo fa, scrivendo alla Gentile Ignota, nel mezzo dell'Italia anticlericale: “Bisognerebbe, per la salute dell’Italia e dell’Umanità, che i cosidetti anticlericali e i clericali si mangiassero gli uni gli altri, come i due lupi della favola, e ne restasse solamente la coda, a testimonianza che erano bestie, e bestie simili, gli uni e gli altri”.
L’antipapalino “Micromega” ha nello speciale “Per una riscossa laica” (pp.240, € 14), prodotto in funzione antipapale, un’ottima aneddotica e una felice conclusione del sociologo Alessandro Dal Lago, che opportunamente riporta laico al suo significato. Il laos greco è il popolo, come il tedesco Leute, e dunque laikos è in greco “del popolo”. Da qui il latino laicus, “il credente minuto”, non ecclesiastico. E l’inglese layman, il non esperto, il profano o dilettante. Nulla di più. Si arriva nel costituzionalismo laico, ricorda Dal Lago, a negare la costituzione materiale, col solo fine di tener fuori dalla società la chiesa. Ma la chiesa non ha partecipato, e non partecipa, alla Costituzione formale? “Se la difesa degli spazi di libertà”, conclude Dal Lago, “che io non vedo che come cittadinanza in progress, è lasciata ai limatori delle convenzioni europee, a qualsiasi sparso erede dei dossettiani, e ai nostalgici carducciani e frammassoni, la battaglia è perduta in partenza”. È la stessa battaglia dell’uguaglianza.
Il primo libro laico della storia è il Vangelo, che demitizza tutto. Ed è anche anticlericale, ma in dibattito.
Il fatto è che Galileo non si sarebbe espresso così – è tuttora un maestro della prosa italiana, leggerlo per provarlo. Che la spartizione delle sfere tra fede e conoscenza non vale più da un pezzo. E che il Disegno Intelligente non è un crimine. È la prova di Dio del reverendo Paley (se c’è l’orologio ci dev’essere un orologiaio), che si rifaceva al sillogismo di san Tommaso d’Aquino: “Ogni qualvolta un disegno intelligente esiste, deve essere esistito un disegnatore; la natura è complessa; dunque la natura deve aver avuto un disegnatore intelligente”. Un Discovery Institute in America l’ha ripreso, senza parlare di Dio, in termini di ricerca scientifica: i processi vitali si spiegano meglio con una causa intelligente piuttosto che attraverso un processo casuale come la selezione naturale - a questo probabilmente si riferisce farraginoso Cini. Ma tanto è bastato perché l’improvvido Carlo Bernardini raggruppasse tutti i docenti della gloriosa facoltà di Fisica della Sapienza per scrivere burocraticamente al rettore: “Condividiamo in pieno la lettere di critica che il collega Marcello Cini le ha indirizzato sulla stampa”. Aggiungendo: il papa ha diffamato Galileo, in un discorso a Parma, il 15 marzo 1990.
Il discorso a Parma si è rivelato essere un cenno di venti righe, abbozzato a Rieti subito dopo la caduta del Muro e ripreso a Madrid due mesi dopo, sulla caduta delle certezze, anche nella scienza e nella tecnica. Il papa vi cita Ernst Bloch e Feyerabend a proposito di Galileo: “All’epoca di Galileo la chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo”. Il papa è tedesco e cita i tedeschi, ma avrebbe potuto citare il coevo e rispettato storico Pietro Redondi, la cui summa di studi galilaiani, "Galileo eretico", ora ristampato, uscì per la rima volta nel 1983. O l'accurato romanzo di Jacob Popper, “L’uomo e l’ombra”, del 1966. Insieme con Bloch e Feyerabend il papa citava Carl Friedrich von Weizsäcker, per la nota “via direttissima” che arriva alla Bomba partendo da Galileo. Il fermo Fermi non dissentirebbe, e non molti hanno dubbi. È peraltro con la Bomba che la scienza ha ripreso a dubitare. Leggendo Cini sembra di no, ma la sua lettera è piena d’inesattezze, non solo nell’assunto principale.
Identifica la democrazia in Oscar Luigi Scalfaro, un uomo che ha dissolto due Parlamenti in due anni. Incarna nella Sapienza 705 anni di autonomia antipapalina, mentre la Sapienza fu fondata da un papa, e non dei migliori, Bonifazio VIII. Dice che della teologia “non c’è più traccia nelle università moderne, per lo meno in quelle pubbliche degli stati non confessionali”. No, la teologia c’è sempre nelle università dove c’era, in Germania, Svizzera, Inghilterra, Belgio, Olanda, etc. Mentre non si trova “la spartizione delle sfere di competenze tra Accademia e Chiesa” che ci sarebbe dai tempi di Cartesio. Troppe sfere.
Il problema, che Cini certo sa anche se sfugge ai cofirmatari, è che questo laicismo puzza di complotto. Di chi vede ovunque la mano della chiesa, della massoneria, della Cia, dei servizi deviati, delle forze in agguato della reazione. E non li vede magari dove ci sono. Diceva Pascoli già un secolo fa, scrivendo alla Gentile Ignota, nel mezzo dell'Italia anticlericale: “Bisognerebbe, per la salute dell’Italia e dell’Umanità, che i cosidetti anticlericali e i clericali si mangiassero gli uni gli altri, come i due lupi della favola, e ne restasse solamente la coda, a testimonianza che erano bestie, e bestie simili, gli uni e gli altri”.
L’antipapalino “Micromega” ha nello speciale “Per una riscossa laica” (pp.240, € 14), prodotto in funzione antipapale, un’ottima aneddotica e una felice conclusione del sociologo Alessandro Dal Lago, che opportunamente riporta laico al suo significato. Il laos greco è il popolo, come il tedesco Leute, e dunque laikos è in greco “del popolo”. Da qui il latino laicus, “il credente minuto”, non ecclesiastico. E l’inglese layman, il non esperto, il profano o dilettante. Nulla di più. Si arriva nel costituzionalismo laico, ricorda Dal Lago, a negare la costituzione materiale, col solo fine di tener fuori dalla società la chiesa. Ma la chiesa non ha partecipato, e non partecipa, alla Costituzione formale? “Se la difesa degli spazi di libertà”, conclude Dal Lago, “che io non vedo che come cittadinanza in progress, è lasciata ai limatori delle convenzioni europee, a qualsiasi sparso erede dei dossettiani, e ai nostalgici carducciani e frammassoni, la battaglia è perduta in partenza”. È la stessa battaglia dell’uguaglianza.
Il primo libro laico della storia è il Vangelo, che demitizza tutto. Ed è anche anticlericale, ma in dibattito.
lunedì 14 gennaio 2008
Sofri, figura tragica dell'epoca
Ha voluto parlare fuori dal mondo Adriano Sofri con Fabio Fazio sabato sera a “Che tempo che fa”. E tuttavia è sempre più la figura tragica dell’epoca. Più di Craxi, che in qualche modo se l’era cercata. Dell’epoca dei processi politici milanesi – se non furono un golpe, di Scalfaro e degli scarti del Msi e del Pci. Anche nel suo conformismo odierno di maniera.
Anche somaticamente, nel sorriso assente, nel tono monocorde, quel colloquio con Fazio sembrava uscito da “1984”. I processi e la condanna di Sofri sono parte dell’Indicibile della storia d’Italia. Come le bombe, migliaia di bombe impunite a partire da piazza Fontana. Una storia che non si può raccontare, anche se alcuni testimoni oculari sono bene in vita, Cossiga, Andreotti, Scalfaro, e gli scheletri del Pci, o forse per questo. Sofri ne è la figura tragica anche perché nel processo e dopo si è affidato ai suoi persecutori.
Un guizzo dell’antica ingenuità ha avuto solo sulla trappola di rito. È prassi dire che “quelli del Sessantotto” sono diventati direttori di giornali, che non è affatto vero, ma Sofri non si è sottratto. Alla velata accusa di carrierismo. Il Sessantotto ha fatto la felicità di tutti quelli della sua età, compresi gli scalpellini e i calzolai, se ce ne sono ancora. Che tutti però si pongono adesso fuori dal mondo, anche se non hanno avuto processi e condanne, per il motivo che non sono mai entrati nelle istituzioni, ne sono stati anzi tenuti fuori, non c’è un leader politico o un ministro che abbia potuto farsi strada venendo da quell’esperienza.
Anche somaticamente, nel sorriso assente, nel tono monocorde, quel colloquio con Fazio sembrava uscito da “1984”. I processi e la condanna di Sofri sono parte dell’Indicibile della storia d’Italia. Come le bombe, migliaia di bombe impunite a partire da piazza Fontana. Una storia che non si può raccontare, anche se alcuni testimoni oculari sono bene in vita, Cossiga, Andreotti, Scalfaro, e gli scheletri del Pci, o forse per questo. Sofri ne è la figura tragica anche perché nel processo e dopo si è affidato ai suoi persecutori.
Un guizzo dell’antica ingenuità ha avuto solo sulla trappola di rito. È prassi dire che “quelli del Sessantotto” sono diventati direttori di giornali, che non è affatto vero, ma Sofri non si è sottratto. Alla velata accusa di carrierismo. Il Sessantotto ha fatto la felicità di tutti quelli della sua età, compresi gli scalpellini e i calzolai, se ce ne sono ancora. Che tutti però si pongono adesso fuori dal mondo, anche se non hanno avuto processi e condanne, per il motivo che non sono mai entrati nelle istituzioni, ne sono stati anzi tenuti fuori, non c’è un leader politico o un ministro che abbia potuto farsi strada venendo da quell’esperienza.
Se la sinistra è, come aprile, più crudele
Il 40 per cento del reddito fisso è in Italia di pensionati. Del reddito che paga le tasse senza partita Iva, cioè, senza la possibilità di dedurre spese di produzione e ammortamenti. Il pensionato è anche fra tutti quello che meno può arrotondare con la seconda e terza occupazione in nero, come si è sempre fatto in Italia ben prima che lo scoprisse il professor Gallino. È per questo odiosa, perché è crudele, la politica di aumento delle tasse che il governo di centrosinistra, unico in Europa, persegue. Sono aumentati tutti i bolli, alcuni più volte, dalla televisione alla circolazione, alla tassa sul conto corrente, eccetera. Sono aumenta le addizionali comunali e regionali Irpef. Sono aumentati ovunque i coefficienti dell’Ici. Un fardello specialmente odioso, considerato che tutti hanno una seconda casa, quella del paesino d’origine, che non possono vendere nemmeno se volessero. Molti Comuni, Roma capofila, stanno imponendo la revisione dei coefficienti catastali a spese dei proprietari, e con la pretese di cinque anni di arretrati dell'Ici qualora i coefficienti aumentino. In termini tariffari, di costo per un servizio, la Tarsu e il minimo per l'acqua sono ridicolmente alti ovunque per una o due persone, sono la vecchia imposta sul sale. Pesano di più, inoltre, su questo quaranta per cento d’italiani i ticket sulla sanità: perché con l’età si ha più bisogno della sanità, e le procedure per l’esenzione sono farraginose e arbitrarie.
Dopo il raddoppio dei prezzi in omaggio all’euro, e il secondo raddoppio per il petrolio, la sanguisuga fiscale: questa ferocia non è senza conseguenze economiche. L’impoverimento del reddito fisso è una delle due componenti dell’impoverimento della domanda, che ha bloccato l’economia – l’altro è il reddito insufficiente e precario delle classi d’età fino ai 30-35 anni. Che il ministro dell’Economia, coi suoi “bamboccioni”, non si sia accorto di questa evidente verità lo definisce. Ma è tutto il governo del Professore d’Economia che non lo sa. Anche aprile è crudele, nella poesia, ma fa sbocciare qualcosa, mentre qui c'è il deserto.
La sinistra si connota per l’irenismo, e quindi c’è da interrogarsi se il Prodi dracula è di sinistra – non lo è: lui è una maschera di Andreotti. Contro questi prelievi costanti fa valere una serie di provvedimenti di sostegno del reddito, ma giusto per intorbidare il quadro. Sono minimi, cento-centocinquanta euro, una tantum, inappetibili, e comunque difficili da ottenere: assegnetto agli incapienti – chi è un “incapiente”? -, assegnetto alle pensioni minime, assegnetto alle giovani coppie in affitto, con procedure da incubo, e di nuovo le fasce sociali per l’elettricità e il gas, che sono impraticabili in regime di mercato.
Dopo il raddoppio dei prezzi in omaggio all’euro, e il secondo raddoppio per il petrolio, la sanguisuga fiscale: questa ferocia non è senza conseguenze economiche. L’impoverimento del reddito fisso è una delle due componenti dell’impoverimento della domanda, che ha bloccato l’economia – l’altro è il reddito insufficiente e precario delle classi d’età fino ai 30-35 anni. Che il ministro dell’Economia, coi suoi “bamboccioni”, non si sia accorto di questa evidente verità lo definisce. Ma è tutto il governo del Professore d’Economia che non lo sa. Anche aprile è crudele, nella poesia, ma fa sbocciare qualcosa, mentre qui c'è il deserto.
La sinistra si connota per l’irenismo, e quindi c’è da interrogarsi se il Prodi dracula è di sinistra – non lo è: lui è una maschera di Andreotti. Contro questi prelievi costanti fa valere una serie di provvedimenti di sostegno del reddito, ma giusto per intorbidare il quadro. Sono minimi, cento-centocinquanta euro, una tantum, inappetibili, e comunque difficili da ottenere: assegnetto agli incapienti – chi è un “incapiente”? -, assegnetto alle pensioni minime, assegnetto alle giovani coppie in affitto, con procedure da incubo, e di nuovo le fasce sociali per l’elettricità e il gas, che sono impraticabili in regime di mercato.
Il mondo com'è (5)
astolfo
Europa – È teutonica. Doveva essere il continente, la patria, delle diversità, è invece infine il Reich, ottuso cioè e monocratico, ogni originalità vi è debolezza. L’aneddotica non copre-cancella questo fatto semplice e noto, emerso in occasione del primo allargamento, quando l’allegra tolleranza verso Francia e Italia scemò vistosamente, del secondo allargamento, e dell’inverosimile vicenda Sme-Euro. Vi si ritrovano a loro agio i paesi tedeschi, Austria, Olanda, Belgio, la Scandinavia, i paesi dell’Est, e la componente tedescofila della cultura spagnola. La Gran Bretagna per questo certamente si tiene in guardia: come sempre ammira il teutonismo, ma poi finisce per combatterlo. La Francia ne ha già il rigetto, le lusinghe di Berlino non hanno più presa. L’Italia accetta tutto, e quindi soccombe senza resistenza.
Tutto quanto è italiano è in difetto per Bruxelles. Il che è impossibile, ma è la maniera d’essere dell’Italia, scusarsi. Un paese che bene o male, pur non avendo cattedre di razzismo, e anzi compiacendosi dell’anticritica, ha fatto ricchi i suoi connazionali quasi quanto lo sono i tedeschi, e anzi alcuni li ha fatti più ricchi, i tedeschi del Sud Tirolo, molto più ricchi.
L’Europa non c’è più perché la Germania la modella. Non si rifarà predicando l’irenismo, del clima compreso, che essa non pratica. Né con le Mercedes: altre realtà regolano la realtà.
Giovanni Paolo II – Sarà stato il messia di cui ha rivestito i segni esterni: la sorpresa, la rutilanza, la gioia, il castigo, la sofferenza, la passione. Ha ridato l’utopia – la grazia – alla chiesa, ai credenti in tutto il mondo, agli oppressi, e perfino, un po’, all’Italia. Ma potrebbe avere fatto di più, a giudicare dall’agio con cui si muove il suo modesto successore: potrebbe avere rimesso la chiesa al passo coi tempi. Di cui sempre era stata la guida, fino alla sfida di Lutero e dei principi. Per cinque secoli si era poi rinchiusa, rifiutando la scienza, la ragione, i diritti umani, e perfino la libertà, nell’angolo dove era stata costretta, tra sessuofobia e giaculatorie.
Questione morale – La questione morale è la questione morale. Storicamente, come viene applicata in Italia. Con quattro milioni di licenziamenti tra il 1993 e il 1998. Il dimezzamento del valore dei salari tra il 1998 e il 2008. L’appropriazione a prezzo vile dell’immenso patrimonio dello Stato – una seconda manomorta. Una giustizia penale discriminatoria. E la politica cancellata a favore di un’opinione pubblica padronale. Che questa questione morale ha presentato e presenta come rivoluzionaria.
Che ciò sia possibile – che una questione morale così velenosa sia possibile - è la tragica eredità di Berlinguer, leader mediocre, e forse luciferino, che il Partito portò per la prima volta alla sconfitta ed è invece la massima icona del popolo degli onesti-belli-e-buoni. La questione morale è di destra. È un regolamento di conti – una guerra per bande nel gergo di mafia. E come tutto viene dall’America, l’“etica negli affari”, il grande imbroglio degli ultimi venti anni.
C’è la solita questione morale all’italiana, quella del deputato repubblicano Nasi, che, insegnava Spadolini, fu condannato a undici mesi per appropriazione di una sedia, da coloro che dieci anni prima avevano impunemente saccheggiato la Banca Romana, allora la più grande. Storia che si può raccontare anche in questi termini – la storia in Italia non è mai esplicita: Nunzio Nasi era un duro, era stato ministro di Pelloux, ma quando si apprestava a diventare capo della massoneria fu condannato per la sedia.
In termini attuali, come arma politica, la questione morale è quella messa in opera dai Democratici Usa per rimuovere con ignominia Nixon, che i belli-e-buoni del grande capitale non sopportavano più. I Democratici di John e Robert Kennedy, che infangarono gli Usa in Vietnam, e più volte tentarono di uccidere Castro, anche di persona – prima che i Democratici se ne liberassero, dei Kennedy. Non c’è in America l’autonomia del politico (bel tema), non ci può essere. Con l’effetto, dopo un lungo esercizio di questione morale, e codici etici garibaldinamente adottati in ogni impresa, della più grande truffa mai perpetrata nella storia, da parte di Enron, Cisco, etc.
All’italiana la cosa è di minori dimensioni - esclusa Parmalat, che resterà nell’empireo della malversazione. Ma è saldamente ancorata come un tumore nella sinistra politica, di cui sono stati o sono eroi i maggiori speculatori, con Parmalat, Cirio, Tiscali, CdbWebTech: Tanzi, il misirizzi Cragnotti, l’uomo che sempre ha dato fiducia alle banche, De Benedetti nelle sue tantissime incarnazioni (CdbWebTech è l’ultima di una serie: Fiat, Ambrosiano, Buitoni-Sme, Société Générale de Belgique, Olivetti per due-tre volte, Omnitel-Mannesmann), Soru. C’è chi, dopo dieci anni, ancora non s’è ripreso da Tiscali a cento euro.
Riforma – Solo in Italia è un fatto spirituale, dell’uomo che parla con Dio, e una Gestalt positiva, socializzante, un Nuovo Secolo Primo dell’era cristiana. Fin dall’inizio la Riforma fu un affare politico, in Germania, Svizzera, Praga, Fiandre e altrove, per non parlare dell’anglicanesimo. E poi non c’è l’uomo e il suo Dio – c’è in quanto solitudine, benché presuntuosa. La fede socializza nella specie, se non nel gruppo o nella comunità, anche i mistici e gli eremiti sanno di non essere soli.
Sessantotto – Una rivoluzione per certo. Anche per la prova del nove inoppugnabile: la mediocrità di chi se ne proclama autore, che la memorialistica documenta in modo tragico – la rivoluzione, si sa, quando si dichiara già c’è stata.
È un anno che è un decennio. Con la strada, e i suoi caratteri, beat, hippie, provo, Mary Quant e il no bras, i Beatles, Berkeley, la Kent State University, Mogador e l’amore in spiaggia, Ohnesorge a Berlino, il rifiuto del lavoro e dei consumi, cioè la scelta, o il proporsi il tema felicità, l’anti-Vietnam come anti-bellicismo. Con i venticinque anni di pace naturalmente, e il boom perdurante. Il papa buono e il Concilio vaticano II.
La presunzione di appropriarselo è ridicola al punto di fare propria la critica di carrierismo che sempre insegue il Sessantotto. Mentre nessun leader politico ne è potuto emergere, e i pochi che si sono fatti un nome lo devono alla violenza (Rinaldi) o al democristianesimo di complemento (Lerner, Liguori, Annunziata, Riotta).
C’è però un Sessantotto bis che non quadra, quello di Cuba, fino al subcomandante Marcos e a Chavez, delle Guardie Rosse, del Compagno Mao, dei partitini e, infine, delle bande. Che si può dire tranquillamente degli usurpatori trinariciuti, quelli che prima si erano nascosti dietro il fascismo di Pasolini. È infatti solo italiano e tedesco, il Sessantotto dei partiti Comunisti. Nulla del genere in America e in Inghilterra, dov’è nato, né in Francia, dove s’è illustrato con le “trenta gloriose”, eove anzi la denuncia è stata tempestiva e costante dei gulag e dei laogai.
Sinistra-Destra – La destra intellettuale, benché vincolata a Berlusconi, è più vivace della sinistra, così come la base elettorale della destra. Intanto perché la base elettorale catturata da Berlusconi è in buona parte di sinistra (lavoratori, internazionalisti, modernisti) ma la sinistra ancora non lo sa, dopo dodici o quindici anni, malgrado le sue folte schiere di forti pensatori del pensato. La destra intellettuale è innovativa perché è più libera - anzi è libera, nessuno la controlla. Anche in virtù della mediocrità del suo referente politico, dallo stesso in qualche modo riconosciuta, con l‘indigenza dell’opposizione politica.
Certo, è dubbio essere di sinistra in Italia, e quasi impossibile, Bobbio, l’ultimo che vi si è esercitato una quindicina d’anni fa, non saprebbe che dirne. Anche se la sinistra in Italia non solo non fa mai autocoscienza, ma continua a ritenersi con piena coscienza la parte buona del paese, lo schieramento di chi è onesto, bravo, buono, paga le tasse e aiuta i poveri. Petizione incontestabile, anche se con correzioni – la sinistra è impegnata sul sociale, la destra bada ai suoi interessi, e questo non è simpatico ma non porta dritto all’inferno. La petizione però si scontra con la realtà. Sono di sinistra i giornali di sinistra? tutti di padroni, bene assestati sui loro interessi, e molto manovrieri, se non calunniosi. Sono di sinistra la Rai e il Csm? luoghi di trasformismo integrale e lottizzazione. È di sinistra Visco? che aumenta le tasse dei poveri, dieci euro qua, quindici là, e quindici al mese per l’addizionale comunale Irpef, facendosi inviare fax – dai luoghi di lavoro – che inneggiano agli aumenti, promuovendo studi che proclamano felici i pagatori di tasse, pagandoli anche, coi soldi delle tasse. È di sinistra la questione morale? È di sinistra il gossip? pettegolezzo calunnioso che in Italia si esercita non sulle questioni di letto e di corna, che non hanno mai fatto male a nessuno, ma sulla e contro la politica. Che cosa resta a sinistra se non la politica, quali altri armi ha?
La sinistra si ferma alla Resistenza, se fu rossa o tricolore, e al 1956, a cosa disse Ingrao o Alicata (che si scopre, incidentalmente, personaggio colto e amabile, sotto la crosta della calunnia comunista). Per l’indigenza della storia e della sociologia politica in Italia. Che però è saldamente presidiata dalla sinistra, anche nelle forme dell’economia e della tuttologia: Rai, università, giornali, ospedali, uffici giudiziari. Restano ignoti gli Usa, il globalismo, la Cina, l’Asia, e della stessa adorata America Latina si ha immagine caricaturale alla Pancho Villa: Castro, Maradona, Chàvez, e il subcomandante Marcos che s’è perso nella selva. Sono ignoti il Vaticano, Giovanni Paolo II, il cristianesimo. E l’Europa? Poco o nulla si sa o si capisce di Bruxelles, Eurostat, Bce, o del centralismo teutonico che sta dissolvendo l’Italia.
Per l’indigenza culturale degli (ex) comunisti? No, tutti gli intellettuali di sinistra sono ormai ciechi. Tenuti al morso stizzoso dell’anti-berlusconismo. Che potrebbe essere stato inventato, agli effetti pratici, dallo stesso Berlusconi, si capisce che alfieri ne siano (ex) fascisti – sarebbe il romanzo del berlusconismo se ancora vigesse l’“a chi giova?” e ci fosse la contro-informazione. Però è vero che la Dc, nelle sue varie reincarnazioni, naviga furba proprio sulle rovine della cultura socialcomunista, sindacale, protezionista, centralista, pauperista. Mentre a destra il linguaggio è più onesto. Più concreto anche. Non concreto, dato che ha l’handicap Berlusconi, altalenante con cadute siderali, ma “più” onesto e concreto. Di buonsenso.
Pochi dubitano che la Campania gestita da Berlusconi avrebbe raccolto la spazzatura. Con o senza la camorra. Se Moratti dice che stabilizza trentamila precari l’anno, o quarantamila, la cosa succede. Mentre se Fioroni dice che ne stabilizza duecentomila, nessuno dubita che non siano chiacchiere, come sono state. Che Moratti non ne ottenga credito, è parte del gioco. Ma dalla parte dell’ipocrisia.
astolfo@antiit.eu
A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (13)
Giuseppe Leuzzi
Sudismi\sadismi. A volte la verità è semplice, e a Napoli è addirittura strafottente. Compresa la vergogna delle Autorità: la Procura della Repubblica, il duetto Antonio-Rosetta, che hanno rodato gli amori assassini del Partito Democratico, la televisione e i giornali, comprese le opulente cronache locali. “In questa provincia il 39 per cento della popolazione ha precedenti penali”, dice il capo della Mobile di Napoli, Vittorio Pisani, al “Sole 24 Ore” del 12 gennaio. È solo una delle cose note segrete che l’illeggibile giornale della Confindustria sta mettendo in chiaro. I quartieri camorristici sono puliti. Si è speso un miliardo in dieci anni per niente. I treni spazzatura sono costati 68 milioni. Si pagano stipendi d‘oro e terreni d’oro, e i rifiuti si bagnano con l’acqua per farli pesare di più, a beneficio dei trasportatori, anche se bagnati non bruciano nell’inceneritore.
Ferruccio de Bortoli, che ha preso la direzione del “Sole” in alternativa alla pensione, non più gradito al “Corriere della sera”, si diverte con due inviati veri a dire tutto quello che i grandi giornali, le grandi televisioni, e le grandi Procure della Repubblica, con diecine e centinaia di redattori, corrispondenti, inviati, addetti e consulenti, non dicono su Napoli e Caserta. Tutti i dati degli inviati del “Sole” sono pubblici e anzi ufficiali. La spazzatura è una storia di vergogne.
Manca al “Sole”, ma si sa, che i miliardi spesi inutilmente sono uno e mezzo e forse due, perché nessuno fuori di Napoli-Caserta è stato pagato, né le ferrovie che trasportano i rifiuti né gli appaltatori che li smaltiscono né i Comuni che generosamente se li sono accollati. Alcuni dei quali sono anzi sotto processo per abuso d’ufficio, appalti fuori gara, eccetera, la giustizia sa essere terribile. A Napoli no, ma solo per la spazzatura, la spazzatura a Napoli non esiste - contro Moggi invece, per dire, schiera i migliori apparati dei carabinieri, i migliori decrittatori e consulenti d’informatica, un migliaio di pagliette, in rappresentanza di duecento, o trecento, parti civili, e i migliori cronisti, i più informati, di prima mano, rapidi, fidati.
Napoli si conferma la capitale d’Italia, morale e del diritto. Le statistiche della macchina operativa della giustizia, che il “Corriere” è riuscito a procurarsi e a “leggere” nel numero di fine 2007, parlano chiaro (i dati sono del 2006): Napoli, con un milione di residenti, ha 1.029 magistrati, 118 giudici onorari, e 692 giudici di pace. Molti più di Milano, che ha 1,3 milioni di residenti, e di Roma, che registra 2,8 milioni di abitanti. Roma ha qualche giudice onorario in più, 144 contro i 118 di Napoli, ma la metà dei giudici di pace, 370 contro 692, e un numero inferiore di magistrati, solo 953. Milano viene dietro in tutte le categorie, abbondantemente: 865 magistrati, 66 giudici onorari e 372 di pace. Solo come amministrativi Roma supera Napoli, ma di poco: 4.993 contro 4.791 (Milano arranca con 3.736). In rapporto alla popolazione, Napoli ha 18 giudici e mezzo ogni diecimila persone, Milano uno, Roma mezzo, un po’ meno di mezzo. È un raffronto grossolano, ma il trionfo del pagliettismo è indubbio.
Il tono fa impressione, tra l’acredine e la minaccia, nella levata lombarda di scudi su Malpensa, il genere che il “Corriere” codifica in “Milano sarà costretta a fare da sé”, il tono è sempre risorgimentale. Ma questo è quello che tutta Italia spera che Milano per una volta faccia. Visto in sezione, l’affare Malpensa è semplice: uno scalo che le faziosità municipali non hanno consentito di infrastrutturare, e a cui Linate, l’altro scalo milanese, fa una concorrenza imbattibile. Risultato: nove voli intercontinentali su dieci del Nord Italia si fanno, via Linate, Bergamo, Bologna, Torino, Venezia, da altri grandi aeroporti europei. Milano tuttavia, pur viaggiando operosamente tranquilla via Linate e Bergamo, non resiste alla tentazione di far buttare altri miliardi - “le toccano”, questo è il sentire di Milano rispetto alla cosa pubblica.
Milano ha accollato alla Repubblica una lunga serie di bufale, all’insegna volta a volta dell’“italianità”, del “lombardismo”, e di “quel che è bene per Milano è bene per la patria”. La più grossa, Montedison, è costata all’Eni, cioè allo Stato, più o meno 25 mila miliardi in venticinque anni - dopodichè Milano stessa ha annientato con Montedison una classe politica e le istituzioni della Repubblica, buttando l’Italia nel caos: tre milioni di licenziamenti, il mercato nero del lavoro istituzionalizzato, la corruzione impunita. Ma anche Malpensa non è bufala da poco. Venticinque anni per realizzare lo scalo intercontinentale (la prima idea di Nordio, cioè di Alitalia, è del 1979), a un costo di cinquemila miliardi, più o meno per niente, sei diversi progetti nei tre anni cruciali del lancio, che hanno portato alla fuga di Klm, senza contare l’inabissamento di Az, che ora si vende gratis.
Sempre Milano si scandalizza. Ma è dubbio che Milano esista.
La borghesia italiana si nega: non si è mai riconosciuta come potere, per non pagarne gli oneri, non ha posto – non si è poste – delle regole. E Milano, quintessenza di questa borghesia, testa pensante, stomaco ruminante, pie’ veloce, per scappare meglio coi patrimoni di mezza Italia che regolarmente vi scompaiono, si nega doppiamente. Nega di esserlo, di essere questa borghesia infida. E anzi se ne erge periodicamente a giudice (la vera questione morale è la stessa questione morale, della capitale morale d’Italia).
Milano è Ferravilla, che a duello intima all’opponente: “Sta’ fermo, altrimenti non ti posso infilzare”.
Il vice-capo dell’antimafia, Contrada, burocrate isolato, Calogero Mannino, l’unico Dc che non c’entri, l’onorevole Andreotti quando decreta il 41 bis e non prima, il generale Mori e il capitano “Ultimo” che hanno preso Riina, e perfino Caselli, il procuratore capo del dopo Falcone e Borsellino: tutti sono andati sotto accusa a Palermo per collusione con la mafia. Anzi, con l’eccezione finora di Caselli, sono andati o sono sotto processo. In processi di grande impegno, che hanno distratto le Procure isolane da altri casi che si penserebbero urgenti, per esempio il traffico di vite umane sulle coste meridionali. Nessun giudice è innocente, ma questi non hanno pudore.
Ci vorrebbe molto meno, se non si trattasse della procura di Palermo, per dirla una sceneggiata mafiosa, di cosche in guerra, non cruenta, tra di loro. Talmente mafiosa da mimare la farsa, spensierata cioè, insolente, impunita. E se non fosse che i processi sono veri. E che la procura di Palermo è la giustizia. La giustizia italiana, protetta da un Consiglio superiore, cupola di uomini eletti che il Capo dello Stato presiede. Lo Stato non può fare tutti i processi, bisogna essere comprensivi, deve dedicare uomini, mezzi e risorse a certi processi piuttosto che agli scippi, benché violenti, ai furti, alle protezioni, ai traffici di droga e agli “extracomunitari” morti, benché a centinaia. Anche il divertimento può essere un’occupazione importante, non bisogna per questo dire lo Stato mafioso.
La parabola che non si sarebbe nemmeno fantasticata quindici anni fa è che i mafiosi diventassero dei. Non solo di grandi giornalisti, che magari ci trovano un utile, ma di magistrati e legislatori. Nel “Dio dei mafiosi”, la teologia di Cosa Nostra di cui si celebra il decennale, il magistrato Roberto Scarpinato faceva riferimento alle pratiche religiose e alle filosofie dei mafiosi, pentiti e non.
La pratica non solo si è d’acchito imposta con i pentiti, ma si è estesa a tutta la giurisdizione: dai processi per corruzione alle procedure fallimentari, il pilastro dell’accusa e della parte civile è quasi ovunque il criminale, lo speculatore, il grassatore, il concussore scoperto, il fallito, lo stesso bancarottiere.
Non sono divinità, i mafiosi, per gli sbirri: non si conoscono speciali emozioni di carabinieri e poliziotti nei loro confronti.
Sudismi\sadismi. A volte la verità è semplice, e a Napoli è addirittura strafottente. Compresa la vergogna delle Autorità: la Procura della Repubblica, il duetto Antonio-Rosetta, che hanno rodato gli amori assassini del Partito Democratico, la televisione e i giornali, comprese le opulente cronache locali. “In questa provincia il 39 per cento della popolazione ha precedenti penali”, dice il capo della Mobile di Napoli, Vittorio Pisani, al “Sole 24 Ore” del 12 gennaio. È solo una delle cose note segrete che l’illeggibile giornale della Confindustria sta mettendo in chiaro. I quartieri camorristici sono puliti. Si è speso un miliardo in dieci anni per niente. I treni spazzatura sono costati 68 milioni. Si pagano stipendi d‘oro e terreni d’oro, e i rifiuti si bagnano con l’acqua per farli pesare di più, a beneficio dei trasportatori, anche se bagnati non bruciano nell’inceneritore.
Ferruccio de Bortoli, che ha preso la direzione del “Sole” in alternativa alla pensione, non più gradito al “Corriere della sera”, si diverte con due inviati veri a dire tutto quello che i grandi giornali, le grandi televisioni, e le grandi Procure della Repubblica, con diecine e centinaia di redattori, corrispondenti, inviati, addetti e consulenti, non dicono su Napoli e Caserta. Tutti i dati degli inviati del “Sole” sono pubblici e anzi ufficiali. La spazzatura è una storia di vergogne.
Manca al “Sole”, ma si sa, che i miliardi spesi inutilmente sono uno e mezzo e forse due, perché nessuno fuori di Napoli-Caserta è stato pagato, né le ferrovie che trasportano i rifiuti né gli appaltatori che li smaltiscono né i Comuni che generosamente se li sono accollati. Alcuni dei quali sono anzi sotto processo per abuso d’ufficio, appalti fuori gara, eccetera, la giustizia sa essere terribile. A Napoli no, ma solo per la spazzatura, la spazzatura a Napoli non esiste - contro Moggi invece, per dire, schiera i migliori apparati dei carabinieri, i migliori decrittatori e consulenti d’informatica, un migliaio di pagliette, in rappresentanza di duecento, o trecento, parti civili, e i migliori cronisti, i più informati, di prima mano, rapidi, fidati.
Napoli si conferma la capitale d’Italia, morale e del diritto. Le statistiche della macchina operativa della giustizia, che il “Corriere” è riuscito a procurarsi e a “leggere” nel numero di fine 2007, parlano chiaro (i dati sono del 2006): Napoli, con un milione di residenti, ha 1.029 magistrati, 118 giudici onorari, e 692 giudici di pace. Molti più di Milano, che ha 1,3 milioni di residenti, e di Roma, che registra 2,8 milioni di abitanti. Roma ha qualche giudice onorario in più, 144 contro i 118 di Napoli, ma la metà dei giudici di pace, 370 contro 692, e un numero inferiore di magistrati, solo 953. Milano viene dietro in tutte le categorie, abbondantemente: 865 magistrati, 66 giudici onorari e 372 di pace. Solo come amministrativi Roma supera Napoli, ma di poco: 4.993 contro 4.791 (Milano arranca con 3.736). In rapporto alla popolazione, Napoli ha 18 giudici e mezzo ogni diecimila persone, Milano uno, Roma mezzo, un po’ meno di mezzo. È un raffronto grossolano, ma il trionfo del pagliettismo è indubbio.
Il tono fa impressione, tra l’acredine e la minaccia, nella levata lombarda di scudi su Malpensa, il genere che il “Corriere” codifica in “Milano sarà costretta a fare da sé”, il tono è sempre risorgimentale. Ma questo è quello che tutta Italia spera che Milano per una volta faccia. Visto in sezione, l’affare Malpensa è semplice: uno scalo che le faziosità municipali non hanno consentito di infrastrutturare, e a cui Linate, l’altro scalo milanese, fa una concorrenza imbattibile. Risultato: nove voli intercontinentali su dieci del Nord Italia si fanno, via Linate, Bergamo, Bologna, Torino, Venezia, da altri grandi aeroporti europei. Milano tuttavia, pur viaggiando operosamente tranquilla via Linate e Bergamo, non resiste alla tentazione di far buttare altri miliardi - “le toccano”, questo è il sentire di Milano rispetto alla cosa pubblica.
Milano ha accollato alla Repubblica una lunga serie di bufale, all’insegna volta a volta dell’“italianità”, del “lombardismo”, e di “quel che è bene per Milano è bene per la patria”. La più grossa, Montedison, è costata all’Eni, cioè allo Stato, più o meno 25 mila miliardi in venticinque anni - dopodichè Milano stessa ha annientato con Montedison una classe politica e le istituzioni della Repubblica, buttando l’Italia nel caos: tre milioni di licenziamenti, il mercato nero del lavoro istituzionalizzato, la corruzione impunita. Ma anche Malpensa non è bufala da poco. Venticinque anni per realizzare lo scalo intercontinentale (la prima idea di Nordio, cioè di Alitalia, è del 1979), a un costo di cinquemila miliardi, più o meno per niente, sei diversi progetti nei tre anni cruciali del lancio, che hanno portato alla fuga di Klm, senza contare l’inabissamento di Az, che ora si vende gratis.
Sempre Milano si scandalizza. Ma è dubbio che Milano esista.
La borghesia italiana si nega: non si è mai riconosciuta come potere, per non pagarne gli oneri, non ha posto – non si è poste – delle regole. E Milano, quintessenza di questa borghesia, testa pensante, stomaco ruminante, pie’ veloce, per scappare meglio coi patrimoni di mezza Italia che regolarmente vi scompaiono, si nega doppiamente. Nega di esserlo, di essere questa borghesia infida. E anzi se ne erge periodicamente a giudice (la vera questione morale è la stessa questione morale, della capitale morale d’Italia).
Milano è Ferravilla, che a duello intima all’opponente: “Sta’ fermo, altrimenti non ti posso infilzare”.
Il vice-capo dell’antimafia, Contrada, burocrate isolato, Calogero Mannino, l’unico Dc che non c’entri, l’onorevole Andreotti quando decreta il 41 bis e non prima, il generale Mori e il capitano “Ultimo” che hanno preso Riina, e perfino Caselli, il procuratore capo del dopo Falcone e Borsellino: tutti sono andati sotto accusa a Palermo per collusione con la mafia. Anzi, con l’eccezione finora di Caselli, sono andati o sono sotto processo. In processi di grande impegno, che hanno distratto le Procure isolane da altri casi che si penserebbero urgenti, per esempio il traffico di vite umane sulle coste meridionali. Nessun giudice è innocente, ma questi non hanno pudore.
Ci vorrebbe molto meno, se non si trattasse della procura di Palermo, per dirla una sceneggiata mafiosa, di cosche in guerra, non cruenta, tra di loro. Talmente mafiosa da mimare la farsa, spensierata cioè, insolente, impunita. E se non fosse che i processi sono veri. E che la procura di Palermo è la giustizia. La giustizia italiana, protetta da un Consiglio superiore, cupola di uomini eletti che il Capo dello Stato presiede. Lo Stato non può fare tutti i processi, bisogna essere comprensivi, deve dedicare uomini, mezzi e risorse a certi processi piuttosto che agli scippi, benché violenti, ai furti, alle protezioni, ai traffici di droga e agli “extracomunitari” morti, benché a centinaia. Anche il divertimento può essere un’occupazione importante, non bisogna per questo dire lo Stato mafioso.
La parabola che non si sarebbe nemmeno fantasticata quindici anni fa è che i mafiosi diventassero dei. Non solo di grandi giornalisti, che magari ci trovano un utile, ma di magistrati e legislatori. Nel “Dio dei mafiosi”, la teologia di Cosa Nostra di cui si celebra il decennale, il magistrato Roberto Scarpinato faceva riferimento alle pratiche religiose e alle filosofie dei mafiosi, pentiti e non.
La pratica non solo si è d’acchito imposta con i pentiti, ma si è estesa a tutta la giurisdizione: dai processi per corruzione alle procedure fallimentari, il pilastro dell’accusa e della parte civile è quasi ovunque il criminale, lo speculatore, il grassatore, il concussore scoperto, il fallito, lo stesso bancarottiere.
Non sono divinità, i mafiosi, per gli sbirri: non si conoscono speciali emozioni di carabinieri e poliziotti nei loro confronti.