Non ci ha mandato Antonio Stella ma con Erika Dellacasa il “Corriere della sera” oggi non è da meno. Il porto di Gioia è mafioso. Cioè, non è mafioso ma vorrebbe esserlo. Cioè, non vorrebbe esserlo ma potrebbe. L’interlocutrice Cecilia Eckelmann Battistello è spalla più che volenterosa: come ogni sei mesi da tre anni a questa parte, denuncia che imbarcherà le sue gru e se ne andrà. Anche se ha preso tanto traffico per fine 2007 e tutto il 2008, malgrado l’apertura del terminale concorrente di Porto Said, che non riesce a gestirlo, neanche su tre turni, da qualche mese si fa la fila davanti al porto, e stallie e controstallie fioccano. Questo non lo dice, ma, manager accorta, la signora Battistello non nasconde al “Corriere” che intende raddoppiare Gioia Tauro entro il 2012. Malgrado la mafia ovviamente.
Questo è il problema: alla Contship-Eurogate della signora Battistello il porto terminale più grande del Mediterraneo non basta, vuole una nuova banchina subito, e la vuole tutta per sé. Ma questo non interessa al giornale di Milano. Milano, giustamente severa, vuole sapere della mafia. E la Battistello fa i fuochi d’artificio d’ordinanza: “Quando negli anni Novanta hanno tentato di estorcerci un dollaro e mezzo a container abbiamo fatto denuncia”. Negli anni cioè in cui il porto apriva. E un dollaro e mezzo era il margine per il trasporto e il trans-shipment messi assieme. Senza contare che a Gioia e in Calabria non c’è un’organizzazione in grado di pretendere un pizzo di un dollaro e mezzo, e neanche di mezzo dollaro. Si può raccontare di tutto, evidentemente, ai giornalisti. Ma bisogna che siano compiacenti. E il “Corriere della sera” assolutamente non può accettare che il porto di Gioia funzioni, abbia sempre funzionato, con gran guadagno della Contiship, di Eurogate, e di ogni altro operatore. Se non c’era la signora Battistello. Che in Africa, dice con giubilo a Dellacasa, si troverebbe meglio.
“Cebi”, Cecilia Battistello, detta “Sibi”, all’inglese, non è antipatica. Bella ragazza veneta, con residenza a Cipro prima di sposare il signor Eckelmann proprietario di Eurokai-Eurogate-Contship, primo gruppo di shipping europeo, con nove mlioni di container movimentati l’anno (la metà a Gioia Tauro… ), è l’erede del furbissimo Ravano, l’imprenditore genovese dei container che quindici anni fa si prese l’esclusiva di Gioia Tauro. Del porto di Gioia, che è costato un terzo, in soldi pubblici, del trentennale ludibrio di Malpensa. Del “Corriere” invece non si sa che dire, se non denunciarme il razzismo.
Si veda anche la vicenda Malpensa. Per la quale lo stesso “Corriere” chiede in paginate il rilancio, cioè più soldi pubblici. Malpensa che, nomen omen, dopo avere inghiottito senza profitto una diecina di migliaia vecchi miliardi, per di più ha portato al fallimento una primaria azienda quale l’Alitalia. Come se, abbandonato da Alitalia, ci fosse la coda al terminale milanese di altre linee aeree… S’immagini una Malpensa, ancorché piccola, attorno a Reggio Calabria. Che, abbandonata da Alitalia, nessuna compagnia volesse usare come scalo, neppure alle tariffe da saldo di Malpensa. Sulla prima del “Corriere della sera” Gian Antonio Stella ne avrebbe fatto ripetuto ludibrio. Dellacasa non ne ha la statura, ma è ben avviata. Si vede dal piccolo capolavoro che imbastisce con la signora Battistello a proposito delle dogane, da cui sempre vengono i problemi agli operatori, anche a Gioia. Si accenna a “traffici” di cui sarebbero responsabili, ma di passata, senza infierire, perché la dogane possono venire sempre utili. E poi non sono calabresi come la mafia.
Si fatica a vedere il mite Paolo Mieli a capo di una banda di razzisti. Ma forse, per il solo fatto di stare a Milano, il “Corriere della sera” non può sottrarsi: i razzisti producono razzismo.
mercoledì 19 marzo 2008
martedì 18 marzo 2008
L'euromuro della stolida Europa
S’immagini l’euro a 0,80 sul dollaro, o alla pari, come sembrava destinato, invece che a 1,60 qual è oggi, staremo peggio o staremmo meglio? Non potremmo stare peggio: l’euro caro è il pilastro principale della tendenza al rialzo delle materie prime, agricole e minerali, in atto ormai da quasi un lustro. Nonché dell’inflazione, che il paniere Eurostat non riesce più a nascondere. La Fortezza Europa si vuole protetta, ma il Muro sarà stata l’ultima sua devastante ideologia. Quello di Berlino, quello di Gerusalemme, per il teutonismo ebraico indefettibile, quello di Zanonato e altri strateghi nordici, e quello dell’euro. Che ora vale due volte il dollaro, ma senza alcun buon motivo. Il Muro è certo meno peggio del lager, quello dell’euro poi è autolesionista, ma quanti danni.
L’euro che vale il doppio del dollaro (aveva debuttato a 0,80 pochi anni fa, ricordate?) dovrebbe proteggere l’Europa dall’inflazione, questo vuole la stolida ideologia tedesca, e invece non fa che moltiplicarla. Quella domestica per ovvi motivi: agricoltori, allevatori, mediatori agroindustriali, per quanto potenti, industriali della meccanica, dell’abbigliamento, dell’elettrotecnica, di tutti i comparti di consumo, per rincorrere condizioni di produzione sempre più onerose, in un mercato sempre più ristretto, per la contrazione dei consumi e delle esportazioni. Ritorna lo schema anni Settanta, quando prezzi e salari si rincorrevano lungo la scala mobile. Oggi prezzi e produzione si rincorrono a causa dell’inafferrabile e caro euro.
Ma il caro euro è anche all’origine di buona parte dell’inflazione da importazione da cui dovrebbe proteggere l’Europa: petrolio, granaglie, metalli, preziosi. A motivo del caro-denaro che esso ingenera e protegge. E per agire da comodo piedistallo alla speculazione al rialzo sulle materie prime, tante sono le ricchezze che essa ha accumulato in cinque anni contro le stolide certezze di Trichet & co.. E quando, dopo i quattro anni di magra seguiti all’infausto decollo dell’euro, un minimo di ripresa del lavoro e della produzione, e quindi del reddito e dei consumi, si è manifestato, l’ha spento come se fosse un focolaio infetto. Il masochismo dell’euromuro è evidente se si guarda alle condizioni della produzione: quale area economica si sega da sé dal “mondo”? Dal mercato nordamericano cioè, che è sempre un buon terzo del mercato mondiale, e da quelli asiatici, del petrolio compreso, che sono legati a quello americano?
Gli speculatori che l’euromuro arricchisce lasciano volentieri la loro liquidità in euro, ma giusto per lucrare il cinque per cento e più, i tanti fondi sovrani che i produttori esportatori di materie prime hanno dovuto mettere su per gestire una così enorme liquidità. Si tengono liquidi in euro, pronti a scappare, capitalizzando una forza che ritengono pretestuosa, improduttiva, e probabilmente intenibile. Non comprano, non investono, dove c’erano – in Borsa – scappano via, cedole e capitali, tenendosi sempre ben stretti malgrado tuoni e tempeste all’area del dollaro, dove si fa la vera ricchezza, si investe, si produce, si consuma. Si denominano in dollari, ne fanno incetta per le loro banche centrali, investono in dollari, almeno per il 90 per cento del totale, gli investimenti eurovestiti si contano.
La politica della Bce è una non inconscia politica di tagliarseli. Per orgoglio, certo. Per stupidità: la spesa per interessi sul debito pubblico, oggi la peggiore aggravante del debito italiano, è passata dal 4 per cento del pil del 2005 al 5 per cento nel 2007, con un aumento in un solo anno di 17 miliardi in più sacrificati all’euromuro, che sono andati per oltre la metà nelle tasche dei fondi esteri e dei fondi sovrani. Per impotenza anche, malgrado la superbia, se il raddoppio di valore nominale rispetto al dollaro impoverisce e non arricchisce l’Europa. Una politica di vecchi dispettosi, che quando hanno detto male degli Usa, svolto il compitino dei loro nonni, e creato dei cordoni sanitari, si dicono grandi statisti e soddisfatti. Che l’Asia, un terzo dell’umanità, si stia portando d’un colpo al livello dell’Occidente non possono capirlo, la globalizzazione basta deprecarla, e tutto finisce – non siamo europei per niente.
L’euro che vale il doppio del dollaro (aveva debuttato a 0,80 pochi anni fa, ricordate?) dovrebbe proteggere l’Europa dall’inflazione, questo vuole la stolida ideologia tedesca, e invece non fa che moltiplicarla. Quella domestica per ovvi motivi: agricoltori, allevatori, mediatori agroindustriali, per quanto potenti, industriali della meccanica, dell’abbigliamento, dell’elettrotecnica, di tutti i comparti di consumo, per rincorrere condizioni di produzione sempre più onerose, in un mercato sempre più ristretto, per la contrazione dei consumi e delle esportazioni. Ritorna lo schema anni Settanta, quando prezzi e salari si rincorrevano lungo la scala mobile. Oggi prezzi e produzione si rincorrono a causa dell’inafferrabile e caro euro.
Ma il caro euro è anche all’origine di buona parte dell’inflazione da importazione da cui dovrebbe proteggere l’Europa: petrolio, granaglie, metalli, preziosi. A motivo del caro-denaro che esso ingenera e protegge. E per agire da comodo piedistallo alla speculazione al rialzo sulle materie prime, tante sono le ricchezze che essa ha accumulato in cinque anni contro le stolide certezze di Trichet & co.. E quando, dopo i quattro anni di magra seguiti all’infausto decollo dell’euro, un minimo di ripresa del lavoro e della produzione, e quindi del reddito e dei consumi, si è manifestato, l’ha spento come se fosse un focolaio infetto. Il masochismo dell’euromuro è evidente se si guarda alle condizioni della produzione: quale area economica si sega da sé dal “mondo”? Dal mercato nordamericano cioè, che è sempre un buon terzo del mercato mondiale, e da quelli asiatici, del petrolio compreso, che sono legati a quello americano?
Gli speculatori che l’euromuro arricchisce lasciano volentieri la loro liquidità in euro, ma giusto per lucrare il cinque per cento e più, i tanti fondi sovrani che i produttori esportatori di materie prime hanno dovuto mettere su per gestire una così enorme liquidità. Si tengono liquidi in euro, pronti a scappare, capitalizzando una forza che ritengono pretestuosa, improduttiva, e probabilmente intenibile. Non comprano, non investono, dove c’erano – in Borsa – scappano via, cedole e capitali, tenendosi sempre ben stretti malgrado tuoni e tempeste all’area del dollaro, dove si fa la vera ricchezza, si investe, si produce, si consuma. Si denominano in dollari, ne fanno incetta per le loro banche centrali, investono in dollari, almeno per il 90 per cento del totale, gli investimenti eurovestiti si contano.
La politica della Bce è una non inconscia politica di tagliarseli. Per orgoglio, certo. Per stupidità: la spesa per interessi sul debito pubblico, oggi la peggiore aggravante del debito italiano, è passata dal 4 per cento del pil del 2005 al 5 per cento nel 2007, con un aumento in un solo anno di 17 miliardi in più sacrificati all’euromuro, che sono andati per oltre la metà nelle tasche dei fondi esteri e dei fondi sovrani. Per impotenza anche, malgrado la superbia, se il raddoppio di valore nominale rispetto al dollaro impoverisce e non arricchisce l’Europa. Una politica di vecchi dispettosi, che quando hanno detto male degli Usa, svolto il compitino dei loro nonni, e creato dei cordoni sanitari, si dicono grandi statisti e soddisfatti. Che l’Asia, un terzo dell’umanità, si stia portando d’un colpo al livello dell’Occidente non possono capirlo, la globalizzazione basta deprecarla, e tutto finisce – non siamo europei per niente.
lunedì 17 marzo 2008
I troppi buchi della Trimestrale di cassa
Spulciando nella ex Trimestrale di cassa si vede netto che il governo Prodi ha meritato di cadere.
Ha incrementato di due punti del pil la pressione fiscale, di ben trenta miliardi cioè. Un drenaggio di risorse enorme. Per presentare il compitino a Bruxelles, al plauso del compiacente Almunia. E per aumentare la spesa. La spesa corrente improduttiva, o “politica”, non gli investimenti. Che anzi ha bloccato o diluito, quei pochi che erano stati avviati. Quella spesa che è il buco nero dell’Italia. Figurativamente, è stato come togliere il fieno al puledro scalpitante, se l’Italia lo è ancora, per darlo al porco, che se ne serve solo per avvoltolarcisi.
La premessa del ministro Tommaso Padoa Schioppa denuncia i limiti dell’ideologia della Banca d’Italia, puro equilibrismo senza la saggezza di Ciampi (e di Fazio). Con bugie evidenti: “Il peso (del fisco) sul contribuente leale non è aumentato”, mentre tutti abbiamo pagato fra mille e duemila euro l’anno più. O: “Le risorse finanziarie per alcune infrastrutture chiave sono state ricostituite”, mentre invece sono state ridotte o addirittura cancellate, dalla Salerno-Rc alla variante di valico Firenze-Bologna, al passante di Mestre, e naturalmente al traforo alpino della Tav e al Ponte di Messina.”Nel 2008 l’economia rallenta ma i conti tengono e migliorano”, mentre le tabelle della stessa Relazione mostrano che non ci sono margini per ulteriori incrementi fiscali, destinati anzi a essere assorbiti dalle spese già approvate. E che il deficit anzi è già sul 2,6-2,8 per cento del pil, insomma è al fatidico tre per cento del Patto di stabilità europeo: si sa già che l’avanzo a dicembre è inferiore di tre miliardi rispetto ai 15 che la Trimestrale registra, per effetto del caro euro che rende più oneroso il debito, e in questo primo trimestre è per lo stesso motivo inferiore di quattro e forse cinque miliardi.
Sul primo punto la stessa Relazione smentisce il ministro: “Il carico fiscale su chi adempie in pieno al dovere di contribuente è anormalmente alto”. Gli aumenti delle entrate fiscali sono imputati in tabella alle imposte dirette e agli oneri sociali. Dell’aumento del gettito erariale nel 2007, stimato in 27,2 miliardi, meno di un quinto, 5,3 miliardi, viene imputato alle misure antievasione\elusione. E ancora, di questa quota è da sapere quanta sarà incassata veramente: il miglioramento è “prima dell’eliminazione dell’anticipo dei concessionari della riscossione”. I casi di Roma, dove le ondate di “cartelle pazze” si susseguono, da un milione di cartelle a ondata, fanno presupporre un sicuro flop.
Eredità gravosa
Al nuovo governo Padoa Schioppa lascia allegro un compito gravosissimo: ridurre nei tre anni 2009-2011 di mezzo punto del pil all’anno la spesa ordinaria, venti miliardi nei tre anni, per appianare il bilancio. E di ben un punto di pil l’anno, 40 miliardi nei tre anni, se si vuole cominciare a sgravare il reddito fisso e le imprese degli insostenibili oneri fiscali e parafiscali. “Nel complesso, la politica di bilancio dovrà recuperare risorse nel trienni 2009-2011 per un ammontare che si situa tra i 20 e i 30 miliardi”. Al netto dell’eventuale finanziamento di sgravi fiscali. Il “risanamento” che Padoa Schioppa vanta lascia insomma un’eredità ben gravosa.
Più in generale, Prodi ha preso l’Italia in una situazione di forte espansione nel 2006, e la lascia ferma quest’anno. Il pil è cresciuto del’1,8 per cento nel 2006, ma solo dell’1,5, invece del 2 previsto, nel 2007. E quest’anno sarà a zero o meno di zero. Per effetto, dice la Relazione, della crisi finanziaria e della recessione Usa. Ma nel 2007 gli Usa sono cresciuti del 2,2 per cento, e quest’anno di altrettanto crescerà la Germania, con la quale l’economia italiana è simbiotica - mentre la recessione Usa deve ancora manifestarsi, nel 2008 la crescita vi sarà dell’1,3-1,5 per cento. Le esportazioni, che nel 2006 crebbero del 6,2 per cento, quest’anno dimezzeranno la crescita. Il costo del lavoro ha avuto nel 2009 il più basso incremento in un decennio. Gli investimenti fissi lordi, cresciuti del 2,9 per cento del pil nel 2006, nel 2007 sono aumentati di poco più di un punto e quest’anno, forse, di poco più di mezzo punto. Gli impegni di spesa e i pagamenti sono caduti del 40-45 per cento fra il 2005 e il 2006.
La spesa corrente invece è aumentata del 3,4 per cento nel biennio 2006-2007. Quasi il doppio degli aumenti salariali. Ma senza gli incrementi salariali dovuti ai dipendenti pubblici: molti contratti “sono da finalizzare nel 2008, anno in cui si prevede quindi un netto aumento” della spesa... Altri oneri in arrivo sono gli artificiosi rinvii contabili di alcune spese sociali (il bonus per gli incaponenti, le assunzioni differite di duecentomila precari, etc.).
Ha incrementato di due punti del pil la pressione fiscale, di ben trenta miliardi cioè. Un drenaggio di risorse enorme. Per presentare il compitino a Bruxelles, al plauso del compiacente Almunia. E per aumentare la spesa. La spesa corrente improduttiva, o “politica”, non gli investimenti. Che anzi ha bloccato o diluito, quei pochi che erano stati avviati. Quella spesa che è il buco nero dell’Italia. Figurativamente, è stato come togliere il fieno al puledro scalpitante, se l’Italia lo è ancora, per darlo al porco, che se ne serve solo per avvoltolarcisi.
La premessa del ministro Tommaso Padoa Schioppa denuncia i limiti dell’ideologia della Banca d’Italia, puro equilibrismo senza la saggezza di Ciampi (e di Fazio). Con bugie evidenti: “Il peso (del fisco) sul contribuente leale non è aumentato”, mentre tutti abbiamo pagato fra mille e duemila euro l’anno più. O: “Le risorse finanziarie per alcune infrastrutture chiave sono state ricostituite”, mentre invece sono state ridotte o addirittura cancellate, dalla Salerno-Rc alla variante di valico Firenze-Bologna, al passante di Mestre, e naturalmente al traforo alpino della Tav e al Ponte di Messina.”Nel 2008 l’economia rallenta ma i conti tengono e migliorano”, mentre le tabelle della stessa Relazione mostrano che non ci sono margini per ulteriori incrementi fiscali, destinati anzi a essere assorbiti dalle spese già approvate. E che il deficit anzi è già sul 2,6-2,8 per cento del pil, insomma è al fatidico tre per cento del Patto di stabilità europeo: si sa già che l’avanzo a dicembre è inferiore di tre miliardi rispetto ai 15 che la Trimestrale registra, per effetto del caro euro che rende più oneroso il debito, e in questo primo trimestre è per lo stesso motivo inferiore di quattro e forse cinque miliardi.
Sul primo punto la stessa Relazione smentisce il ministro: “Il carico fiscale su chi adempie in pieno al dovere di contribuente è anormalmente alto”. Gli aumenti delle entrate fiscali sono imputati in tabella alle imposte dirette e agli oneri sociali. Dell’aumento del gettito erariale nel 2007, stimato in 27,2 miliardi, meno di un quinto, 5,3 miliardi, viene imputato alle misure antievasione\elusione. E ancora, di questa quota è da sapere quanta sarà incassata veramente: il miglioramento è “prima dell’eliminazione dell’anticipo dei concessionari della riscossione”. I casi di Roma, dove le ondate di “cartelle pazze” si susseguono, da un milione di cartelle a ondata, fanno presupporre un sicuro flop.
Eredità gravosa
Al nuovo governo Padoa Schioppa lascia allegro un compito gravosissimo: ridurre nei tre anni 2009-2011 di mezzo punto del pil all’anno la spesa ordinaria, venti miliardi nei tre anni, per appianare il bilancio. E di ben un punto di pil l’anno, 40 miliardi nei tre anni, se si vuole cominciare a sgravare il reddito fisso e le imprese degli insostenibili oneri fiscali e parafiscali. “Nel complesso, la politica di bilancio dovrà recuperare risorse nel trienni 2009-2011 per un ammontare che si situa tra i 20 e i 30 miliardi”. Al netto dell’eventuale finanziamento di sgravi fiscali. Il “risanamento” che Padoa Schioppa vanta lascia insomma un’eredità ben gravosa.
Più in generale, Prodi ha preso l’Italia in una situazione di forte espansione nel 2006, e la lascia ferma quest’anno. Il pil è cresciuto del’1,8 per cento nel 2006, ma solo dell’1,5, invece del 2 previsto, nel 2007. E quest’anno sarà a zero o meno di zero. Per effetto, dice la Relazione, della crisi finanziaria e della recessione Usa. Ma nel 2007 gli Usa sono cresciuti del 2,2 per cento, e quest’anno di altrettanto crescerà la Germania, con la quale l’economia italiana è simbiotica - mentre la recessione Usa deve ancora manifestarsi, nel 2008 la crescita vi sarà dell’1,3-1,5 per cento. Le esportazioni, che nel 2006 crebbero del 6,2 per cento, quest’anno dimezzeranno la crescita. Il costo del lavoro ha avuto nel 2009 il più basso incremento in un decennio. Gli investimenti fissi lordi, cresciuti del 2,9 per cento del pil nel 2006, nel 2007 sono aumentati di poco più di un punto e quest’anno, forse, di poco più di mezzo punto. Gli impegni di spesa e i pagamenti sono caduti del 40-45 per cento fra il 2005 e il 2006.
La spesa corrente invece è aumentata del 3,4 per cento nel biennio 2006-2007. Quasi il doppio degli aumenti salariali. Ma senza gli incrementi salariali dovuti ai dipendenti pubblici: molti contratti “sono da finalizzare nel 2008, anno in cui si prevede quindi un netto aumento” della spesa... Altri oneri in arrivo sono gli artificiosi rinvii contabili di alcune spese sociali (il bonus per gli incaponenti, le assunzioni differite di duecentomila precari, etc.).
I borghesi del Pd sono più borghesi
Montezemolo col doppiopetto e la magrezza, Marchionne col pullover, Della Valle con gli scamosciati, Casini col sape e pepe, e perfino gli ex giovani Marzotto di un famoso saggio di Sergio Bologna, che quarant’anni fa aspettavano le operaie all’uscita per prenderle in Ferrari: è una gara tra i big della borghesia, tutti democratici, a dare lezioni di stile a Berlusconi. Quello straccione miliardario. È normale, la borghesia è normativa (totalitaria?), e quindi magisteriale: è il suo proprio dare agli altri lezioni di buona educazione, agli altri borghesi – c’è per questo qualcosa di marcio in Proust, o delle vecchie zie, ed era il bello della classe operaia, che non era tenuta a subirle. Ma fa senso che a Maestro di buone maniere si elevi Veltroni, la cui campagna elettorale è fare le pulci al Berlusconi del giorno prima: un giorno Ciarrapico, il giorno dopo la Bella Precaria, il giorno successivo il Libano, e il quarto giorno la sua Bella Sfigata, che vuole sia Sharon Stone mentre sembra casalinga. E magari ha dei consulenti pagati che non gli fanno notare che così fa campagna per Berlusconi. O pensa che gli italiani votano contro Berlusconi. Gli italiani per bene, s’intende. Perfino la Bella Precaria è più furba – non per nulla è di ottima famiglia, Veltroni ne è solo un affittuario.
La Fortuna va pilotata, come la Formula Uno
Come Moggi azzeccava i guardialinee, così l’Uefa ha azzeccato gli accoppiamenti in Champions League. In modo che la finale sia tra il Barcellona e il Chelsea, o la vincente di Arsenal-Liverpool. Non c’era altra alternativa e quindi è stato facile per gli ignoti scommettitori azzeccarli a loro volta. Si dirà: ma non è tutto sorteggiato? Certo, siamo svizzeri. Solo che, nessun antico l’avrà detto, ma è ben noto che la Fortuna e come la Formula Uno, va pilotata.
Il Barcellona e la Spagna da un paio d'anni non si divertono più, mentre Liverpool e Manchester hanno avuto tante soddisfazioni – l’Arsenal è giovane, si rifarà. La Roma non conta perché l’Italia ha già avuto troppo, anche se solo per merito del Milan. E poi la Spagna in finale è il Sud America alla tv. La Svizzera, insomma, non è Moggi: è anzi la Giustizia, avveduta, corretta, provvida, anche se non è uguale per tutti – che c’entra la giustizia uguale per tutti? è un sofisma.
Il Barcellona e la Spagna da un paio d'anni non si divertono più, mentre Liverpool e Manchester hanno avuto tante soddisfazioni – l’Arsenal è giovane, si rifarà. La Roma non conta perché l’Italia ha già avuto troppo, anche se solo per merito del Milan. E poi la Spagna in finale è il Sud America alla tv. La Svizzera, insomma, non è Moggi: è anzi la Giustizia, avveduta, corretta, provvida, anche se non è uguale per tutti – che c’entra la giustizia uguale per tutti? è un sofisma.
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