L’agenda politica della sinistra è dettata da “Repubblica” e “Corriere della sera”, si sa - i paladini antemarcia, quelli che erano di sinistra quando non eravamo ancora nati. Con la volenterosa Rai al seguito. Veltroni, che si era preso un po’ di autonomia, si è già arreso.
Sembra un fatto di verità. I due giornali sono i più grandi, quelli che hanno più lettori, con tutta l’autorevolezza quindi per fare la politica fingendo di dirla. Ma non è così.
L'agenda politica è dettata in realtà da Berlusconi. Di cui i grandi giornali sono i "volenterosi esecutori" per l'opinione pubblica di sinistra, che si vuole - Berlusconi vuole - residuale. Ma tralasciamo questo aspetto: è un fatto, ma forse troppo sottile.
“Repubblica” e “Corriere” costruiscono un’opinione elitaria, dei belli-e-buoni della Repubblica, e in parte perfino dichiaratamente snobistica, la cui unica base è l’autoreferenzialità – sono il più buono perché me lo dico. Dicono che c’è il fascismo, oppure che non c’è, con la stessa supponenza. Non ci troverete mai i fatti, anche terribili per un lettore di sinistra, che succedono nella realtà: l’immigrazione di milioni di disperati, ancora l’immigrazione, le diecine e centinaia di morti ogni giorni nel mare, o nei cantieri, l’inflazione, e ancora l’inflazione, il reddito incerto, le nuove forme di lavoro, il Nord, la luce della nazione, che vota Lega, la corruzione così diffusa, specie nel pubblico impiego. No, basta mettere in berlina Brunetta. L’unica partita politica che giocano è l’antiberlusconismo, certamente lecita, e forse dovuta, che porta forse qualche lettore, ma in primo luogo è una partita milanese, di affari e di potere negli affari. Compresa la Procura di Milano, che è asservita ad alcuni ambienti di affari, e per loro fa le partite.
Essendoci dentro pure la Rai, potrebbe sembrare che questa opinione sia vasta e dominante. Ma gli ascolti sono solo abitudine. Non c’è bisogno di studi di mercato: chi può credere che un solo ascoltatore segua i quindici minuti di pareri e contropareri di tutti i partiti in Parlamento su ogni vicenda politica, sia pure – raramente – d’interesse. Chi ha mai capito, ai telegiornali Rai, di che si sta parlando in politica?
Questi giornali sono in perdita costante da un paio d’anni di lettori, e ora anche di pubblicità. Questa combinazione ha una sola ragione nel mercato dei media: la perdita di credibilità. La perdita dei lettori non è cioè un fatto di mercato, o generazionale come sempre avviene per i giornali, di mutamento degli interessi, di aggiustamento delle formule editoriali, né di diverse opzioni politiche, nel qual caso se ne potrebbe configurare un ruolo resistenziale. No, l’industria non li considera più veicoli primari di attenzione. Si possono fare giornali anche brillanti sul nulla, ma non per sempre.
La stessa partita dell’antiberlusconismo, bisogna dire, così piena di buoni motivi, diventa non credibile per il fatto che si omettono, e anzi si difendono, prevaricazioni, brogli e corruzione. Nel caso in cui ne siano responsabili altri potentati milanesi, o altri interessi politici. Nella giustizia, nell’immobiliare, nella finanza (collocamenti fasulli, l’insider quotidiano a Milano, il mercato delle voci), negli appalti, specie aziendali (quante tangenti lasciano da parte gli uffici acquisti), nei servizi, pubblici e privati. Ma restiamo al mercato dei media.
I due giornali perdono quote e le fanno perdere alla sinistra forse per stupidità – chi ha lavorato alla Rizzoli non fatica a crederlo. La stupidità ha varie forme: l’abitudine, la ripetitività, la vecchiaia, che non necessariamente è anagrafica, la mancanza di fantasia, la mancanza di voglia. Ma più, e sicuramente, per furbizia. Che nel caso del “Corriere” è evidente (di “Repubblica” poco si sa, è tutta nella mente del padrone De Benedetti, con rappresentanze sindacali sedute). Due anni fa il supermanager Colao, il più richiesto d’Europa, ora a capo di Vodafone, il primo operatore dei cellulari, fu cacciato dal “Corriere” perché voleva farne un giornale che si legge e in cui tutti lavorano – ci lavorano quelli che lavorano. Alla proprietà, l’establishment milanese, ciò non interessava e non interessa. Quest’anno la proprietà ci perde anche contabilmente e dovrà mettere mano al portafoglio, ma nulla si cambia: il “Corriere” serve così com’è a Lor Signori.
martedì 17 giugno 2008
Veltroni si arrende
L’emendamento salva Berlusconi, il lodo Schifani, la museruola ai giornalisti sulle intercettazioni, il reato di clandestinità, l’emendamento salva Rete 4, i militari a Napoli per la spazzatura, insomma il golpe, e soprattutto, sopratutto, le critiche dell’Europa: in pochi secondi Veltroni snocciola ai tg un cahier de doléances perfino più nutrito di quelli che il sindacato riusciva a mettere assieme per le adunate senza fine del 1969. Ci manca solo il no di Berlusconi alla Moratti sui fondi per l'Expo, l'ultima baggianata del "Corriere" e "la Repubblica". Il cahier sir Uolter dice tutto d’un fiato e mostrando di non crederci. Ma come se dicesse: beh, mi arrendo.
Poco importa se l'Europa è Jacques Barrot, un commissario che ha un portavoce italiano, che si dice del fronte della resistenza ma dev'essere un provocatore, poiché gli fa dire, al suo commissario, tre cose diverse in un'ora in materia di reato di clandestinità, dopo aver discettato nel mese di maggio, o era aprile, liberamente contro Alitalia. Veltroni si arrende alla trappola montata dai grandi giornali fiancheggiatori, “Repubblica” e “Corriere della sera”, che evidentemente lo sovrastano come capacità di argomentazione. O passa all’opposizione di se stesso per indebolire la fronda interna. Che da qualche settimana vuole addirittura sbarazzarsene. Anche a costo di recuperare Prodi. Mentre Berlusconi conquista città e province, senza maniere forti, senza nemmeno i pacchi regalo. Continua così la sceneggiata della finta sinistra. Agli squilli antemarcia dei giornali dei padroni. Alle redini, si può dire, dei padroni, del loro inossidabile “potere attraverso la crisi”.
In tutta Europa la sinistra paga l’incapacità di assicurare la sicurezza, nelle strade e sul lavoro, l’immigrazione di massa, il reddito familiare. In Germania e in Italia specialmente, in Francia, ora in Gran Bretagna, e anche in Spagna non sa che fare. Veltroni sembrava averlo capito – cosa non ovvia in Italia, anche se è sotto gli occhi di tutti: i giornali antemarcia non danno tregua. Sembrava anzi deciso a tentare qualche soluzione, una via comunque diversa, smarcandosi dall’antiberlusconismo divorante, non a caso alimentato dallo stesso Berlusconi. Appoggiandosi perfino a Berlusconi per quella parte della soluzione che riguarda il buon funzionamento del Parlamento e del governo. L’obiettivo era più che ovvio, e anzi necessario: staccare da Berlusconi quella grossa fetta di elettorato che i giornali di Lor Signori qualificano di centro ma che è sempre stata di sinistra e ora si sente abbandonata, se non tradita.
Il tentativo Veltroni si può dire così chiuso, e forse fallito. Avremo ora probabilmente molte intercettazioni su Berlusconi, prima che ci sia la legge – in modo che la legge sia necessaria. Avremo quei processi non processi, sul tipo Sme e Lodo Mondadori, che resteranno solo come una vergogna della magistratura milanese. E avremo le barzellette di Berlusconi a palazzo Chigi e ai vertici dei Grandi, in piena berlusconeide, nella quale il presidente del consiglio eletto ci ha subito precipitato, il referendum perpetuo che non può che stravincere. Veltroni magari si pentirà di aver lasciato Roma, e il festival del Cinema. Ma noi non avremo nemmeno la consolazione di un pentimento.
Poco importa se l'Europa è Jacques Barrot, un commissario che ha un portavoce italiano, che si dice del fronte della resistenza ma dev'essere un provocatore, poiché gli fa dire, al suo commissario, tre cose diverse in un'ora in materia di reato di clandestinità, dopo aver discettato nel mese di maggio, o era aprile, liberamente contro Alitalia. Veltroni si arrende alla trappola montata dai grandi giornali fiancheggiatori, “Repubblica” e “Corriere della sera”, che evidentemente lo sovrastano come capacità di argomentazione. O passa all’opposizione di se stesso per indebolire la fronda interna. Che da qualche settimana vuole addirittura sbarazzarsene. Anche a costo di recuperare Prodi. Mentre Berlusconi conquista città e province, senza maniere forti, senza nemmeno i pacchi regalo. Continua così la sceneggiata della finta sinistra. Agli squilli antemarcia dei giornali dei padroni. Alle redini, si può dire, dei padroni, del loro inossidabile “potere attraverso la crisi”.
In tutta Europa la sinistra paga l’incapacità di assicurare la sicurezza, nelle strade e sul lavoro, l’immigrazione di massa, il reddito familiare. In Germania e in Italia specialmente, in Francia, ora in Gran Bretagna, e anche in Spagna non sa che fare. Veltroni sembrava averlo capito – cosa non ovvia in Italia, anche se è sotto gli occhi di tutti: i giornali antemarcia non danno tregua. Sembrava anzi deciso a tentare qualche soluzione, una via comunque diversa, smarcandosi dall’antiberlusconismo divorante, non a caso alimentato dallo stesso Berlusconi. Appoggiandosi perfino a Berlusconi per quella parte della soluzione che riguarda il buon funzionamento del Parlamento e del governo. L’obiettivo era più che ovvio, e anzi necessario: staccare da Berlusconi quella grossa fetta di elettorato che i giornali di Lor Signori qualificano di centro ma che è sempre stata di sinistra e ora si sente abbandonata, se non tradita.
Il tentativo Veltroni si può dire così chiuso, e forse fallito. Avremo ora probabilmente molte intercettazioni su Berlusconi, prima che ci sia la legge – in modo che la legge sia necessaria. Avremo quei processi non processi, sul tipo Sme e Lodo Mondadori, che resteranno solo come una vergogna della magistratura milanese. E avremo le barzellette di Berlusconi a palazzo Chigi e ai vertici dei Grandi, in piena berlusconeide, nella quale il presidente del consiglio eletto ci ha subito precipitato, il referendum perpetuo che non può che stravincere. Veltroni magari si pentirà di aver lasciato Roma, e il festival del Cinema. Ma noi non avremo nemmeno la consolazione di un pentimento.
lunedì 16 giugno 2008
Problemi di base (2)
Com’era il tempo prima dell’uomo? Passava, cioè si misurava?
Perché Berlusconi non ha l’amante? Tutti l’hanno sempre avuta, da Mussolini a Craxi.
Perché tutti hanno sempre avuto una sola amante, da Mussolini a Craxi? (Qui la risposta ci sarebbe)
Perché la patata è più saporita se frantumata invece che tagliata col coltello?
Perché bisogna stare scomodi a teatro, tre ore? E all’opera?
E perché gli uomini preferiscono le bionde?
Perché gli italiani allo stadio in Svizzera fanno il tifo solo in tv, se si accende la spia della telecamera che li inquadra?
Perché Buffon deve giocare dietro Zambrotta, che sempre gli fa autogoal?
Perché Berlusconi non ha l’amante? Tutti l’hanno sempre avuta, da Mussolini a Craxi.
Perché tutti hanno sempre avuto una sola amante, da Mussolini a Craxi? (Qui la risposta ci sarebbe)
Perché la patata è più saporita se frantumata invece che tagliata col coltello?
Perché bisogna stare scomodi a teatro, tre ore? E all’opera?
E perché gli uomini preferiscono le bionde?
Perché gli italiani allo stadio in Svizzera fanno il tifo solo in tv, se si accende la spia della telecamera che li inquadra?
Perché Buffon deve giocare dietro Zambrotta, che sempre gli fa autogoal?
Secondi pensieri (14)
zeulig
Bugia – Ha le gambe corte, ma corre veloce.
Complessità – Segna l’epoca in sordina, ma ha rivoluzionato il pensiero, da tempo: la filosofia e la scienza, compresa la scienza della scienza. Il pensiero filosofico l’ha disorientato, Heidegger ne è l’espressione, che così a lungo ha cercato il centro perduto.
Ha dissolto i fenomeni fisici e biologici, e la psicologia, l’economia, la sociologia, nonché gli strumenti di misurazione, la geometria e la matematica. Ha inciso più della relatività: Einstein opera nell’alveo della fisica “classica”, la complessità invece perturba ogni entità. Rovesciando il Principio di ragione, il “nulla è senza ragione” di Leibniz, peraltro indimostrato. Il Principium rationis non è più il principio di ogni rappresentazione.
Confessione – Porta a galla il peggio di se stessi, lodata, lo moltiplica, lo metastasizza. O la solitudine, che è la stessa cosa. I preti lo sapevano, che tenevano in punta d bastone le zitelle beghine e le puttane pentite.
Denaro – Non risolve i problemi ma ne crea. Essendo passato da nummus a misuratore della felicità è un motore che gira a vuoto.
La sua trasformazione da numerario ad accumulatore segue l’inizio della modernità, e l’obbrobrio sull’evo medio, operoso e immaginativo come ogni altro ma segato per la difformità dal nuovo modello, che si pretende universale, sprofondato nella preistoria.
È il problema del capitalismo. Della sua insoddisfazione (crisi) e della sua non accettazione, a partire di grandi capitalisti. Il problema non è il sopruso, o l’accaparramento, che ricorrono in ogni altra forma sociale. Il problema è l’inconsistenza del denaro – per chi s’arricchisce oltre che per chi s’impoverisce. È qui l’inconsistenza della borghesia, la sua arte essendo il denaro, che non dà soddisfazioni.
Dio – Il suo difetto è la perfezione: troppe cose gli sfuggono.
Se fosse il mondo, come vogliono i mistici, sarebbe pura immaginazione. È piuttosto l’anti-mondo, il bisogno di una certezza.
Di un mondo che pure lui stesso ha creato? È possibile, il principio duale non era campato in aria: il mondo come opposto a Dio, nel suo sviluppo se non anche nella sua origine.
Nel suo sviluppo per il principio della libertà. Che dunque non è in Dio?
Dolore – Resta incomprensibile, come la violenza, o il riso, perché non si riesce a legarlo al divino. L’uomo razionalizza solo il divino (il divino è la radice della razionalità).
Filosofia – Non decide nulla. Ma è un modo elegante di passare il tempo. Poco faticoso, come il croquet.
Quella occidentale è greca e tedesca. Ma la filosofia è irrealizzabile, e questo male si addice agli operosi tedeschi.
Giallo - È il tipico racconto che corre alla fine. La narrazione è – era – tipicamente aperta, seminativa. Il giallo è un ventaglio che si chiude.
Identità – Se inward-looking implode. Per un fenomeno fisico. Anche di fisica sociale, nelle tribù di Turnbull, nelle famiglie endogenetiche. Il meticciato di Senghor, o cosmopolitismo, è ovviamente più produttivo, perché fa imparare qualcosa. Anche guardarsi indietro serve, s’impara dalla storia e dalla tradizione, non si è se non si è stati. In termini pratici è una questione di equilibrio: essrrci-per-aprirsi, direbbe Heidegger.
Ipocondria - È malattia indelebile. Tanto più in quanto è soft.
È stata degradata a malattia dell’epoca, dei ricchi e sazi, i giovin signori pariniani. Ma è atto di ostilità, continuativo, suadente, perfido. Contro gli affetti,prima che contro se stessi e il mondo.
Letteratura - È zona franca, per il privilegio dell’extraterritorialità. Tutti gli eroismi vi sono possibili, senza rischio né fatica. Ogni turpitudine vi si può perpetuare, ipocrisia, adulazione, tradimento, perfino la violenza e fino all’assassinio, impunemente.
Libro - È una promessa d’ignoto. Anche a chi lo pubblica, all’editore, allo scrittore, allo stesso consulente critico.
Si difende con le ricerche di mercato, ma per gettare fumo negli occhi.
Vuole fatica, è droga per pazienti.
Metafisica – Passati attraverso il rifiuto della metafisica, se ne esce rifiuti.
Narrazione – È diffusa, sotto forma di romanzo o di reality, perché è un esercizio dell’ego del narratore. Una proiezione molto diffusa in epoca di ego dominante.
È sempre un dialogo. Anche se graficamente ordinato in flusso ininterrotto (Joyce, Bernhard), senza intervento visibile di interlocutore. Le digressioni, gli a parte, i paesaggisti dell’anima, i vi dico io che cos’è, per quanto compiaciuti, devono reggersi su forme di dialogo, per quanto surrettizio, con interlocutori immaginari ma sempre realisti, altrimenti non si legge.
Nella narrazione come a teatro, l’interlocutore è sempre immaginario. Antagonista quanto si vuole ma a uso personale. Il dialogo è immaginario come la descrizione o i fatti: è solo un artificio per dare spessore plastico (voce, moto) ai personaggi – i primi dialoghi sono quelli filosofici, falsissimi.
Opinione – Non ce n’è di più stupida – superficiale, incoerente, faziosa, inutile – che là dove è diventata pubblica. Un africano all’epoca del tam-tam ne sapeva e ne capiva di più.
Segna l’irrilevanza della condizione urbana – l’irrilevanza della società al tempo della città.
Realtà – Entra in noi, che dobbiamo realizzarla, molto prima di essere. Come desiderio, presentimento, ineluttabilità, della catastrofe, preparazione.
Romanzo – È un progetto, con una struttura e un disegno. Da qui la critica dei caratteri, dei tipi, il plot, i generi. Mentre la narrazione deve fluire libera. La narrativa di fa da sé – è la scrittura: la lingua e la concrezione degli eventi. Personaggi e tipi evolvono con gli eventi. La psicologia non costruisce i personaggi ma si costruisce con essi.
Scrivere – La storia si scrive. Scrivere è portare al presente il passato, anche insignificante, e al passato il presente, compreso l’inesistente.
C’è nella scrittura, nella buona scrittura, dotata per la comunicazione (narrazione), qualcosa di più del percepito e dell’espresso, e del vissuto. Freud o Heidegger (Platone, Nietzsche, etc.), o Stendhal, Schopenhauer, scrittori dotati, sono molto più grandi dei loro intendimenti, talora perfino limitati, o del loro misero vissuto.
Ciò è esaltante: da solo dà la misura del potenziale umano.
È leggere. Lo scrittore è narratore di letture.
Storia - La sua verità non può essere la razionalità.
La razionalità non può essere che quella di oggi. Insomma, la più matura possibile, quella che oggi ci sembra vera. La verità della storia è quella del suo tempo. È la razionalità, se si vuole, ma del suo tempo.
Il che non cambia molto. Ma la definizione sì, che può non essere poco. Delle epoche buie, per esempio, rispetto a quelle illuminate. Per esempio, un’epoca in cui tutti s’improsano liberamente che cos’è? È libera, illuminata, razionale?
Tempo - È immortale. Altrimenti non sarebbe. E dunque era prima dell’uomo che è mortale.
È un continuum, ininterrompibile. Da qui una certa stolidità.
È un metronomo. Anzi un pendolo: non accelera, ed è indifferente.
Verità – È ubiqua, e insidiosa. È insidiosa per essere ubiqua.
zeulig@gmail.com
Bugia – Ha le gambe corte, ma corre veloce.
Complessità – Segna l’epoca in sordina, ma ha rivoluzionato il pensiero, da tempo: la filosofia e la scienza, compresa la scienza della scienza. Il pensiero filosofico l’ha disorientato, Heidegger ne è l’espressione, che così a lungo ha cercato il centro perduto.
Ha dissolto i fenomeni fisici e biologici, e la psicologia, l’economia, la sociologia, nonché gli strumenti di misurazione, la geometria e la matematica. Ha inciso più della relatività: Einstein opera nell’alveo della fisica “classica”, la complessità invece perturba ogni entità. Rovesciando il Principio di ragione, il “nulla è senza ragione” di Leibniz, peraltro indimostrato. Il Principium rationis non è più il principio di ogni rappresentazione.
Confessione – Porta a galla il peggio di se stessi, lodata, lo moltiplica, lo metastasizza. O la solitudine, che è la stessa cosa. I preti lo sapevano, che tenevano in punta d bastone le zitelle beghine e le puttane pentite.
Denaro – Non risolve i problemi ma ne crea. Essendo passato da nummus a misuratore della felicità è un motore che gira a vuoto.
La sua trasformazione da numerario ad accumulatore segue l’inizio della modernità, e l’obbrobrio sull’evo medio, operoso e immaginativo come ogni altro ma segato per la difformità dal nuovo modello, che si pretende universale, sprofondato nella preistoria.
È il problema del capitalismo. Della sua insoddisfazione (crisi) e della sua non accettazione, a partire di grandi capitalisti. Il problema non è il sopruso, o l’accaparramento, che ricorrono in ogni altra forma sociale. Il problema è l’inconsistenza del denaro – per chi s’arricchisce oltre che per chi s’impoverisce. È qui l’inconsistenza della borghesia, la sua arte essendo il denaro, che non dà soddisfazioni.
Dio – Il suo difetto è la perfezione: troppe cose gli sfuggono.
Se fosse il mondo, come vogliono i mistici, sarebbe pura immaginazione. È piuttosto l’anti-mondo, il bisogno di una certezza.
Di un mondo che pure lui stesso ha creato? È possibile, il principio duale non era campato in aria: il mondo come opposto a Dio, nel suo sviluppo se non anche nella sua origine.
Nel suo sviluppo per il principio della libertà. Che dunque non è in Dio?
Dolore – Resta incomprensibile, come la violenza, o il riso, perché non si riesce a legarlo al divino. L’uomo razionalizza solo il divino (il divino è la radice della razionalità).
Filosofia – Non decide nulla. Ma è un modo elegante di passare il tempo. Poco faticoso, come il croquet.
Quella occidentale è greca e tedesca. Ma la filosofia è irrealizzabile, e questo male si addice agli operosi tedeschi.
Giallo - È il tipico racconto che corre alla fine. La narrazione è – era – tipicamente aperta, seminativa. Il giallo è un ventaglio che si chiude.
Identità – Se inward-looking implode. Per un fenomeno fisico. Anche di fisica sociale, nelle tribù di Turnbull, nelle famiglie endogenetiche. Il meticciato di Senghor, o cosmopolitismo, è ovviamente più produttivo, perché fa imparare qualcosa. Anche guardarsi indietro serve, s’impara dalla storia e dalla tradizione, non si è se non si è stati. In termini pratici è una questione di equilibrio: essrrci-per-aprirsi, direbbe Heidegger.
Ipocondria - È malattia indelebile. Tanto più in quanto è soft.
È stata degradata a malattia dell’epoca, dei ricchi e sazi, i giovin signori pariniani. Ma è atto di ostilità, continuativo, suadente, perfido. Contro gli affetti,prima che contro se stessi e il mondo.
Letteratura - È zona franca, per il privilegio dell’extraterritorialità. Tutti gli eroismi vi sono possibili, senza rischio né fatica. Ogni turpitudine vi si può perpetuare, ipocrisia, adulazione, tradimento, perfino la violenza e fino all’assassinio, impunemente.
Libro - È una promessa d’ignoto. Anche a chi lo pubblica, all’editore, allo scrittore, allo stesso consulente critico.
Si difende con le ricerche di mercato, ma per gettare fumo negli occhi.
Vuole fatica, è droga per pazienti.
Metafisica – Passati attraverso il rifiuto della metafisica, se ne esce rifiuti.
Narrazione – È diffusa, sotto forma di romanzo o di reality, perché è un esercizio dell’ego del narratore. Una proiezione molto diffusa in epoca di ego dominante.
È sempre un dialogo. Anche se graficamente ordinato in flusso ininterrotto (Joyce, Bernhard), senza intervento visibile di interlocutore. Le digressioni, gli a parte, i paesaggisti dell’anima, i vi dico io che cos’è, per quanto compiaciuti, devono reggersi su forme di dialogo, per quanto surrettizio, con interlocutori immaginari ma sempre realisti, altrimenti non si legge.
Nella narrazione come a teatro, l’interlocutore è sempre immaginario. Antagonista quanto si vuole ma a uso personale. Il dialogo è immaginario come la descrizione o i fatti: è solo un artificio per dare spessore plastico (voce, moto) ai personaggi – i primi dialoghi sono quelli filosofici, falsissimi.
Opinione – Non ce n’è di più stupida – superficiale, incoerente, faziosa, inutile – che là dove è diventata pubblica. Un africano all’epoca del tam-tam ne sapeva e ne capiva di più.
Segna l’irrilevanza della condizione urbana – l’irrilevanza della società al tempo della città.
Realtà – Entra in noi, che dobbiamo realizzarla, molto prima di essere. Come desiderio, presentimento, ineluttabilità, della catastrofe, preparazione.
Romanzo – È un progetto, con una struttura e un disegno. Da qui la critica dei caratteri, dei tipi, il plot, i generi. Mentre la narrazione deve fluire libera. La narrativa di fa da sé – è la scrittura: la lingua e la concrezione degli eventi. Personaggi e tipi evolvono con gli eventi. La psicologia non costruisce i personaggi ma si costruisce con essi.
Scrivere – La storia si scrive. Scrivere è portare al presente il passato, anche insignificante, e al passato il presente, compreso l’inesistente.
C’è nella scrittura, nella buona scrittura, dotata per la comunicazione (narrazione), qualcosa di più del percepito e dell’espresso, e del vissuto. Freud o Heidegger (Platone, Nietzsche, etc.), o Stendhal, Schopenhauer, scrittori dotati, sono molto più grandi dei loro intendimenti, talora perfino limitati, o del loro misero vissuto.
Ciò è esaltante: da solo dà la misura del potenziale umano.
È leggere. Lo scrittore è narratore di letture.
Storia - La sua verità non può essere la razionalità.
La razionalità non può essere che quella di oggi. Insomma, la più matura possibile, quella che oggi ci sembra vera. La verità della storia è quella del suo tempo. È la razionalità, se si vuole, ma del suo tempo.
Il che non cambia molto. Ma la definizione sì, che può non essere poco. Delle epoche buie, per esempio, rispetto a quelle illuminate. Per esempio, un’epoca in cui tutti s’improsano liberamente che cos’è? È libera, illuminata, razionale?
Tempo - È immortale. Altrimenti non sarebbe. E dunque era prima dell’uomo che è mortale.
È un continuum, ininterrompibile. Da qui una certa stolidità.
È un metronomo. Anzi un pendolo: non accelera, ed è indifferente.
Verità – È ubiqua, e insidiosa. È insidiosa per essere ubiqua.
zeulig@gmail.com
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (19)
Giuseppe Leuzzi
“Non sono un pirla”, dice il portoghese Mourinho, che l’Inter paga il doppio di ogni altro allenatore. E “conquista Milano”, assicura il “Corriere della sera”, dove pirla significa coglione.
La palamita
Il signor Lega di Chioggia, che non è mai stato in campagna, l’ha scoperta al Sud. Non ha mai vissuto la vita di paese, solo al Sud. Non ha mai visto un matrimonio in paese, lo ha visto al Sud. Non ha mai mangiato dai parenti, solo al Sud. È stato sposo giovane di Adriana, giovane chimica siciliana della Montedison a Marghera, che lo innamorava in ogni piega. Col tempo Adriana sviluppò un ritorno sentimentale alle radici, passando parte delle vacanze e qualche Pasqua nella casa di famiglia ereditata in paese in Sicilia. Il signor Lega volentieri l’accompagnò.
Fu così che scoprì la vita di paese, la campagna, i contadini, i parenti, i matrimoni, il controllo sociale, le chiacchiere. Con curiosità, ma con un sottile effetto: tutto fu per lui estremamente siciliano. Compresa la strana usanza di meriggiare con le imposte chiuse. Lo pensò e prese a dirlo in ogni occasione.
Adriana se ne risentì. Provò a spiegargli che la campagna nel Veneto è probabilmente uguale, rispettosa e dispettosa, amichevole e insolente, come forse dev’essere in tutte le comunità piccole e chiuse. Lo spiegò ripetutamente. Ma il signor Lega la spiegazione prese a conferma della diversità. Nel caso, come una prevaricazione – anch’essa caratteristica, meridionale, siciliana, eccetera.
Il dissidio si complicò quando con la ristrutturazione il signor Lega fu prepensionato, mentre la moglie restò in azienda in attività fino all’età canonica. E ora il signor Lega è uno di quelli che alla panchina sul canale dicono che gli immigrati ci tolgono il lavoro.
Ma un problema è sopravvenuto. Nella sua scoperta del Sud il signor Lega aveva scoperto il palamito. Che, non ci credereste, è il pesce sott’olio come lo chiamano al Sud. Non tonno all’olio ma palamito. Se lo scambiano per i morti – i parenti del mare lo mandano a quelli di campagna - e lo mettono in conserva per l’inverno. Il che in sé non è un problema, Il problema è che ora il sindaco di Grado e Matteo Piervincenzi fanno la sagra della palamita. Anzi, non la sagra, una festival. Una festa a cui invitano storici, geografi, artisti, e filosofi – Piervincenzi è cuoco di stelle Michelin, e quindi cucina col pensiero. La Festa della palamita, che secondo loro si è sempre pescata nell’Adriatico, e sarebbe nientemeno sorella-fratello nobile del tonno. L'ultima speranza del signor Lega è che la palamita non sia il palamito.
Il Nord non esiste, perché il Sud non l’ha inventato.
Il Sud invece esiste, perché il Nord l’ha inventato.
Andando alla spiaggia, al mare cristallino della Tonnara di Palmi e delle Pietre Nere, si attraversa la contrada Scinà. Un posto dove ora molti magistrati e avvocati, e noti mafiosi hanno costruito le loro ville sul mare. Che altro non evoca se non lo studioso di cui Sciascia scrive: “Scinà è il miglior scrittore in italiano che ci sia stato in Sicilia prima dell’unità”. Ma noto solo per “L’arabica impostura” dell’abate Vella, un ignorantone che “con accento maltese pronunciava un bastardume di linguaggio arabo”, e fabbricò falsi documenti arabi, dapprima per certificare l’indipendenza dei nobili siciliani dagli statuti napoletani, dal riformismo, poi per assoggettarveli. Scinà è uno dunque che i falsi denunciava, “la minzogna saracina” del poeta Meli.
Dumas, instant antropologo, fulmineo d’intuizione, esatto nel rilievo, anche nella prosa minore di “Maestro Adamo”: «“Ammazzagesù” sono chiamati gli sbirri» in Calabria, racconta.
Nei caffè di Brindisi si fa (si faceva dieci anni fa) la tratta del lavoro. Albanese e asiatico. Ancora da arrivare.
Nella stazione di servizio di Monopoli si fa (si faceva) ufficio al cellulare, ordinando partite d’abbigliamento per centinaia di milioni, di scarpe, di mobili, di giocattoli, a produttori e distributori del Nord. Complici? Partite che si rivendevano a sconto a veri commercianti, con fatture false, e non pagate.
È lo stesso gusto degli affari di Milano, mediato magari a Milano, senza capitali. La moralità è diversa?
Avendo una Mondadori al Sud, o una Rizzoli, si potrebbe agevolmente comporre un libro alla Bocca o alla Stella sulla mafia a Milano. Non manca nulla.
Hanno colpito il Sud ripetutamente, ci hanno preso la politica, hanno colpito Roma e ora si prendono anche le banche, hanno colpito Torino col calcio, la cupola della mafia che non si trova è a Milano, che si proclama la capitale morale d’Italia. Non c’è infamia che Milano si sia risparmiata.
Se al tempo del Ripamonti i bravi erano sessantamila, non possono essersi dileguati senza traccia – anche seimila sono troppi, a voler concedere un errore di stampa.
Sudismi\sadismi. “Perché il Sud è senza voce”, un articolo di riflessione di Galli della Loggia il 29 maggio sulla scomparsa del Sud dall’Italia, ha aperto un dibattito sul “Corriere della sera”, all’uso di una volta. Che ha raccolto in dieci giorni tre interventi. Di ottantenni, La Capria, Giovannino Russo e Emilio Colombo - che forse va per i novanta. Con argomenti non si può non dire giovanili, di cinquanta e sessant’anni fa.
Il direttore del “Corriere” Mieli sarà stato generoso ad aprire il dibattito - se non voleva divertirsi. Gli intervenuti potrebbero non averlo deluso: ognuno a suo modo - ma tutti poi al modo napoletano - hanno testimoniato l'assenza del Sud più efficacemente di quanto abbia saputo dire Galli della Loggia. Il fatto è che il Sud può essere molto meglio, e molto peggio, di Napoli. E che comunque non va cercato a Napoli.Che dire di Napoli? “Il fatto è che per decenni”, scrive Galli della Loggia, “le sue classi dirigenti hanno tratto proprio dalla centralità ideologico-culturale della questione meridionale l’essenza del proprio profilo e del proprio ruolo politico sulla scena nazionale”. Il “fatto”? quale fatto? Ogni parola suscita meraviglia: classi dirigenti? centralità? ideologia? cultura? questione meridionale? profilo politico? ruolo? Lo storico fiuta la novità, ma la riporta alla solita “vecchia tesi” (non c’è saggezza se non è vecchia): alla “antica vocazione delle classi dirigenti siciliane a bypassare Napoli e il Mezzogiorno per mettersi direttamente d’accordo con l’Italia settentrionale”. No, lo sforzo è di tutto l’ex Regno di liberarsi di Napoli e mettersi d’accordo col mondo – liberarsi dei baroni? dei Borboni? No, di Napoli, dell’inferno.La parte più nobile di Napoli, “Gomorra”, nel libro e al cinema, è proprio napoletana, molto furba. Accattivante, suadente, e traditrice – mai un briciolo di verità a Napoli, è roba da poveracci. La questione morale della mafia, se se ne potesse impiantare una, è significativa: a Palermo costruisce e innova, a Napoli litiga per le strade e accoltella i bambini. La città sa fare (ancora) molte cose, ma non lo sa dire, o non vuole. E si crogiola – la crogiolano i suoi giornali, i suoi scrittori, i suoi intellettuali – nel tricche e ballacche. Eh sì, Napoli nobilissima e crudelissima è folklore stomachevole. Quell’essere e non essere vischioso, che da tropo tempo mostra un ordito camorristico, marcio anche se da teatro d’infimo ordine, dai disoccupati organizzati agli assenteisti e sabotatori dell’Alfa Romeo, e ai rifiuti, che si vogliono ecologia pura e sopraffina. L'ultimo ministro di Napoli è Pecoraro Scanio. A Pomigliano, dove la Fiat ha concentrato l’Alfa Romeo per farne un marchio da mezzo milione di autovetture, alle maestranze non gliene frega nulla, a loro interessa poter non andare il lunedì. Che Sud è questo? Meno male se non ha più voce.Il problema è alla radice. Che deve dire il Sud di fronte a Napoli? Che cosa di diverso può dire rispetto al Nord, e al resto d’Italia e del mondo? O di fronte a tutto il sentimentalismo e la rancida sociologia dei polemisti anziani del “Corriere”? Per una diversità del Sud che, insomma, si sa, è l’intervento straordinario? Ma la chiusura della Cassa per il Mezzogiorno è la cosa migliore che sia stata fatta nel dopoguerra per il Sud.Il problema è che il silenzio del Sud è un’ottima novità, se non sa che parlare sguaiato, nella forte indignazione delle sue figuranti popolane, che non si capisce se sono veline locali o guappe furbe. Per fortuna, avrebbe dovuto dire Galli della Loggia, che il Sud tace, raccoglie l’immondizia e, dove possibile, va di giorno a lavorare.La questione meridionale è la questione settentrionale. Di uno Stato che si dice meridionalizzato. Lo dicono i corrispondenti del “Corriere”, lo diceva Sciascia, lo dice il Meridione insomma, e questo è parte del problema, è la parte più importante. Mentre si sa che è settentrionalizzato. Perché il Sud non ha mai contato nulla, non sono gli sbirri che fanno la polizia. Perché è corrotto e imbelle, soggiogato al denaro in tutte le sue forme, dal sussidio alla termovalorizzazione e alle energie alternative, cosa di meglio c’è per le coscienze?, passando per la criminalità. La colpa specifica del Sud in questa Italia è di non saper far fruttare il crimine.
“Non sono un pirla”, dice il portoghese Mourinho, che l’Inter paga il doppio di ogni altro allenatore. E “conquista Milano”, assicura il “Corriere della sera”, dove pirla significa coglione.
La palamita
Il signor Lega di Chioggia, che non è mai stato in campagna, l’ha scoperta al Sud. Non ha mai vissuto la vita di paese, solo al Sud. Non ha mai visto un matrimonio in paese, lo ha visto al Sud. Non ha mai mangiato dai parenti, solo al Sud. È stato sposo giovane di Adriana, giovane chimica siciliana della Montedison a Marghera, che lo innamorava in ogni piega. Col tempo Adriana sviluppò un ritorno sentimentale alle radici, passando parte delle vacanze e qualche Pasqua nella casa di famiglia ereditata in paese in Sicilia. Il signor Lega volentieri l’accompagnò.
Fu così che scoprì la vita di paese, la campagna, i contadini, i parenti, i matrimoni, il controllo sociale, le chiacchiere. Con curiosità, ma con un sottile effetto: tutto fu per lui estremamente siciliano. Compresa la strana usanza di meriggiare con le imposte chiuse. Lo pensò e prese a dirlo in ogni occasione.
Adriana se ne risentì. Provò a spiegargli che la campagna nel Veneto è probabilmente uguale, rispettosa e dispettosa, amichevole e insolente, come forse dev’essere in tutte le comunità piccole e chiuse. Lo spiegò ripetutamente. Ma il signor Lega la spiegazione prese a conferma della diversità. Nel caso, come una prevaricazione – anch’essa caratteristica, meridionale, siciliana, eccetera.
Il dissidio si complicò quando con la ristrutturazione il signor Lega fu prepensionato, mentre la moglie restò in azienda in attività fino all’età canonica. E ora il signor Lega è uno di quelli che alla panchina sul canale dicono che gli immigrati ci tolgono il lavoro.
Ma un problema è sopravvenuto. Nella sua scoperta del Sud il signor Lega aveva scoperto il palamito. Che, non ci credereste, è il pesce sott’olio come lo chiamano al Sud. Non tonno all’olio ma palamito. Se lo scambiano per i morti – i parenti del mare lo mandano a quelli di campagna - e lo mettono in conserva per l’inverno. Il che in sé non è un problema, Il problema è che ora il sindaco di Grado e Matteo Piervincenzi fanno la sagra della palamita. Anzi, non la sagra, una festival. Una festa a cui invitano storici, geografi, artisti, e filosofi – Piervincenzi è cuoco di stelle Michelin, e quindi cucina col pensiero. La Festa della palamita, che secondo loro si è sempre pescata nell’Adriatico, e sarebbe nientemeno sorella-fratello nobile del tonno. L'ultima speranza del signor Lega è che la palamita non sia il palamito.
Il Nord non esiste, perché il Sud non l’ha inventato.
Il Sud invece esiste, perché il Nord l’ha inventato.
Andando alla spiaggia, al mare cristallino della Tonnara di Palmi e delle Pietre Nere, si attraversa la contrada Scinà. Un posto dove ora molti magistrati e avvocati, e noti mafiosi hanno costruito le loro ville sul mare. Che altro non evoca se non lo studioso di cui Sciascia scrive: “Scinà è il miglior scrittore in italiano che ci sia stato in Sicilia prima dell’unità”. Ma noto solo per “L’arabica impostura” dell’abate Vella, un ignorantone che “con accento maltese pronunciava un bastardume di linguaggio arabo”, e fabbricò falsi documenti arabi, dapprima per certificare l’indipendenza dei nobili siciliani dagli statuti napoletani, dal riformismo, poi per assoggettarveli. Scinà è uno dunque che i falsi denunciava, “la minzogna saracina” del poeta Meli.
Dumas, instant antropologo, fulmineo d’intuizione, esatto nel rilievo, anche nella prosa minore di “Maestro Adamo”: «“Ammazzagesù” sono chiamati gli sbirri» in Calabria, racconta.
Nei caffè di Brindisi si fa (si faceva dieci anni fa) la tratta del lavoro. Albanese e asiatico. Ancora da arrivare.
Nella stazione di servizio di Monopoli si fa (si faceva) ufficio al cellulare, ordinando partite d’abbigliamento per centinaia di milioni, di scarpe, di mobili, di giocattoli, a produttori e distributori del Nord. Complici? Partite che si rivendevano a sconto a veri commercianti, con fatture false, e non pagate.
È lo stesso gusto degli affari di Milano, mediato magari a Milano, senza capitali. La moralità è diversa?
Avendo una Mondadori al Sud, o una Rizzoli, si potrebbe agevolmente comporre un libro alla Bocca o alla Stella sulla mafia a Milano. Non manca nulla.
Hanno colpito il Sud ripetutamente, ci hanno preso la politica, hanno colpito Roma e ora si prendono anche le banche, hanno colpito Torino col calcio, la cupola della mafia che non si trova è a Milano, che si proclama la capitale morale d’Italia. Non c’è infamia che Milano si sia risparmiata.
Se al tempo del Ripamonti i bravi erano sessantamila, non possono essersi dileguati senza traccia – anche seimila sono troppi, a voler concedere un errore di stampa.
Sudismi\sadismi. “Perché il Sud è senza voce”, un articolo di riflessione di Galli della Loggia il 29 maggio sulla scomparsa del Sud dall’Italia, ha aperto un dibattito sul “Corriere della sera”, all’uso di una volta. Che ha raccolto in dieci giorni tre interventi. Di ottantenni, La Capria, Giovannino Russo e Emilio Colombo - che forse va per i novanta. Con argomenti non si può non dire giovanili, di cinquanta e sessant’anni fa.
Il direttore del “Corriere” Mieli sarà stato generoso ad aprire il dibattito - se non voleva divertirsi. Gli intervenuti potrebbero non averlo deluso: ognuno a suo modo - ma tutti poi al modo napoletano - hanno testimoniato l'assenza del Sud più efficacemente di quanto abbia saputo dire Galli della Loggia. Il fatto è che il Sud può essere molto meglio, e molto peggio, di Napoli. E che comunque non va cercato a Napoli.Che dire di Napoli? “Il fatto è che per decenni”, scrive Galli della Loggia, “le sue classi dirigenti hanno tratto proprio dalla centralità ideologico-culturale della questione meridionale l’essenza del proprio profilo e del proprio ruolo politico sulla scena nazionale”. Il “fatto”? quale fatto? Ogni parola suscita meraviglia: classi dirigenti? centralità? ideologia? cultura? questione meridionale? profilo politico? ruolo? Lo storico fiuta la novità, ma la riporta alla solita “vecchia tesi” (non c’è saggezza se non è vecchia): alla “antica vocazione delle classi dirigenti siciliane a bypassare Napoli e il Mezzogiorno per mettersi direttamente d’accordo con l’Italia settentrionale”. No, lo sforzo è di tutto l’ex Regno di liberarsi di Napoli e mettersi d’accordo col mondo – liberarsi dei baroni? dei Borboni? No, di Napoli, dell’inferno.La parte più nobile di Napoli, “Gomorra”, nel libro e al cinema, è proprio napoletana, molto furba. Accattivante, suadente, e traditrice – mai un briciolo di verità a Napoli, è roba da poveracci. La questione morale della mafia, se se ne potesse impiantare una, è significativa: a Palermo costruisce e innova, a Napoli litiga per le strade e accoltella i bambini. La città sa fare (ancora) molte cose, ma non lo sa dire, o non vuole. E si crogiola – la crogiolano i suoi giornali, i suoi scrittori, i suoi intellettuali – nel tricche e ballacche. Eh sì, Napoli nobilissima e crudelissima è folklore stomachevole. Quell’essere e non essere vischioso, che da tropo tempo mostra un ordito camorristico, marcio anche se da teatro d’infimo ordine, dai disoccupati organizzati agli assenteisti e sabotatori dell’Alfa Romeo, e ai rifiuti, che si vogliono ecologia pura e sopraffina. L'ultimo ministro di Napoli è Pecoraro Scanio. A Pomigliano, dove la Fiat ha concentrato l’Alfa Romeo per farne un marchio da mezzo milione di autovetture, alle maestranze non gliene frega nulla, a loro interessa poter non andare il lunedì. Che Sud è questo? Meno male se non ha più voce.Il problema è alla radice. Che deve dire il Sud di fronte a Napoli? Che cosa di diverso può dire rispetto al Nord, e al resto d’Italia e del mondo? O di fronte a tutto il sentimentalismo e la rancida sociologia dei polemisti anziani del “Corriere”? Per una diversità del Sud che, insomma, si sa, è l’intervento straordinario? Ma la chiusura della Cassa per il Mezzogiorno è la cosa migliore che sia stata fatta nel dopoguerra per il Sud.Il problema è che il silenzio del Sud è un’ottima novità, se non sa che parlare sguaiato, nella forte indignazione delle sue figuranti popolane, che non si capisce se sono veline locali o guappe furbe. Per fortuna, avrebbe dovuto dire Galli della Loggia, che il Sud tace, raccoglie l’immondizia e, dove possibile, va di giorno a lavorare.La questione meridionale è la questione settentrionale. Di uno Stato che si dice meridionalizzato. Lo dicono i corrispondenti del “Corriere”, lo diceva Sciascia, lo dice il Meridione insomma, e questo è parte del problema, è la parte più importante. Mentre si sa che è settentrionalizzato. Perché il Sud non ha mai contato nulla, non sono gli sbirri che fanno la polizia. Perché è corrotto e imbelle, soggiogato al denaro in tutte le sue forme, dal sussidio alla termovalorizzazione e alle energie alternative, cosa di meglio c’è per le coscienze?, passando per la criminalità. La colpa specifica del Sud in questa Italia è di non saper far fruttare il crimine.
domenica 15 giugno 2008
Il caro petrolio finirà con Bush
Il neo libertino Tremonti si è divertito al vertice economico in Giappone a dire che il caro petrolio è dovuto alla speculazione. Il che è solo vero. Inglesi e americani hanno detto di no, riferiscono i giornali italiani con aria di rimprovero. Al ministro italiano. Senza spiegare che la speculazione si fa a Londra e Wall Street, che grosse fortune vi si sono costituite.
La domanda e l’offerta non c’entrano nulla col petrolio a cento o duecento dollari. Non c’è scarsità di offerta: il greggio abbonda, il gas pure, se anche per una settimana o un mese il mondo decidesse di andare a piedi, il greggio aumenterebbe. Questo è un caso da manuale di aspettative inflazionistiche che rendono l’inflazione ineluttabile, per la debolezza procurata del dollaro e delle monete asiatiche al dollaro legate. E di speculazione, che, nella migliore delle ipotesi, si difende dall’inflazione. In quella gigantesca partita di giro che sono i futures, che non si sa chi pagherà – per ora la stiamo pagando noi. Il tutto nella ovvia consapevolezza che Bush è lì per rilanciare l’industria del petrolio negli Usa. Nelle aree per ora chiuse alla prospezione, soprattutto a mare. E nelle emissioni, che in alcuni Stati hanno limiti troppo rigidi a giudizio dei petrolieri.
Ma per questo stesso fatto con la fine della presidenza Bush la sagra è destinata a finire: se vince Obama ma anche se vince McCain, la bolla scoppierà. Tutti i suoi pilastri, i fondi sovrani della penisola arabica e di Mosca, le banche d’affari inglesi e americane che vendono il know-how, e i tanti texani e russi agganciati al boom, si reggono sul benign neglect di Bush. Che nella diplomazia degli affari equivale a un accordo, è la vecchia stretta di mano al mercato dei buoi.
Non c’entra l’ideologia, il liberismo, la globalizzazione. Bush ha dato via libera per tre fattori concomitanti, oltre al rilancio dell'industria americana del petrolio in America: tenersi stretti i potentati arabi nella lotta al terrorismo, fare dell’Arabia Saudita una potenza regionale in grado di giocare un ruolo di stabilizzazione in Libano, in Iraq e, si pensa, con l'Iran, arricchire gli amici petrolieri americani – anche se pure Putin ne approfitta. Questo non può durare. Non per altro: i problemi del mondo si risentono anche in Cina e in India, che l’America non può mettere in crisi. E' in simbiosi con Cina e India che l'America riesce a fare da un ventennio ancora la spesa, e dall’altra regolare senza spendere il mondo, senza sprecare armi e soldati.
La domanda e l’offerta non c’entrano nulla col petrolio a cento o duecento dollari. Non c’è scarsità di offerta: il greggio abbonda, il gas pure, se anche per una settimana o un mese il mondo decidesse di andare a piedi, il greggio aumenterebbe. Questo è un caso da manuale di aspettative inflazionistiche che rendono l’inflazione ineluttabile, per la debolezza procurata del dollaro e delle monete asiatiche al dollaro legate. E di speculazione, che, nella migliore delle ipotesi, si difende dall’inflazione. In quella gigantesca partita di giro che sono i futures, che non si sa chi pagherà – per ora la stiamo pagando noi. Il tutto nella ovvia consapevolezza che Bush è lì per rilanciare l’industria del petrolio negli Usa. Nelle aree per ora chiuse alla prospezione, soprattutto a mare. E nelle emissioni, che in alcuni Stati hanno limiti troppo rigidi a giudizio dei petrolieri.
Ma per questo stesso fatto con la fine della presidenza Bush la sagra è destinata a finire: se vince Obama ma anche se vince McCain, la bolla scoppierà. Tutti i suoi pilastri, i fondi sovrani della penisola arabica e di Mosca, le banche d’affari inglesi e americane che vendono il know-how, e i tanti texani e russi agganciati al boom, si reggono sul benign neglect di Bush. Che nella diplomazia degli affari equivale a un accordo, è la vecchia stretta di mano al mercato dei buoi.
Non c’entra l’ideologia, il liberismo, la globalizzazione. Bush ha dato via libera per tre fattori concomitanti, oltre al rilancio dell'industria americana del petrolio in America: tenersi stretti i potentati arabi nella lotta al terrorismo, fare dell’Arabia Saudita una potenza regionale in grado di giocare un ruolo di stabilizzazione in Libano, in Iraq e, si pensa, con l'Iran, arricchire gli amici petrolieri americani – anche se pure Putin ne approfitta. Questo non può durare. Non per altro: i problemi del mondo si risentono anche in Cina e in India, che l’America non può mettere in crisi. E' in simbiosi con Cina e India che l'America riesce a fare da un ventennio ancora la spesa, e dall’altra regolare senza spendere il mondo, senza sprecare armi e soldati.
Fascista sarà Tremonti - o è il re Sole?
La reincarnazione di Tremonti è affascinante, per come sa gestire i giornali, ottenere l’effetto. “L’impoverimento del ceto medio europeo ha un solo esito, il fascismo”, ha detto, e zàcchete, il “Corriere” intervista gli storici del fascismo. Melograni, che ha capito il gioco, se la cava: “Un ritorno al fascismo? No, non lo vedo. Vedo però, in questo ha ragione Tremonti, un forte impoverimento dei ceti medi europei”. Emilio Gentile e Lucio Villari danno naturalmente addosso a Tremonti, per correttezza politica, ma poi si avvedono che assolvono Berlusconi dal fascismo, altra correttezza politica, e un po’ si perdono. Gentile si fa una risata, dice l’intervistatore Paolo Conti, ma poi il fascismo riduce al nazionalismo: “Fascismo e nazionalsocialismo non intendevano sfamare una quota di popolazione ma conquistare un impero”. Anzi, esclude categoricamente che il fascismo “ebbe fortuna per una caduta sociale del ceto medio”, cosa che tutti invece sanno per evidenza innegabile. Mussolini, come si sa, non ebbe una politica sociale, e non fu sostenuto dalla piccola borghesia e dal lavoro dipendente, solo dai legionari e vagheggini della donna nera. Come, ora, Berlusconi in Afghanistan o in Iran. Villari sa, ma nega: “Il fascismo non nacque solo per vicende economiche ma per una questione ideologica e politica. E oggi la crisi del ceto medio non mi pare si stia saldando con una crisi ideologica o politica”. No?
Sempre e solo politica politicante. Che cos’è la Lega per Villari e Gentile, il partito del Nord? Degli operai e dei borghesi del Nord? Sullo stesso “Corriere” del resto Paolo Macry becca lo storico di lungo corso Tranfaglia, orfano del Pci, che si sarebbe prodotto sull’“Unità” in nove puntate attorno a Giorgio Almirante. Una biografia del fascista-neofascista-doppiopettista che serve unicamente e evitare che una strada gli sia intitolata. In subordine all’anatema di rito contro il socialfascista Craxi, che negli incontri politici coi partiti in Parlamento per la formazione del governo prese a parlare anche con Almirante. Lo storico Tranfaglia conclude la sua opera ricordando che l’erede di Almirante, previa investitura, è il presidente della Camera Fini. Non sarà dunque il fascismo già ritornato?
Questo, sabato. Domenica Eugenio Scalfari commenta lungamente un articolo del “collega D’Avanzo”, cronista giudiziario di “Repubblica”, secondo il quale Berlusconi sta tentando di “separare lo Stato dal diritto”, cioè dalla Costituzione. Siamo cioè al fascismo. Ma Scalfari, forse per non dare ragione a Tremonti, dice che no, siamo al re Sole, e anzi alla parrucca del re Sole.
Nella stessa giornata Gentile non trova il coraggio su “Il Sole” di dire esplicitamente dove si è annidato il fascismo nel lungo dopoguerra. “Per molti antifascisti la peggiore eredità del fascismo non era la continuità delle istituzioni statali e pubbliche create dal regime e incorporate nello Stato repubblicano, quanto e soprattutto un certo modo di concepire e praticare la politica”, esordisce il fascistologo. E conclude: “Se il conformismo e il misticismo politico erano mali del fascismo trasmessi alla democrazia, altrettanto grave era un’altra tendenza del totalitarismo fascista che pareva avesse contagiato i partiti della democrazia, cioè la tendenza a organizzare le masse con appelli al settarismo fanatico, e la loro propensione a prevaricare lo Stato per i loro interessi, producendo così, dopo l’esperienza del partito unico, una nuova forma di dominio partitico, che fu definito fin dai primi anni dell’Italia repubblicana, con il termine “partitocrazia”…”. Mamma mia, che storia! Gentile ha il pudore di non darne la colpa a Almirante. Ma se il professore facesse ancora uno sforzo non sarebbe male - i compagni sono sempre potenti nel terzo settore, ma non più faziosi come usavano.
Il re Sole, dunque, e il fascismo. Mentre si tratta di raccogliere la spazzatura a Napoli, di evitare qualche stupro, in piazza o nelle metropolitane, uno su dieci non sarebbe già un buon risultato?, di non costruire a villette a schiera il patrimonio dell’umanità tra Montalcino e Pienza, dove sono già riusciti a riempirsi le tasche svuotando il Brunello, e al più di eliminare le mafie che reggono le regioni compagne, da Napoli a Firenze. Il fascismo, è vero, non c’entra. O c’entra? L’intellettuale e resistente Asor Rosa vuole i soldi del governo per indennizzare i costruttori delle villette tra Pienza e Montalcino, caso mai non riuscissero a venderle. Mentre a Napoli Mirella Barracco non vuole volontari che spazzino le strade. Forse la baronessa non sa che tra Chiaiano e Marano è un vespaio di camorristi (o forse lo sa). Fascista è anche, un po', il tradimento del terzo settore, gli (ex) intellettuali. Che non sanno che tutto questo fascismo era già di Pasolini nel 1975, nel 1969, nel 1958: al fascsimo degli intellettuali non c'è scampo?
Sempre e solo politica politicante. Che cos’è la Lega per Villari e Gentile, il partito del Nord? Degli operai e dei borghesi del Nord? Sullo stesso “Corriere” del resto Paolo Macry becca lo storico di lungo corso Tranfaglia, orfano del Pci, che si sarebbe prodotto sull’“Unità” in nove puntate attorno a Giorgio Almirante. Una biografia del fascista-neofascista-doppiopettista che serve unicamente e evitare che una strada gli sia intitolata. In subordine all’anatema di rito contro il socialfascista Craxi, che negli incontri politici coi partiti in Parlamento per la formazione del governo prese a parlare anche con Almirante. Lo storico Tranfaglia conclude la sua opera ricordando che l’erede di Almirante, previa investitura, è il presidente della Camera Fini. Non sarà dunque il fascismo già ritornato?
Questo, sabato. Domenica Eugenio Scalfari commenta lungamente un articolo del “collega D’Avanzo”, cronista giudiziario di “Repubblica”, secondo il quale Berlusconi sta tentando di “separare lo Stato dal diritto”, cioè dalla Costituzione. Siamo cioè al fascismo. Ma Scalfari, forse per non dare ragione a Tremonti, dice che no, siamo al re Sole, e anzi alla parrucca del re Sole.
Nella stessa giornata Gentile non trova il coraggio su “Il Sole” di dire esplicitamente dove si è annidato il fascismo nel lungo dopoguerra. “Per molti antifascisti la peggiore eredità del fascismo non era la continuità delle istituzioni statali e pubbliche create dal regime e incorporate nello Stato repubblicano, quanto e soprattutto un certo modo di concepire e praticare la politica”, esordisce il fascistologo. E conclude: “Se il conformismo e il misticismo politico erano mali del fascismo trasmessi alla democrazia, altrettanto grave era un’altra tendenza del totalitarismo fascista che pareva avesse contagiato i partiti della democrazia, cioè la tendenza a organizzare le masse con appelli al settarismo fanatico, e la loro propensione a prevaricare lo Stato per i loro interessi, producendo così, dopo l’esperienza del partito unico, una nuova forma di dominio partitico, che fu definito fin dai primi anni dell’Italia repubblicana, con il termine “partitocrazia”…”. Mamma mia, che storia! Gentile ha il pudore di non darne la colpa a Almirante. Ma se il professore facesse ancora uno sforzo non sarebbe male - i compagni sono sempre potenti nel terzo settore, ma non più faziosi come usavano.
Il re Sole, dunque, e il fascismo. Mentre si tratta di raccogliere la spazzatura a Napoli, di evitare qualche stupro, in piazza o nelle metropolitane, uno su dieci non sarebbe già un buon risultato?, di non costruire a villette a schiera il patrimonio dell’umanità tra Montalcino e Pienza, dove sono già riusciti a riempirsi le tasche svuotando il Brunello, e al più di eliminare le mafie che reggono le regioni compagne, da Napoli a Firenze. Il fascismo, è vero, non c’entra. O c’entra? L’intellettuale e resistente Asor Rosa vuole i soldi del governo per indennizzare i costruttori delle villette tra Pienza e Montalcino, caso mai non riuscissero a venderle. Mentre a Napoli Mirella Barracco non vuole volontari che spazzino le strade. Forse la baronessa non sa che tra Chiaiano e Marano è un vespaio di camorristi (o forse lo sa). Fascista è anche, un po', il tradimento del terzo settore, gli (ex) intellettuali. Che non sanno che tutto questo fascismo era già di Pasolini nel 1975, nel 1969, nel 1958: al fascsimo degli intellettuali non c'è scampo?
Si vota no all'Europa del nulla
Ci si chiede cosa non va in Europa. Perché euroentusiasti come gli irlandesi, che finalmente in Europa, in soli quindici anni, hanno potuto battere la povertà di un millennio, finalmente alla pari degli inglesi, ce l'abbiano tanto contro la costituzione europea. Ma ci si dovrebbe chiedere cosa va in Europa. Che è governata da una burocrazia insolente e stracca, cioè stupida. Da una Francia insolete e stupida. Da una Germania operosa e stupida. Per un diplomatico, e anche per un gioanlista se ce ne fossero, il mutismo della Germania è fragoroso. Già negli otto anni di Schröder. Ma di più con la Merkel. Sotto la frusta degli Usa cattivissimi, che fanno ballare il mondo a comando. Che montano l’Est Europa e il Caucaso contro la Russia. E contro la Russia hanno smontato la Serbia, dopo che l’Europa aveva smontato la Jugoslavia, con l’invenzione del Kossovo e l’ignobile guerra aerea di Clinton - l'Europa con la Russia sarebbe imbattibile.
Il referendum istituzionale sarà l’estrema prova dell’insipienza europea. Dell’Europa dei burocrati in questi vent’anni di vuoto politico, dopo Gorbaciov – il comunismo sovietico sarà stata l’unica ragione d’essere dell’“ideale” europeo, della libertà, il progresso, il socialismo, l’Occidente. L’Europa è tornata a essere la vecchia balzana che da oltre un secolo è, paurosa, fascista, traditrice.
C’è altra insipienza che votare una costituzione? Senza mediazione politica? Senza nessuno che sappia di che si tratta e lo spieghi? Perché il voto è libero e democratico… Bisogna avere molta cattiva coscienza per far credere simili sciocchezze. O non averne, né buona né cattiva. Questo è il caso dell’Europa, dei suoi governi tutti per un qualche verso con la cattiva coscienza, e di Bruxelles. Gli europei, in proprio, sono a mal partito e delusi dalla politica, che altro devono dire? Che dica sì metà o poco meno dell’elettorato è anzi un miracolo, di fronte a tanta bestialità. La politica agricola e quella monetaria sono tanto belluine che non un no all’urna ma una rivolta violenta sarebbe più che giustificata.
È un’epoca insensata per l’Europa, del grande freddo, fra i tempi calamitosi della siccità, dei ghiacci che si sciolgono ai poli, e che si penserebbero torridi, ma piove così tanto, e gli immigrati che la invadono e devastano, e tutti si litigano, per appropriarsene. Mentre magari se producesse un po’ più di grano, di carne e di latte, invece di pagare, migliaia di miliardi ogni anno, per non produrre, sarebbe un po’ appagata e farebbe anche opera di bene - vero volontariato, non quello pulcioso di chi combatte con la sua vita. Il suo segno è del resto la politica monetaria così scioccamente maltusiana – di chi volgarmente si sega le palle per far dispetto alla suocera. In dispetto col mondo, con la globalizzazione che la sua elevata coscienza morale le impedisce di riconoscere, uno legge “Le Monde” e si stropiccia gli occhi. Tra Sarkozy, Berlusconi e Zapatero – manca il tango.
Il referendum istituzionale sarà l’estrema prova dell’insipienza europea. Dell’Europa dei burocrati in questi vent’anni di vuoto politico, dopo Gorbaciov – il comunismo sovietico sarà stata l’unica ragione d’essere dell’“ideale” europeo, della libertà, il progresso, il socialismo, l’Occidente. L’Europa è tornata a essere la vecchia balzana che da oltre un secolo è, paurosa, fascista, traditrice.
C’è altra insipienza che votare una costituzione? Senza mediazione politica? Senza nessuno che sappia di che si tratta e lo spieghi? Perché il voto è libero e democratico… Bisogna avere molta cattiva coscienza per far credere simili sciocchezze. O non averne, né buona né cattiva. Questo è il caso dell’Europa, dei suoi governi tutti per un qualche verso con la cattiva coscienza, e di Bruxelles. Gli europei, in proprio, sono a mal partito e delusi dalla politica, che altro devono dire? Che dica sì metà o poco meno dell’elettorato è anzi un miracolo, di fronte a tanta bestialità. La politica agricola e quella monetaria sono tanto belluine che non un no all’urna ma una rivolta violenta sarebbe più che giustificata.
È un’epoca insensata per l’Europa, del grande freddo, fra i tempi calamitosi della siccità, dei ghiacci che si sciolgono ai poli, e che si penserebbero torridi, ma piove così tanto, e gli immigrati che la invadono e devastano, e tutti si litigano, per appropriarsene. Mentre magari se producesse un po’ più di grano, di carne e di latte, invece di pagare, migliaia di miliardi ogni anno, per non produrre, sarebbe un po’ appagata e farebbe anche opera di bene - vero volontariato, non quello pulcioso di chi combatte con la sua vita. Il suo segno è del resto la politica monetaria così scioccamente maltusiana – di chi volgarmente si sega le palle per far dispetto alla suocera. In dispetto col mondo, con la globalizzazione che la sua elevata coscienza morale le impedisce di riconoscere, uno legge “Le Monde” e si stropiccia gli occhi. Tra Sarkozy, Berlusconi e Zapatero – manca il tango.