L’ultimo progetto della sinistra è stato la riduzione dell’orario di lavoro. Nel mezzo già della globalizzazione, con milioni di posti di lavoro cancellati dalle masse asiatiche a un dollaro l’ora, per quattordici ore al giorno, per sei giorni la settimana. La cecità è indubbia. Effetto della caduta del Muro, dell’orfanaggio comunista? Forse in Italia, dove il partito Democratico è nato togliattiano, nel 2007. Ma in Europa? In Francia è forse l’effetto dell’insolenza. Ma altrove? La presunzione è dura a morire della superiorità intellettuale, detta sociale, che si perpetua nella difesa dei privilegi di Stato – lo Stato la sinistra in Europa suppone al riparo dal mercati, non ha mai studiato i sacri testi.
L'eclisse della sinistra si può dirla un fatto di cicli: oggi governa la destra, domani il pendolo dell’elettorato andrà a sinistra. Se non altro per correggere gli errori della destra. Ma il ciclo politico vero è da qualche tempo di crisi e trasformazione. Fasi nelle quali la sinistra è indicata a governare, essendo antibellicista e innovatrice. La sua eclisse è in realtà anticiclica.
La sinistra in Europa è in deficit di idee su tutti e tre problemi dell’epoca: il reddito (il lavoro, il salario, la pensione), il carovita, e l’immigrazione clandestina. È anche ai minimi storici, a meno del 30 per cento, ovunque in Europa, compresa la Spagna. La difesa delle superpensioni parla da sé, in Francia, in Germania, in Italia. L’immigrazione clandestina è una tragedia, pure mafiosa - proteggerla non è concorso esterno con la mafia? E ora si fa scudo con l’antiberlusconismo, anche in Europa.
Sembra ridicolo, è impossibile dirlo prima che pensarlo, ma è così. La sinistra in deficit di idee e di voti si comporta, anche in Europa, dove non ha a proteggerla Bazoli e De Benedetti con le loro potenti trombe, come se fosse giudice unico di un potere insindacabile. È la solita italian disease, il morbo italico? O non sarà che tutti invidiano l’IdV, l’Italia dei Vuoti, che prende il gelato a piazza Navona?
Asservendo a Berlusconi la stampa, però, che in Italia è “figlia di” (giornalisti, editori, banchieri, chirurghi, e ancora del prete), la sinistra il gelato rischia di mangiarselo da solo. Non sarà che si compiace in onanismo? A meno che non ambisca menarsela coi vecchi Dc - l’“a morte Berlusconi!”, benché pronunciato da Andrea Camilleri, è voto sincero Dc.
sabato 12 luglio 2008
Draghi studia da capo del governo
Il governatore della Banca d’Italia scopre impunito a luglio che “i salari perdono potere d’acquisto”. E che “ci sono rischi anche per i risparmi”. Sollevando per questo panegirici. Poi ammonisce che “la libertà del commercio internazionale è oggi a rischio come mai dagli anni Ottanta”. Lo dice all’Aspen Institute che Tremonti presiede. Il quale ha buon gioco ad ammonire contro gli stability forum: “Sarebbe come mettere i topi a guardia del formaggio”. Ammonisce cioè contro Draghi, che le banche dei maggiori paesi industriali hanno messo a capo del Financial Stability Forum. Ma Draghi non se la prende, non è a un duello di verità.
L’onestà e la sagacia di Draghi si prendono paginate. Replicate il giorno successivo per un altro messaggio rivoluzionario e ultimativo del governatore: “La pressione fiscale è eccessiva, ora tagliate tasse e debito”. Ora e non prima, Draghi si vuole di sinistra. Il come non lo dice, lo lascia a Tremonti. Il suo compito è solo conquistare lo spazio, per ora: è alla fase dell’image building.
Draghi fa il governo ombra, criticando ogni aspetto, grande e minimo, delle misure economiche del governo Berlusconi, per accreditarsi plausibile sostituto. Forte dell’impunità che ancora per tre anni dovrebbe essergli assicurata dalla carica – alla quale è stato chiamato da Berlusconi, ma presidente Ciampi. Draghi dà per scontata, malgrado la protezione di Gianni Letta, la sua non riconferma con questo governo e si propone di sostituirlo, di sostituire Berlusconi: la carriera sorprendente di Draghi dovrebbe fare un altro passo con Palazzo Chigi. Nientedimeno, ma è così. E non tra molto, dentro questa legislatura.
Sembra fantapolitica, ma tutto è fantapolitica nella carriera di Draghi. Chiamato alla Banca d’Italia da consigliere delle banche d’affari. Responsabile negli anni Novanta, da direttore generale del Tesoro, di molti dei guai dell’Italia: la sopravvalutazione della lira sul marco, che portò alla svalutazione catastrofica del 1992, la svendita dei grandi servizi pubblici, un sistema di governo aziendale che favorisce i soliti pochi e scoraggia gli investimenti stranieri. Quindici mesi fa, quando la crisi finanziaria era palese anche a questo sito, Draghi la riduceva a “una turbativa”. Ma è l’uomo di fiducia di chi conta, banchieri e editori, e del generone romano nella persona di Letta, e il suo progetto non è fantasioso.
L’onestà e la sagacia di Draghi si prendono paginate. Replicate il giorno successivo per un altro messaggio rivoluzionario e ultimativo del governatore: “La pressione fiscale è eccessiva, ora tagliate tasse e debito”. Ora e non prima, Draghi si vuole di sinistra. Il come non lo dice, lo lascia a Tremonti. Il suo compito è solo conquistare lo spazio, per ora: è alla fase dell’image building.
Draghi fa il governo ombra, criticando ogni aspetto, grande e minimo, delle misure economiche del governo Berlusconi, per accreditarsi plausibile sostituto. Forte dell’impunità che ancora per tre anni dovrebbe essergli assicurata dalla carica – alla quale è stato chiamato da Berlusconi, ma presidente Ciampi. Draghi dà per scontata, malgrado la protezione di Gianni Letta, la sua non riconferma con questo governo e si propone di sostituirlo, di sostituire Berlusconi: la carriera sorprendente di Draghi dovrebbe fare un altro passo con Palazzo Chigi. Nientedimeno, ma è così. E non tra molto, dentro questa legislatura.
Sembra fantapolitica, ma tutto è fantapolitica nella carriera di Draghi. Chiamato alla Banca d’Italia da consigliere delle banche d’affari. Responsabile negli anni Novanta, da direttore generale del Tesoro, di molti dei guai dell’Italia: la sopravvalutazione della lira sul marco, che portò alla svalutazione catastrofica del 1992, la svendita dei grandi servizi pubblici, un sistema di governo aziendale che favorisce i soliti pochi e scoraggia gli investimenti stranieri. Quindici mesi fa, quando la crisi finanziaria era palese anche a questo sito, Draghi la riduceva a “una turbativa”. Ma è l’uomo di fiducia di chi conta, banchieri e editori, e del generone romano nella persona di Letta, e il suo progetto non è fantasioso.
mercoledì 9 luglio 2008
Tutti a Pechino, come a Berlino
Nessuna critica al presidente americano Bush che due mesi prima annuncia che parteciperà alle Olimpiadi di Pechino, e anzi gara chi lo segue, Sarkozy in testa. Pechino vuole marcare il millennio, un po’ come Hitler lo marcò nel 1936 con le superiori Olimpiadi di Berlino. La Cina comunista non è Hitler, non ha in programma lo sterminio degli ebrei, ma con gli altri non transige. Un regime che omette il romanziere Gao Xingjan dalla lista dei Nobel, e solo gli concede l’ingresso a Hong Kong, finché dura lo statuto speciale. Ed è una potenza, in questo è rispettata come la Germania. La potenza che da sola con gli Stati Uniti regge da un ventennio l’economia mondiale.
Per un europeo vecchio stampo – per un europeo, ce ne sono di nuovi? – Bush a Pechino è, con tutta la globalizzazione, Star Trek o Guerre Stellari, vicino e lontano come la fantascienza, umano e disumano, un androide freddo. Ma non da ora, l’America da tempo naviga solida e sicura nel suo spazio interstellare, da quando finse di non vedere Tienanmen. Tutto quello che l’America è stata per due secoli, umanitaristica, puritana, inflessibilmente democratica, lo ha cancellato con la Cina. Il suo pilastro per la globalizzazione.
Bush a Pechino è un gesto gratuito, senza precedenti, importante, freddo. A fare i finti applausi con i cinesi di tante generazioni soprammesse, i capelli tinti, le manine di biscuit, le palpebre fisse come dopo la chirurgia ringiovanente, e un ghigno lieve per sorriso. Tutto improbabile, se non fosse vero, e tosto. L’America del terzo millennio è asiatica, e l’Europa, che non teme, disprezza. L’Italia non solo, contro la quale ha promosso Mani Pulite, come rivela oggi Cossiga al “Corriere della sera”, e come si legge nelle atrocità di Bush contro il suo amico Silvio. Ma anche la Francia della grandeur, e la Gran Bretagna – che però lo sa, e fa finta di niente. Solo teme i tedeschi, perché sono più bravi in Cina.
Per un europeo vecchio stampo – per un europeo, ce ne sono di nuovi? – Bush a Pechino è, con tutta la globalizzazione, Star Trek o Guerre Stellari, vicino e lontano come la fantascienza, umano e disumano, un androide freddo. Ma non da ora, l’America da tempo naviga solida e sicura nel suo spazio interstellare, da quando finse di non vedere Tienanmen. Tutto quello che l’America è stata per due secoli, umanitaristica, puritana, inflessibilmente democratica, lo ha cancellato con la Cina. Il suo pilastro per la globalizzazione.
Bush a Pechino è un gesto gratuito, senza precedenti, importante, freddo. A fare i finti applausi con i cinesi di tante generazioni soprammesse, i capelli tinti, le manine di biscuit, le palpebre fisse come dopo la chirurgia ringiovanente, e un ghigno lieve per sorriso. Tutto improbabile, se non fosse vero, e tosto. L’America del terzo millennio è asiatica, e l’Europa, che non teme, disprezza. L’Italia non solo, contro la quale ha promosso Mani Pulite, come rivela oggi Cossiga al “Corriere della sera”, e come si legge nelle atrocità di Bush contro il suo amico Silvio. Ma anche la Francia della grandeur, e la Gran Bretagna – che però lo sa, e fa finta di niente. Solo teme i tedeschi, perché sono più bravi in Cina.
La patria dei servizi deviati
Il numero delle intercettazioni che “il Messaggero” pubblica sono impressionanti, 125 mila, per una spesa di 224 milioni di euro. Non sappiamo per quante ore – molte giornate, a giudicare da quelle che si pubblicano. Contro 20 mila in Francia, appena 5.500 in Gran Bretagna, e solo 1.705 nei terribili Usa della giustizia dominante. I dati comparativi sono del 2005, ma riguardano paesi tutti con popolazione superiore a quella italiana. Nel 2005 del resto le intercettazioni erano in Italia già 102 mila.
Impressionante non è il fatto in sé. La patria del diritto è da tempo la patria dei servizi deviati - da almeno cinquant’anni, da quando la lotta armata contro il comunismo si trasformò in bega politica quotidiana. La storia della Repubblica non è nel complesso onorevole: questo sito ha documentato qualche giorno fa come le intercettazioni siano quasi sempre l'affare di spioni, molto poco deviati. Impressionante è la facondia degli italiani al telefono, pur sapendo di essere intercettati. Una voluttà, che talvolta, anzi spesso, diventa vanteria, tutti dicono di essere e fare ben più di quanto possono e perfino vogliono. L’intercettazione, la speranza di essere intercettati, è la parente povera della passione nazionale a sbracarsi in televisione, alla radio, in spiaggia, sul treno, al telefonino per strada, dovunque c’è qualcuno che può ascoltare. Ci sarà un qualche trattato tedesco sulla mania di farsi ascoltare.
Adesso si farà une legge per proibirle – perché l’effetto di tutto questo cancan sarà di avere l’attesa interdizione. Attesa anche dai forcaioli, tutti per un motivo o per l’altro falliti della vita, compreso il geniale Moretti, che vogliono passare per martiri di qualcosa, foss’anche la libertà d’intercettare. Ma poi che ne sarà della libertà d’espressione in Italia? Riprenderanno le chiacchiere al bar? Si moltiplicheranno quelli che parlano da soli sul tram?
Impressionante non è il fatto in sé. La patria del diritto è da tempo la patria dei servizi deviati - da almeno cinquant’anni, da quando la lotta armata contro il comunismo si trasformò in bega politica quotidiana. La storia della Repubblica non è nel complesso onorevole: questo sito ha documentato qualche giorno fa come le intercettazioni siano quasi sempre l'affare di spioni, molto poco deviati. Impressionante è la facondia degli italiani al telefono, pur sapendo di essere intercettati. Una voluttà, che talvolta, anzi spesso, diventa vanteria, tutti dicono di essere e fare ben più di quanto possono e perfino vogliono. L’intercettazione, la speranza di essere intercettati, è la parente povera della passione nazionale a sbracarsi in televisione, alla radio, in spiaggia, sul treno, al telefonino per strada, dovunque c’è qualcuno che può ascoltare. Ci sarà un qualche trattato tedesco sulla mania di farsi ascoltare.
Adesso si farà une legge per proibirle – perché l’effetto di tutto questo cancan sarà di avere l’attesa interdizione. Attesa anche dai forcaioli, tutti per un motivo o per l’altro falliti della vita, compreso il geniale Moretti, che vogliono passare per martiri di qualcosa, foss’anche la libertà d’intercettare. Ma poi che ne sarà della libertà d’espressione in Italia? Riprenderanno le chiacchiere al bar? Si moltiplicheranno quelli che parlano da soli sul tram?
Dieci anni fa: il Pnf
(Dal diario politico di dieci anni fa, il 2008)
Intercettazioni si pubblicano a gogò nel tentativo dichiarato di bloccare la legge che le regolamenta. Già in primavera un disegno di legge analogo del precedente governo, approvato da un ramo del Parlamento alla quasi unanimità, fu bloccato pubblicando le intercettazioni a carico della moglie di Mastella, il ministro proponente. Le intercettazioni si riveleranno poi irrilevanti, ma intanto il governo è per questo andato in crisi, e con esso la legislatura, con la conseguente decadenza della legge.
In queste afose settimane le intercettazioni s’intensificano. Col quadruplice obiettivo, si dice, di: 1) intimidire il Quirinale, titubante, impegnato a promuovere leggi che l’opposizione voglia votare, 2) irrigidire l’opposizione del partito Democratico di Veltroni; 3) allontanare dalla maggioranza i parlamentari siciliani dell’Mpa, promuovendo la costituzione di uno Zentrum; 4) riunire le sinistre sbandate attorno al Pnf, il partito Nazionale dei Forcaioli.
Ma l’effetto immediato è di rendere la legge inoppugnabile, anche dal Quirinale.
Intercettazioni si pubblicano a gogò nel tentativo dichiarato di bloccare la legge che le regolamenta. Già in primavera un disegno di legge analogo del precedente governo, approvato da un ramo del Parlamento alla quasi unanimità, fu bloccato pubblicando le intercettazioni a carico della moglie di Mastella, il ministro proponente. Le intercettazioni si riveleranno poi irrilevanti, ma intanto il governo è per questo andato in crisi, e con esso la legislatura, con la conseguente decadenza della legge.
In queste afose settimane le intercettazioni s’intensificano. Col quadruplice obiettivo, si dice, di: 1) intimidire il Quirinale, titubante, impegnato a promuovere leggi che l’opposizione voglia votare, 2) irrigidire l’opposizione del partito Democratico di Veltroni; 3) allontanare dalla maggioranza i parlamentari siciliani dell’Mpa, promuovendo la costituzione di uno Zentrum; 4) riunire le sinistre sbandate attorno al Pnf, il partito Nazionale dei Forcaioli.
Ma l’effetto immediato è di rendere la legge inoppugnabile, anche dal Quirinale.
Camilleri infaticabile girotondino col graffio
Camilleri infaticabile, è a un libro ogni quindici giorni, ed è anche girotondino, del giro dell’IdV, ripubblica la raccolta di elzeviri edita l’anno scorso dalla pistoiese Libreria dell’Orso, con postfazione del libraio Giovanni Capecchi. Sono moralità, umori, mitologie barthesiane in tono minore, molto minore.
“Il casellante”, che ha l’aria di uscire dal cassetto, ha invece il graffio. Dopo la sirena, Camilleri riscrive un'altra figura mitica, Driope che fu trasformata in albero, per avere cogliendo un fiore ferito una ninfa, all'ombra del quale il marito porterà a giocare il loro bambino. Camilleri ne fa il racconto di una felicità a due e un desiderio di vita inattaccabile da tutte le miserie umane, la mafia, la guerra, gli stupri, i bombardamenti. Che si fa leggere come un romanzo d’appendice ma segnando forti presenze – più vive per una volta della bandella di Salvatore Silvano Nigro.
Andrea Camilleri, Racconti quotidiani, Oscar Mondadori, pp.106, € 9
Il casellante, Sellerio, pp.147, €11
“Il casellante”, che ha l’aria di uscire dal cassetto, ha invece il graffio. Dopo la sirena, Camilleri riscrive un'altra figura mitica, Driope che fu trasformata in albero, per avere cogliendo un fiore ferito una ninfa, all'ombra del quale il marito porterà a giocare il loro bambino. Camilleri ne fa il racconto di una felicità a due e un desiderio di vita inattaccabile da tutte le miserie umane, la mafia, la guerra, gli stupri, i bombardamenti. Che si fa leggere come un romanzo d’appendice ma segnando forti presenze – più vive per una volta della bandella di Salvatore Silvano Nigro.
Andrea Camilleri, Racconti quotidiani, Oscar Mondadori, pp.106, € 9
Il casellante, Sellerio, pp.147, €11
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