La strage di Castelvolturno conferma molte evidenze disattese dei fenomeni di mafia, nonché la disinformazione (i morti sono sei o sette, sono nigeriani o ghanaiani, sono appena arrivati o vecchi residenti?), l’approssimazione (sono spacciatori, trafficanti, magnaccia? non sono la stessa cosa), l’irrilevanza degli apparati repressivi, per impotenza, incapacità, menefreghismo, burocraticismo, basta sentire il questore o il prefetto. Queste cose però si sanno. Non si dicono – c’entra pure la superficialità dei media, ma tutti le “sanno”.
L’evidenza che sconvolge i paradigmi mafiosi ha almeno tre aspetti:
1) Le mafie non hanno – sono – il controllo del territorio. Che ci fanno tanti “negri” in casa della camorra, lontani migliaia di chilometri dalla loro casa e da ogni organizzazione, se non sono, come evidentemente non sono, killer o gente di fatica? Prima dei neri gli albanesi sono stati sparati, anch’essi a caso. Si spara a caso non per dare una lezione al mondo, ma per riaffermare la propria presenza. Il kalashnikof attesta la mancanza del controllo.
2) Tra le mafie ci saranno convegni ma non ci sono concertazioni, e tanto meno votazioni, come nell’infame letteratura della mafia siciliana dopo “Il Padrino”. L’unica argomentazione è il piombo.
3) Le polizie sono inette. Non tanto per Castelvolturno, se è stata una sparatoria selvaggia nel mucchio. Ma non solo non sanno chi sono i morti, non sapevano che giravano armi e gruppi di fuoco da carneficina, contro gli albanesi come contro gli africani. Le mafie più deboli, quelle immigrate, senza basi, senza logistica, senza le asserite coperture, di albanesi, slavi, rumeni, rom, nigeriani, ghanaiani, cinesi, sono ignote. Di essi non potendosi nemmeno dire che li protegge l’omertà.
Ranieri Barbacciani-Fedeli, Saggio storico dell’antica e moderna Versilia, Libreria Giannelli, Forte dei Marmi, pp.321 + XC, € 10
venerdì 19 settembre 2008
Il patetico del romantico in Heidegger
È in questi due “racconti” di un incontro, pubblicati nel 1958 e nel 1961, che Guitton, il filosofo cattolico della Sorbona, allievo di Bergson e maestro di Althusser, accademico, amico di Giovanni XXIII e Paolo VI ma germanofilo, pensatore con uso di mondo, mette Heidegger in prospettiva: Franz Brentano da una parte, il maestro di Husserl, catalogatore degli Enti in Aristotele, e dall’altro la poesia, col patetico del romantico.
La prefazione di Riccardo De Benedetti è più vivace, che repertoria un “nuovo genere letterario, il «ritratto di filosofo in foresta»”. Ma per demolire la pubblicazione insieme con lo Heidegger nazista. Rendendo inavvertitamente inutile, e anzi demolendo, forte dei feroci Löwith e Bernhard, delle rudi biografie di Ott, Farias, Faye, nonché certo della nudità costernante degli epistolari con la moglie Elfride e le amanti Arendt e Blochmann, la splendida riverente lettura che il visitatore ne fa. Forse l’Olocausto va situato nella storia, e non tutta la storia rifatta dall’Olocausto.
I 108 volumi del tutto Heidegger sono qui, nello “splendore del linguaggio”, il guizzo guittoniano: “Se c’è verità nella esegesi di Heidegger, è di dare un nuovo significato all’apparenza, a quel «sembra che», quel dokein così frequente nei greci, e al quale noi lasciamo a torto il significato ristretto di «ombra», «riflesso», illusione, mentre ciò che appare è il vapore umido, il fiato, che avvolge l’essere – la sua irradiazione e, come dice la Sapienza della Bibbia greca, il suo splendore”. La “visita” si risolve nella biblioteca. Con i greci “senza l’involucro delle glosse”, l’Iliade, Sofocle, Pindaro, Eschilo, “Saffo perfino”. E con tanta poesia, francese e tedesca, Valéry, Nerval, Baudelaire, Mallarmé, Novalis, Rilke, George e, troneggiante in edizione di lusso, Hölderlin – senza Goethe. Erano gli anni di "Eraclito", anche se Guitton non lo menziona, del seminario con Fink così pieno di "vapori" e patetismi.
Del filosofo l’immagine di Guitton è più veritiera, benché l’uomo fosse del suo tempo e certo nazista. Nel suo dialogo diretto con i greci, con l’ambizione di “scoprire i greci prima di Platone”. Perché i presocratici egli – e Guitton, e la filosofia europea – ritiene l’inizio, il “sorgere delle cose e del pensiero strettamente uniti”. Se c’è da fare un’obiezione è a questa alba. A una filologia corta, eurocentrica - un tempo si sarebbe detto occidentale.
Jean Guitton, Visita a Heidegger, Medusa, pp. 60. € 8.
La prefazione di Riccardo De Benedetti è più vivace, che repertoria un “nuovo genere letterario, il «ritratto di filosofo in foresta»”. Ma per demolire la pubblicazione insieme con lo Heidegger nazista. Rendendo inavvertitamente inutile, e anzi demolendo, forte dei feroci Löwith e Bernhard, delle rudi biografie di Ott, Farias, Faye, nonché certo della nudità costernante degli epistolari con la moglie Elfride e le amanti Arendt e Blochmann, la splendida riverente lettura che il visitatore ne fa. Forse l’Olocausto va situato nella storia, e non tutta la storia rifatta dall’Olocausto.
I 108 volumi del tutto Heidegger sono qui, nello “splendore del linguaggio”, il guizzo guittoniano: “Se c’è verità nella esegesi di Heidegger, è di dare un nuovo significato all’apparenza, a quel «sembra che», quel dokein così frequente nei greci, e al quale noi lasciamo a torto il significato ristretto di «ombra», «riflesso», illusione, mentre ciò che appare è il vapore umido, il fiato, che avvolge l’essere – la sua irradiazione e, come dice la Sapienza della Bibbia greca, il suo splendore”. La “visita” si risolve nella biblioteca. Con i greci “senza l’involucro delle glosse”, l’Iliade, Sofocle, Pindaro, Eschilo, “Saffo perfino”. E con tanta poesia, francese e tedesca, Valéry, Nerval, Baudelaire, Mallarmé, Novalis, Rilke, George e, troneggiante in edizione di lusso, Hölderlin – senza Goethe. Erano gli anni di "Eraclito", anche se Guitton non lo menziona, del seminario con Fink così pieno di "vapori" e patetismi.
Del filosofo l’immagine di Guitton è più veritiera, benché l’uomo fosse del suo tempo e certo nazista. Nel suo dialogo diretto con i greci, con l’ambizione di “scoprire i greci prima di Platone”. Perché i presocratici egli – e Guitton, e la filosofia europea – ritiene l’inizio, il “sorgere delle cose e del pensiero strettamente uniti”. Se c’è da fare un’obiezione è a questa alba. A una filologia corta, eurocentrica - un tempo si sarebbe detto occidentale.
Jean Guitton, Visita a Heidegger, Medusa, pp. 60. € 8.
Quando il “Sud” era al Nord
Non fosse per i luoghi, le donne che popolano questo libro e ciò che dicono si direbbe che vengono da un altro mondo.
“Allora per sposarsi usava «scappare», perché c’era miseria”. Il matrimonio si poteva così celebrare di mattina presto, senza vestito bianco, seguito da una bevuta per i soli familiari.
“Quando i due giovani ricevevano il benestare della famiglia, gli era permesso di «fare l’amore» a distanza: lei alla finestra e lui a passeggiare sotto, su e giù nella strada”.
“Quando una ragazza, pur se ignorante o ingenua, restava incinta ed era rifiutata dal suo s seduttore, tutte le colpe si riversavano su di lei. Ma il danno maggiore, all’epoca, ricadeva sulle spalle dei genitori e dell’intera famiglia. Tutta la famiglia era disonorata”.
Ma non è il “profondo Sud”. Sono le donne del Forno e degli altri paesi sopra Massa e sotto le Apuane, in tragica necessaria diaspora attraverso i monti con la Garfagnana e l’Appennino tosco-emiliano negli anni della fame, tra il 1943 e il 1946, per cercare la farina di castagne, l’unico nutrimento, che si raccontano. Tanti stilemi del Sud sono quelli della vita isolata, comunque povera, più spesso di montagna, della storia italiana fino a prima del boom. C’è anche l’omertà, “una componente molto diffusa tra la gente di montagna”, avvertono le autrici: “Sapevamo tutto di tutti, anche di faccende intime. Questo è un aspetto che ancora oggi è rimasto nei paesi di montagna. Però, se c’era da tenere un segreto, le bocche erano veramente cucite”.
Si conferma senza intenzione, nel fatto, che il “Sud” è una maniera. Un’invenzione, non benevola, benché a opera di storici e sociologi meridionali o meridionaleggianti: storie non documentate, sociologia d’accatto. Le testimonianze di questa raccolta si collocano peraltro in un assetto familiare e sociale distintamente, malgrado la fatica, la figliolanza, il matrimonio più o meno forzato, matriarcale. Mentre il “Sud” è ancora alla dipendenza, benché le sue donne abbiano vinto il referendum per il divorzio già nel lontano 1974, dopo avere imposto per secoli ai maschi il delitto d'onore e le faide – il “Sud” è all'evidenza una cattiva azione.
Quanto alla ricerca che ha impegnato Anna Maria Fruzzetti e Rossana Landini, è solida opera di storia orale. Un lampo documentando, con competenza narrativa e abilità, di Alberto Savinio in un articolo per il "Corriere della sera" del 26 agosto 1949 ("Senza mare davanti l'intelligenza non camina"): "Qui, sulle spiagge della Versilia, terminata la guerra, la gente non aveva lavoro, non aveva da mangiare, ma il mare l'aveva ancora: e si misero a fare sale". Al mare, di notte, al caldo e al freddo, malvestiti o non vestiti, bruciavano tutto ciò che si poteva bruciare (anche le imposte della casa di Savinio al Poveromo) e bollendo l'acqua di mare ne ricavano un po' di sale, che con traversate a piedi di due e tre giorni, anche al gelo, fino alla Garfagnana scambiavano con la farina di castagno, che era l'unico alimento.
Anna Maria Fruzzetti, con Rossana Lazzini, Maria ha detto sì… Le donne si raccontano, Memoranda, pp.104, € 13
“Allora per sposarsi usava «scappare», perché c’era miseria”. Il matrimonio si poteva così celebrare di mattina presto, senza vestito bianco, seguito da una bevuta per i soli familiari.
“Quando i due giovani ricevevano il benestare della famiglia, gli era permesso di «fare l’amore» a distanza: lei alla finestra e lui a passeggiare sotto, su e giù nella strada”.
“Quando una ragazza, pur se ignorante o ingenua, restava incinta ed era rifiutata dal suo s seduttore, tutte le colpe si riversavano su di lei. Ma il danno maggiore, all’epoca, ricadeva sulle spalle dei genitori e dell’intera famiglia. Tutta la famiglia era disonorata”.
Ma non è il “profondo Sud”. Sono le donne del Forno e degli altri paesi sopra Massa e sotto le Apuane, in tragica necessaria diaspora attraverso i monti con la Garfagnana e l’Appennino tosco-emiliano negli anni della fame, tra il 1943 e il 1946, per cercare la farina di castagne, l’unico nutrimento, che si raccontano. Tanti stilemi del Sud sono quelli della vita isolata, comunque povera, più spesso di montagna, della storia italiana fino a prima del boom. C’è anche l’omertà, “una componente molto diffusa tra la gente di montagna”, avvertono le autrici: “Sapevamo tutto di tutti, anche di faccende intime. Questo è un aspetto che ancora oggi è rimasto nei paesi di montagna. Però, se c’era da tenere un segreto, le bocche erano veramente cucite”.
Si conferma senza intenzione, nel fatto, che il “Sud” è una maniera. Un’invenzione, non benevola, benché a opera di storici e sociologi meridionali o meridionaleggianti: storie non documentate, sociologia d’accatto. Le testimonianze di questa raccolta si collocano peraltro in un assetto familiare e sociale distintamente, malgrado la fatica, la figliolanza, il matrimonio più o meno forzato, matriarcale. Mentre il “Sud” è ancora alla dipendenza, benché le sue donne abbiano vinto il referendum per il divorzio già nel lontano 1974, dopo avere imposto per secoli ai maschi il delitto d'onore e le faide – il “Sud” è all'evidenza una cattiva azione.
Quanto alla ricerca che ha impegnato Anna Maria Fruzzetti e Rossana Landini, è solida opera di storia orale. Un lampo documentando, con competenza narrativa e abilità, di Alberto Savinio in un articolo per il "Corriere della sera" del 26 agosto 1949 ("Senza mare davanti l'intelligenza non camina"): "Qui, sulle spiagge della Versilia, terminata la guerra, la gente non aveva lavoro, non aveva da mangiare, ma il mare l'aveva ancora: e si misero a fare sale". Al mare, di notte, al caldo e al freddo, malvestiti o non vestiti, bruciavano tutto ciò che si poteva bruciare (anche le imposte della casa di Savinio al Poveromo) e bollendo l'acqua di mare ne ricavano un po' di sale, che con traversate a piedi di due e tre giorni, anche al gelo, fino alla Garfagnana scambiavano con la farina di castagno, che era l'unico alimento.
Anna Maria Fruzzetti, con Rossana Lazzini, Maria ha detto sì… Le donne si raccontano, Memoranda, pp.104, € 13
Alitalia e il governo controriformista
È una scommessa contro il banco, il governo: non c’è ipocrisia nella vicenda Alitalia, ognuno gioca scopertamente. Il personale di volo Alitalia è sempre lo stesso, un pezzo di Stato, inefficiente e strafottente, burocrati sicuri del posto. Mentre la Cgil di Epifani, che non è rappresentata in Alitalia, dichiara scopertamente il suo scopo. Gli acquirenti non hanno nulla da cedere nella trattativa, e qualcuno anzi crede ora sul serio che l’azienda è un bidone. Tocca dunque al governo fare concessioni: accollarsi ulteriori costi del salvataggio, con migliori ammortizzatori e altri reinserimenti.
Si tratta solo di trovare la maniera per farlo indolore. Né gli acquirenti né i sindacati che erano pronti alla firma firmeranno nulla di diverso. Anche il governo avrà problemi a giustificare ulteriori esborsi, di fronte all’opinione e alla Ue. Ci sarà quindi la solita partita di lana caprina. Ma l’esito politico è già chiaro: è una palla alzata a favore di Berlusconi e contro la riforma della Pubblica Amministrazione.
L’eterno furbo Colaninno potrebbe ancora scartare. Ma non più di quanto ha già fatto nel gioco di specchi con la Cgil: resterebbe allora fuori da tutti i giochi, con la Vespa che non riesce a rilanciare. I Colaninno sono in corsa per accreditarsi gli imprenditori principi della sinistra, essendo finito evidentemente il credito acquisito dieci anni fa con l’insider su Telecom. Ma nessun partito vorrà essere sponsor di un plurifallimento. Né le banche amiche potrebbero sostenerlo una terza volta, se con Alitalia fa il bis di Telecom. E d'altra parte i Colaninno non sono un asset politico, il miracolo di Telecom è irripetibile.
Epifani si difende con eleganza: non potevamo firmare contro i piloti e il personale di volo. Ma è la stessa cosa che difendere i “fannulloni” statali - gli abusi del personale di volo Alitalia non sono nient’altro: guardando in tv le spensierate hostess che sghignazzano mentre i licenziati della Lehman impacchettano mesti a non pochi sarà venuta la revulsione, se non erano clienti Alitalia. Anche per questo il referente politico di Epifani, Veltroni, si defila in America. La partita politica è stata già giocata d’anticipo da Berlusconi con l’accusa del tanto peggio tanto meglio. E quando gli scansafatiche Alitalia avranno ottenuto il quid in più per la loro spensieratezza, il punto sarà suo.
È bensì vero che, non lasciando fallire Alitalia, Berlusconi avrà perduto d’anticipo la partita per l’efficienza della Pubblica Amministrazione. Che non è da poco: il riformista Brunetta è, dopo l’abolizione dell’Ici, la prima fonte di popolarità del governo, più delle intemperanti Gelmini e Carfagna. Ma non è detto che questo governo debba essere riformista - se non per gli ex socialisti, uno dei quali è Brunetta. Il governo è stato votato ed è popolare per essere controriformista – ma anche Epifani allora lo è.
Si tratta solo di trovare la maniera per farlo indolore. Né gli acquirenti né i sindacati che erano pronti alla firma firmeranno nulla di diverso. Anche il governo avrà problemi a giustificare ulteriori esborsi, di fronte all’opinione e alla Ue. Ci sarà quindi la solita partita di lana caprina. Ma l’esito politico è già chiaro: è una palla alzata a favore di Berlusconi e contro la riforma della Pubblica Amministrazione.
L’eterno furbo Colaninno potrebbe ancora scartare. Ma non più di quanto ha già fatto nel gioco di specchi con la Cgil: resterebbe allora fuori da tutti i giochi, con la Vespa che non riesce a rilanciare. I Colaninno sono in corsa per accreditarsi gli imprenditori principi della sinistra, essendo finito evidentemente il credito acquisito dieci anni fa con l’insider su Telecom. Ma nessun partito vorrà essere sponsor di un plurifallimento. Né le banche amiche potrebbero sostenerlo una terza volta, se con Alitalia fa il bis di Telecom. E d'altra parte i Colaninno non sono un asset politico, il miracolo di Telecom è irripetibile.
Epifani si difende con eleganza: non potevamo firmare contro i piloti e il personale di volo. Ma è la stessa cosa che difendere i “fannulloni” statali - gli abusi del personale di volo Alitalia non sono nient’altro: guardando in tv le spensierate hostess che sghignazzano mentre i licenziati della Lehman impacchettano mesti a non pochi sarà venuta la revulsione, se non erano clienti Alitalia. Anche per questo il referente politico di Epifani, Veltroni, si defila in America. La partita politica è stata già giocata d’anticipo da Berlusconi con l’accusa del tanto peggio tanto meglio. E quando gli scansafatiche Alitalia avranno ottenuto il quid in più per la loro spensieratezza, il punto sarà suo.
È bensì vero che, non lasciando fallire Alitalia, Berlusconi avrà perduto d’anticipo la partita per l’efficienza della Pubblica Amministrazione. Che non è da poco: il riformista Brunetta è, dopo l’abolizione dell’Ici, la prima fonte di popolarità del governo, più delle intemperanti Gelmini e Carfagna. Ma non è detto che questo governo debba essere riformista - se non per gli ex socialisti, uno dei quali è Brunetta. Il governo è stato votato ed è popolare per essere controriformista – ma anche Epifani allora lo è.
Ombre - 5
Le banche centrali occidentali mettono giovedì 18 duecento miliardi in Borsa, il governo americano annuncia un fondo di solide obbligazioni del Tesoro contro i debiti emergenti della speculazione a lungo termine sui mutui, le Borse reagiscono con rimbalzi del 4 e 5 per cento. Ma tutto questo non fa notizia per i telegiornali e la stampa. In aggiunta all’Alitalia, hanno altri argomenti di maggiore interesse: i sans papiers alla Tour Eiffel, la Guzzanti, Mediobanca. Il “Corriere della sera”, che per la crisi finanziaria ha una pagina interna, per la governance di Mediobanca ne ha due e mezza.
Uccide la propria bambina con un colpo alla nuca. Dopo averla presa a scuola, portata in un parco, e averla fatta inginocchiare. Poi la chiude nel bagagliaio dell’auto. Per una forma, si dice, di depressione.
Si parla di depressione per avere cancellato la categoria della follia. La quale ha certo provocato la follia dei manicomi. Ma consentiva di controllare e anche prevenire la violenza. La categoria andava quindi riformata e non abolita. Ma la psichiatria trova più comoda la depressione: la avvicina alla terapia soft, analitica, e apre un big business.
Giovanna Marini fa un concerto sabato 20 a Massa, con la bamda popolare della scuola di musica di Testaccio, la prima del genere, ha già trent’anni, al teatro comunale Guglielmi, gratuito. “La Nazione” di Massa ne parla, “Il Tirreno” no, il quotidiano impegnato. Ha cinque pagine di cronaca di Massa, e altre cinque, che non sa come riempire, di spettacoli, ma niente. Giovanna Marini è di Rifondazione? O è democratica dissidente? Il sindaco di Massa Pucci, cui il teatro Guglielmi fa capo, è anch’egli un dissidente, si è fatto eleggere contro il candidato ufficiale del Partito.
Il premio Forte dei Marmi va quest’anno a Michele Santoro per “Annozero”. È un premo alla satira. È “Annozero” televisione satirica?
Il premio si festeggia alla Capannina di Franceschi, luogo di ritrovo delle figlie della buona borghesia.
Si arrestano in Toscana e amministratori comunali e imprenditori della segnaletica stradale. Che d’accordo, e a percentuale, tarano difettosamente gli autovelox e i semafori T-Red. Per “tassare” gli automobilisti. Non di poco: i comuni interessati fanno “fatturati” di milioni di euro con un solo autovelox o un T-Red, l’anno.
Ma non è tutto. “Il Tirreno” non dice di che colore sono le giunte incriminate – di sinistra.
Da Lido di Camaiore a Marina di Massa, una trentina di chilometri, il lungomare è servito ai due lati da larghe piste ciclabili, ben pavimentate, ben segnalate e protette. Ma i ciclisti vanno tutti sulla strada. Tutti no, quattro su cinque, escluse cioè le mamme coi bambini.
Viene D’Alema a Carrara, al festival Con-vivere, dove la folla riempie il corso Rosselli per ascoltarlo, e troneggia. Schernisce, sghignazza, dice la sua con degnazione. Non è un caso, è suo vezzo costante, da Floris, o da Vespa. Come se avesse vinto lui nel 1998, nel 2000, nel 2001, nel 2006, nel 2008. Con la sua superiore cognizione di tutto, degli elettori e degli affari internazionali, la speculazione delle banche, il Libano e l’Iran, Gheddafi e Osama. Dove trova tanta sicumera? Nel centralismo democratico: sono il capo e quindi il migliore.
Anche quella folla che non lascia la sedia nel viale malgrado i reumatismi: vuol’essere confermata, che il capo ha sempre ragione.
L’europarlamentare Donnici presenta a Strasburgo un’interrogazione contro la giunta Loiero alla Regione Calabria, che spende otto milioni come sponsor delle Nazionali di calcio fino al 2010, e si merita per questo mezza pagina del “Corriere della sera”. L’onorevole cosentino, dell’Italia dei valori, ex della lista Occhetto, ha dei conti da regolare col suo schieramento, quello di Loiero, la sua denuncia della Regione Calabria alla Commissione europea può non stupire. Ma il “Corriere della sera”?
Al Sud non succede niente che non faccia scandalo grave. Anche se il denunciante è l’onorevole Donnici.
Il ”Corriere della sera” impagina domenica 7 il “travaglio di Epifani” attorno a due modelle che sembrano manichini. È la stessa impressione che dà l’amletico segretario della Cgil, confrontato dal legame salario-produttività. La Cgil non è contro, la Cgil è realista, moderna, eccetera. Ma che una parte del salario sia legato alla produttività, e magari detassato, e ogni lavoratore ci ambisca, questo no: dove finisce allora il controllo del sindacato sul lavoratore? Perché di questo si tratta, a questo s’è ridotta la Cgil.
Lady Ciccone, Madonna Ciccone, “Repubblica” e “Corriere” e “Messaggero” fanno a gara nell’esibire per la star la connotazione diminutiva, di figlia di emigranti, per di più meridionali. Non per la concorrenza, perché tutti i giornali ne magnificano il concerto, danno indicazioni per gli accessi, trovano i biglietti esauriti. Disprezzo della donna? Sì – quanta passione invece per Celentano, negli stessi giornali negli stessi giorni. Ma a opera di giornaliste femmine. Disprezzo per l’emigrazione pulciosa del Sud. Certo, ma a opera magari di giornalisti meridionali. È la stupidità che regge l’Italia. Che se cerca un primato ce l’ha: è la democrazia totalitaria della stupidità, che sempre è violenta. Non la superficialità: proprio la cattiveria degli straccioni.
Uccide la propria bambina con un colpo alla nuca. Dopo averla presa a scuola, portata in un parco, e averla fatta inginocchiare. Poi la chiude nel bagagliaio dell’auto. Per una forma, si dice, di depressione.
Si parla di depressione per avere cancellato la categoria della follia. La quale ha certo provocato la follia dei manicomi. Ma consentiva di controllare e anche prevenire la violenza. La categoria andava quindi riformata e non abolita. Ma la psichiatria trova più comoda la depressione: la avvicina alla terapia soft, analitica, e apre un big business.
Giovanna Marini fa un concerto sabato 20 a Massa, con la bamda popolare della scuola di musica di Testaccio, la prima del genere, ha già trent’anni, al teatro comunale Guglielmi, gratuito. “La Nazione” di Massa ne parla, “Il Tirreno” no, il quotidiano impegnato. Ha cinque pagine di cronaca di Massa, e altre cinque, che non sa come riempire, di spettacoli, ma niente. Giovanna Marini è di Rifondazione? O è democratica dissidente? Il sindaco di Massa Pucci, cui il teatro Guglielmi fa capo, è anch’egli un dissidente, si è fatto eleggere contro il candidato ufficiale del Partito.
Il premio Forte dei Marmi va quest’anno a Michele Santoro per “Annozero”. È un premo alla satira. È “Annozero” televisione satirica?
Il premio si festeggia alla Capannina di Franceschi, luogo di ritrovo delle figlie della buona borghesia.
Si arrestano in Toscana e amministratori comunali e imprenditori della segnaletica stradale. Che d’accordo, e a percentuale, tarano difettosamente gli autovelox e i semafori T-Red. Per “tassare” gli automobilisti. Non di poco: i comuni interessati fanno “fatturati” di milioni di euro con un solo autovelox o un T-Red, l’anno.
Ma non è tutto. “Il Tirreno” non dice di che colore sono le giunte incriminate – di sinistra.
Da Lido di Camaiore a Marina di Massa, una trentina di chilometri, il lungomare è servito ai due lati da larghe piste ciclabili, ben pavimentate, ben segnalate e protette. Ma i ciclisti vanno tutti sulla strada. Tutti no, quattro su cinque, escluse cioè le mamme coi bambini.
Viene D’Alema a Carrara, al festival Con-vivere, dove la folla riempie il corso Rosselli per ascoltarlo, e troneggia. Schernisce, sghignazza, dice la sua con degnazione. Non è un caso, è suo vezzo costante, da Floris, o da Vespa. Come se avesse vinto lui nel 1998, nel 2000, nel 2001, nel 2006, nel 2008. Con la sua superiore cognizione di tutto, degli elettori e degli affari internazionali, la speculazione delle banche, il Libano e l’Iran, Gheddafi e Osama. Dove trova tanta sicumera? Nel centralismo democratico: sono il capo e quindi il migliore.
Anche quella folla che non lascia la sedia nel viale malgrado i reumatismi: vuol’essere confermata, che il capo ha sempre ragione.
L’europarlamentare Donnici presenta a Strasburgo un’interrogazione contro la giunta Loiero alla Regione Calabria, che spende otto milioni come sponsor delle Nazionali di calcio fino al 2010, e si merita per questo mezza pagina del “Corriere della sera”. L’onorevole cosentino, dell’Italia dei valori, ex della lista Occhetto, ha dei conti da regolare col suo schieramento, quello di Loiero, la sua denuncia della Regione Calabria alla Commissione europea può non stupire. Ma il “Corriere della sera”?
Al Sud non succede niente che non faccia scandalo grave. Anche se il denunciante è l’onorevole Donnici.
Il ”Corriere della sera” impagina domenica 7 il “travaglio di Epifani” attorno a due modelle che sembrano manichini. È la stessa impressione che dà l’amletico segretario della Cgil, confrontato dal legame salario-produttività. La Cgil non è contro, la Cgil è realista, moderna, eccetera. Ma che una parte del salario sia legato alla produttività, e magari detassato, e ogni lavoratore ci ambisca, questo no: dove finisce allora il controllo del sindacato sul lavoratore? Perché di questo si tratta, a questo s’è ridotta la Cgil.
Lady Ciccone, Madonna Ciccone, “Repubblica” e “Corriere” e “Messaggero” fanno a gara nell’esibire per la star la connotazione diminutiva, di figlia di emigranti, per di più meridionali. Non per la concorrenza, perché tutti i giornali ne magnificano il concerto, danno indicazioni per gli accessi, trovano i biglietti esauriti. Disprezzo della donna? Sì – quanta passione invece per Celentano, negli stessi giornali negli stessi giorni. Ma a opera di giornaliste femmine. Disprezzo per l’emigrazione pulciosa del Sud. Certo, ma a opera magari di giornalisti meridionali. È la stupidità che regge l’Italia. Che se cerca un primato ce l’ha: è la democrazia totalitaria della stupidità, che sempre è violenta. Non la superficialità: proprio la cattiveria degli straccioni.
Tutto ok, è il salvataggio della speculazione
A questo punto ce n’è per tutti, c’è anche un modesto dividendo, e la crisi della banche Usa può svoltare. I 200 miliardi del fondo delle banche centrali e le nazionalizzazioni negli Usa coprono le aree di crisi, accrescendo anzi la liquidità. In un mercato che, malgrado oltre un anno di crisi, è sempre liquido. Il banco potrebbe aver pagato a sufficienza per colmare i giocatori, se la finanza è, come dicono i suoi protagonisti, un casinò.
Il rilancio delle Borse è una dichiarazione di volontà, più che un sintomo: i mercati dicono che intendono giocare ora al rialzo. Di questo non c’è da fidarsi. Ma nelle nazionalizzazioni americane, del colosso assicurativo Aig compreso, in Italia si direbbero salvataggi, e nel fallimento Lehman c’è pure molto di solido, soldi buoni che si prendono a poco prezzo, e già hanno fatto drizzare le orecchie a banche e assicurazioni. Dopo la nazionalizzazione di “Fannie Mae” e “Freddie Mac”, le agenzie dei mutui fondiari, il fondo per i “debiti tossici” annunciato dal ministro del Tesoro Paulson nazionalizza tutte le perdite future sui derivati dei mutui, a fronte dei quali emette solide obbligazioni.
Il fondo preannunciato da Paulson, per giunta senza plafond, aperto cioè a ogni esigenza, è un’impensabile nazionalizzazione della speculazione, una cosa da fantascienza. Anche per questo il mercato gioca entusiasta: è una promessa che ce ne sarà sempre per tutti.
Il rilancio delle Borse è una dichiarazione di volontà, più che un sintomo: i mercati dicono che intendono giocare ora al rialzo. Di questo non c’è da fidarsi. Ma nelle nazionalizzazioni americane, del colosso assicurativo Aig compreso, in Italia si direbbero salvataggi, e nel fallimento Lehman c’è pure molto di solido, soldi buoni che si prendono a poco prezzo, e già hanno fatto drizzare le orecchie a banche e assicurazioni. Dopo la nazionalizzazione di “Fannie Mae” e “Freddie Mac”, le agenzie dei mutui fondiari, il fondo per i “debiti tossici” annunciato dal ministro del Tesoro Paulson nazionalizza tutte le perdite future sui derivati dei mutui, a fronte dei quali emette solide obbligazioni.
Il fondo preannunciato da Paulson, per giunta senza plafond, aperto cioè a ogni esigenza, è un’impensabile nazionalizzazione della speculazione, una cosa da fantascienza. Anche per questo il mercato gioca entusiasta: è una promessa che ce ne sarà sempre per tutti.
La giustizia di Napoli stupefacente
Ammettiamo allo stadio i tifosi del Napoli per la partita contro la Juventus. Poi magari lo richiudiamo, riprendiamo la pena. Il dottor Silvestro Maria Russo ha fatto questa proposta, dice lui, per disinnescare il tifo violento. E uno non finisce di stupirsi.
Il dottore non è uno qualsiasi. Magistrato amministrativo in servizio presso il Tribunale amministrativo regionale della Campania, è consigliere della Camera arbitrale del Coni, ed è stato nominato Conciliatore nella disputa tra il Napoli e la Federcalcio, che aveva chiuso le curve dello stadio San Paolo per alcune partite, dopo la spedizione è punitiva dei tifosi napoletani a Roma.
Non finisce di stupire il concetto della giustizia che si fa Napoli. Il magistrato, napoletano verace, non si vergogna. Che il Napoli possa giocare con i propri tifosi, come ha fatto sabato, e senza quelli della Fiorentina, va bene. Ma non basta: si vorrebbe poter giocare con i propri tifosi anche l’altra partita importante, contro la Juventus. Per escluderli magari dopo, con la Reggina. È fantastico.
Il dottore non è uno qualsiasi. Magistrato amministrativo in servizio presso il Tribunale amministrativo regionale della Campania, è consigliere della Camera arbitrale del Coni, ed è stato nominato Conciliatore nella disputa tra il Napoli e la Federcalcio, che aveva chiuso le curve dello stadio San Paolo per alcune partite, dopo la spedizione è punitiva dei tifosi napoletani a Roma.
Non finisce di stupire il concetto della giustizia che si fa Napoli. Il magistrato, napoletano verace, non si vergogna. Che il Napoli possa giocare con i propri tifosi, come ha fatto sabato, e senza quelli della Fiorentina, va bene. Ma non basta: si vorrebbe poter giocare con i propri tifosi anche l’altra partita importante, contro la Juventus. Per escluderli magari dopo, con la Reggina. È fantastico.
martedì 16 settembre 2008
La storia è che mille bombe non sono storia
Caratteristicamente, Sofri alla fine s’incarta. Citando l’esecuzione di Gentile, “l’atto più controverso della infinita guerra civile italiana”, e il suicidio di Fanciullacci, il capo del commando partigiano che uccise Gentile. Che non c’entrano nulla: Gentile fu ucciso per una decisione dei comandi della Resistenza, Fanciullacci uccise Gentile, e poi si uccise. In una situazione di guerra civile senza limiti, guerra di annientamento. Mentre Calabresi fu ucciso nella pacifica Milano per una decisione di nessuno. E Pinelli, che non ha ucciso nessuno ed era morto molto prima, è suicida solo per la sentenza D’Ambrosio. Pinelli non ha nemmeno messo una bomba. Nemmeno una dimostrativa, come quelle alla Fiera di Milano nel fatidico 1969, che aprirono la pista anarchica.
Sofri ha scritto al “Corriere” per dire due cose precise. Che è stato condannato per omicidio e non per terrorismo. E che per questo non più tardi di un anno fa ha beneficiato di una riduzione di pena di tre anni, in virtù di un indulto che si è applicato anche agli assassini. Ma a lui i fatti non bastano, ha bisogno di fare la filosofia della storia - l'uomo giusto è per Gentile e per Fanciullacci. Che è esile, e per gli accusati nociva. È il procedimento – allora faceva la filosofia del diritto – per cui non eccelsi giudici italiani sono riusciti a condannarlo a ventidue anni senza prove. Gli “stessi” che nel 1969-1972 ebbero l’incarico di addebitare le bombe agli anarchici e lo assolsero (il giudice Gerardo D'Ambrosio, buon comunista, ancora nel 1974 non chiama Pinelli col suo nome, lo chiama sempre solo “l’anarchico”.
Se c’è terrorismo a Milano e altrove negli anni 1969-72, questo è delle bombe. Delle quali la questura di Milano incolpò gli anarchici, che non le avevano messe. Di questo convinse il ministero dell’Interno a Roma. Che a sua volta trasmise la verità agli altri apparati giudiziari. Questa è una delle verità. L’altra è che la colpa degli anarchici è stata elaborata a Roma, e trasmessa a Milano e altrove. Non ci sono altre verità. E le bombe esplose furono in quegli anni centinaia, forse un migliaio - con quelle inesplose, per inavvertenza o perché fatte ritrovare, furono il doppio.
Sullo stesso “Corriere” lo storico Sabbatucci ha affermato il giorno prima che la posizione di Sofri (l’assassinio di Calabresi non fu terrorismo) non è difendibile, perché allora sarebbe tornare al terrorismo di Stato e alla strage di Stato. Espressioni usate “impropriamente”, dice: “E chi sarebbe , una buona volta, l’uomo nero, o almeno gli uomini neri”? Ma non ce lo deve dire lui? Nessun tribunale ha mai trovato il colpevole, dice Sabbatucci, a parte i soliti stracci… Come sempre, la storia è evidente.
Sofri ha scritto al “Corriere” per dire due cose precise. Che è stato condannato per omicidio e non per terrorismo. E che per questo non più tardi di un anno fa ha beneficiato di una riduzione di pena di tre anni, in virtù di un indulto che si è applicato anche agli assassini. Ma a lui i fatti non bastano, ha bisogno di fare la filosofia della storia - l'uomo giusto è per Gentile e per Fanciullacci. Che è esile, e per gli accusati nociva. È il procedimento – allora faceva la filosofia del diritto – per cui non eccelsi giudici italiani sono riusciti a condannarlo a ventidue anni senza prove. Gli “stessi” che nel 1969-1972 ebbero l’incarico di addebitare le bombe agli anarchici e lo assolsero (il giudice Gerardo D'Ambrosio, buon comunista, ancora nel 1974 non chiama Pinelli col suo nome, lo chiama sempre solo “l’anarchico”.
Se c’è terrorismo a Milano e altrove negli anni 1969-72, questo è delle bombe. Delle quali la questura di Milano incolpò gli anarchici, che non le avevano messe. Di questo convinse il ministero dell’Interno a Roma. Che a sua volta trasmise la verità agli altri apparati giudiziari. Questa è una delle verità. L’altra è che la colpa degli anarchici è stata elaborata a Roma, e trasmessa a Milano e altrove. Non ci sono altre verità. E le bombe esplose furono in quegli anni centinaia, forse un migliaio - con quelle inesplose, per inavvertenza o perché fatte ritrovare, furono il doppio.
Sullo stesso “Corriere” lo storico Sabbatucci ha affermato il giorno prima che la posizione di Sofri (l’assassinio di Calabresi non fu terrorismo) non è difendibile, perché allora sarebbe tornare al terrorismo di Stato e alla strage di Stato. Espressioni usate “impropriamente”, dice: “E chi sarebbe , una buona volta, l’uomo nero, o almeno gli uomini neri”? Ma non ce lo deve dire lui? Nessun tribunale ha mai trovato il colpevole, dice Sabbatucci, a parte i soliti stracci… Come sempre, la storia è evidente.
L'Espresso-Repubblica non si vende, non ora
Carlo De Benedetti amministratore di “Repubblica” significa stringere le redini per meglio far ripartire la carrozza. In casa Cofide non si fa mistero dei motivi per cui l’Ingegnere ha voluto alla sua età gravarsi della gestione del gruppo editoriale. Smaltiti i convenevoli, con i direttori dei giornali e le redazioni, vuole tentare di raddrizzare i conti del settore in pochi mesi, già per i conti 2009.
L’Espresso-Repubblica ha i problemi che hanno tutti i gruppi editoriali: vendite in calo e pubblicità stagnante. Ma De Benedetti ritiene che molto si possa incidere sui costi – il numero delle redazioni e gli addetti. Da qui l’allontanamento di Marco Benedetto, che si era detto indisponibile alla ristrutturazione. L’Ingegnere si è impegnato in prima persona, piuttosto che ricorrere a un manager esterno, magari esperto di ristrutturazioni, perché ritiene di avere abbastanza carisma per condurre in porto l’operazione indolore.
Il gruppo non è in vendita. La famiglia De Benedetti non intende rinunciare all’Espresso-Repubblica, per ragioni affettive, e anche perché il settore è ritenuto sempre promettente. “Il gruppo L’Espresso non si vende”, ha detto Rodolfo De Benedetti alla stessa “Repubblica”: “Sono in Cir da venti anni, amministratore delegato da quindici, non ho mai cullato questo progetto”. Ma l’editoria dovrà migliorare la redditività, che nell’ultimo triennio è solo effetto di window dressing.
È d’altra parte chiaro che l’impegno a non vendere è subordinato a un ritorno alla redditività. Lo scorporo dell’editoria dalla nuova Cir-Cofide e il suo accantonamento in una sorta di bad company vuole dire esattamente questo. Senza escludere un buon acquirente, con una buona offerta: lo scorporo vuole dire anche questo.
L’Espresso-Repubblica ha i problemi che hanno tutti i gruppi editoriali: vendite in calo e pubblicità stagnante. Ma De Benedetti ritiene che molto si possa incidere sui costi – il numero delle redazioni e gli addetti. Da qui l’allontanamento di Marco Benedetto, che si era detto indisponibile alla ristrutturazione. L’Ingegnere si è impegnato in prima persona, piuttosto che ricorrere a un manager esterno, magari esperto di ristrutturazioni, perché ritiene di avere abbastanza carisma per condurre in porto l’operazione indolore.
Il gruppo non è in vendita. La famiglia De Benedetti non intende rinunciare all’Espresso-Repubblica, per ragioni affettive, e anche perché il settore è ritenuto sempre promettente. “Il gruppo L’Espresso non si vende”, ha detto Rodolfo De Benedetti alla stessa “Repubblica”: “Sono in Cir da venti anni, amministratore delegato da quindici, non ho mai cullato questo progetto”. Ma l’editoria dovrà migliorare la redditività, che nell’ultimo triennio è solo effetto di window dressing.
È d’altra parte chiaro che l’impegno a non vendere è subordinato a un ritorno alla redditività. Lo scorporo dell’editoria dalla nuova Cir-Cofide e il suo accantonamento in una sorta di bad company vuole dire esattamente questo. Senza escludere un buon acquirente, con una buona offerta: lo scorporo vuole dire anche questo.
Lehman e Alitalia tra insolenza e ignoranza
Stupefacente la sottovalutazione del fallimento della Lehman Brothers, nei telegiornali e nei migliori giornali. I tardi tg della Rai lo citano appena domenica sera, qualcuno, dopo una lunga serie di delitti e incidenti. I giornali di lunedì ne parlano in breve. Può darsi che nelle redazioni dopo le otto non ci siano più specialisti di economia. Ma il fallimento di una banca non dovrebbe aver bisogno di uno specialista per essere decrittato. Non è tanto disavvertenza o incuria, è proprio il rifiuto dell’economia, del fatto reale.
Stupefacente è pure, sempre domenica sera e lunedì, la montatura che i telegiornali e i giornali fanno dell’Alitalia. Delle proteste, dei rifiuti, delle minacce di sciopero. Quando la notizia è semmai che nessuno in Alitalia si arrischia a uno sciopero, che oggi si fa per un caffè negato. Si lascia intendere, si dice, si auspica, che il fallimento della trattativa e dell’azienda sarà una dramma nazionale, porterà l’Italia in piazza, abbatterà il governo… Stupefacente è che la sinistra faccia propria la causa di un’azienda fallita soprattutto per la cattiva gestione, sia del management che del personale. Che comunque ne uscirà con tutti i paracadute, e solo si batte per mantenere i privilegi, dopo le migliaia di miliardi di denaro pubblico che si è intascati. Che la sinistra pensi che l’Alitalia sia popolare, un’azienda che tutti odiano, anche fra i ventimila dipendenti. Che si salva, e va salvata, contro se stessa.
Stupefacente è pure, sempre domenica sera e lunedì, la montatura che i telegiornali e i giornali fanno dell’Alitalia. Delle proteste, dei rifiuti, delle minacce di sciopero. Quando la notizia è semmai che nessuno in Alitalia si arrischia a uno sciopero, che oggi si fa per un caffè negato. Si lascia intendere, si dice, si auspica, che il fallimento della trattativa e dell’azienda sarà una dramma nazionale, porterà l’Italia in piazza, abbatterà il governo… Stupefacente è che la sinistra faccia propria la causa di un’azienda fallita soprattutto per la cattiva gestione, sia del management che del personale. Che comunque ne uscirà con tutti i paracadute, e solo si batte per mantenere i privilegi, dopo le migliaia di miliardi di denaro pubblico che si è intascati. Che la sinistra pensi che l’Alitalia sia popolare, un’azienda che tutti odiano, anche fra i ventimila dipendenti. Che si salva, e va salvata, contro se stessa.