Il ricordo dell’infanzia, tra lo Jonio e l’Aspromonte
I racconti della terra, o della nostalgia - anche se della terra inominabile. Tutti in un modo o nell’altro vivi dopo ottant’anni. San Luca, la montagna e lo Jonio sono esplorati in dettaglio e con precisione, gli anfratti della natura, i linguaggi segreti dei bambini, il carattere molteplicemente forte delle donne, la distanza (l’estraneità) del potere, l’umore sempre tagliente, anche nella balordaggine. “Sebbene io non ricordi quasi più le passioni della mia terra, me n’è rimasta una solidarietà carnale”, dichiara Alvaro d’acchito nel celebre racconto “Ritratto di Melusina”, il primo della raccolta.
Tutto è ripassato nella nostalgia, anche i vecchi nemici. Il barone S.(Strangio), che vive solo, cinquantenne, fuori del paese, è agli occhi di una gentildonna inglese sua ospite “un bell’uomo, con quell’aria che anno di solito quelli della sua regione, di chi avesse trovato la verità e nulla più al mondo lo interessasse e lo dovesse scuotere”, e “amabile, della gentilezza nativa di chi vive tra gli elementi”. Solitario ma non solo, arguisce la nobildonna allargando la visuale: “Questo era il Sud, turchino e stupito nel sole, vestito di scuro, calcinato dal vento, coi lunghi sguardi senza stupore della gente silenziosa, e con le voci gutturali della gente solitaria”. C’è uno stupore di troppo, lo scrittore andava di fretta, ma per vantare un’identificazione superba con la terra d’origine. Tanto più rimarchevole nel letterato più cosmopolita e miglior conoscitore del mondo negli anni 1920 e 1930. Alvaro, prima di oggettivarla in “Gente in Aspromonte” (all’insegna del terribilismo, malgrado il lirismo manzoniano dell’incipit), s’identifica nella Calabria, tra l’Aspromonte e lo Jonio, dov’è nato, vi vuole trovare radici, è la sua unica realtà, dopo una serie di trapianti ovunque in Italia e in Europa.
Tutto si rilegge con interesse. Omessa un’aggettivazione incongrua del meridione e del meridionale. Sono “meridionali” la sera, il volto, il silenzio. Ci sono santi “piccoli come meridionali”, l’“aria secca del paese meridionale”, perfino “una sofferenza di razza” in un ragazzo, per le rughe emergenti tra le narici e la bocca. E un “malessere della sera meridionale, così tarda a finire”. Al Sud la sera finisce prima - in estate, ma è in estate che la sera “non finisce”. E con almeno una sorpresa: “L’amata alla finestra”, il gruppo di racconti che dà il titolo alla raccolta, declina l’amore con un netto impianto proustiano. A tratti potrebbe essere un calco. Così pure altri racconti, per quanto concerne l’uso della memoria.
È l’aspetto di Alvaro meno studiato, quindi sorprendente, ma che meglio ne configura la personalità: la vivacità intellettuale, la conoscenza diretta e l’estrema curiosità per tutto ciò che innova l’Europa e il mondo nei due decenni della sua maturità. Di Proust Alvaro è stato il primo traduttore in italiano, nel 1921. Anche se a uso privato, la sua stima dell’autore della memoria non fece breccia nell’editoria e nella critica. Amico a Parigi e poi e corrispondente di Benjamin Crémieux, il primo proustiano, e di Nino Frank, il joyciano. Ricorrono qui anche “una rosa è una rosa” e il “presente prolungato”, o “presente assoluto”, con cui Gertrude Stein innovava negli anni 1910 e 1920 l’arte del racconto, seppure per una ristretta cerchia a Parigi.
Corrado Alvaro, L’amata alla finestra, 1929
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