sabato 10 gennaio 2009

Che ne sarà di Calciopoli a Napoli? Niente

Non partirà il 20 il più volte rinviato processo di Napoli alla Juventus e al calcio, escluse le milanesi (a Meani, consigliere del Milan, non si contesta il decennio di pranzi con Collina). Gli accusatori non hanno carte nuove in mano, dopo le intercettazioni. Né “La Gazzetta dello sport”, né “L’Espresso” e il “Mattino” hanno da tempo più carte. E precedenti ormai famosi indeboliscono le intercettazioni, da Necci a Saccà, una volta smaltito lo sghignazzo. Su quelle di Moggi si sa già che sono selettive, mancano molte telefonate degli uni con gli altri, e anche parti delle stesse telefonate. Ma, soprattutto, ci sono dubbi sulla condanna che si dava per scontata da parte dei giudici di Napoli: la riforma della Costituzione è ormai certa, che separerà le procure dai tribunali, e i giudici si riposizionano. Nessuno si vuole sacrificare per la Procura. Tanto più che il corpo dei procuratori della Repubblica non gode più a Napoli buona salute, rispetto allo strapotere di qualche anno fa, quando liquidò Cordova, il Procuratore capo che voleva farli lavorare.
Aria nuova in Procura
Il rinvio del 20 sarà addebitato alla difficoltà di formare il collegio giudicante. Che non è una scusa, è anzi, per il momento, l’unica verità del processo. In particolare a Napoli, che da vent’anni a questa parte è la capitale della giustizia italiana, a Napoli e a Milano, Torino, Roma, Potenza, Catanzaro, il cambiamento d’aria politica è sensibile. In città dopo trent’anni, e anche a Roma, aspettando la riforma. Calciopoli è un processo indigesto: non ci sono prove, non c'è corruzione, l'associazione a delinquere è vaga, la decisione rimane tutta sul roppone dei giudici. Il rito abbreviato richiesto da alcuni accusati impone peraltro una sentenza in poche settimane. E nessun giudice vuole esporsi, né con una condanna né con una assoluzione. La riforma aprirà, cosa che i giornali trascurano ma non i magistrati, molte nuove carriere per la magistratura giudicante, nella stessa città di Napoli, e a Roma, al Csm e in Cassazione.
C'è del resto aria nuova a Napoli pure in Procura. Compresa la Procura antimafia, che, operando come si sa in territorio neutro, una specie di Svizzera dell’Italia, le sue energie maggiori ha dedicato al calcio degli altri – non c’è niente del Napoli, squadra anch’essa pulitissima, come l’ambiente, nelle insistite indagini napoletane. La Procura sta recuperando a destra con la decimazione della giunta Jervolino. Ma non ha fugato le ombre accumulate con l’inerzia negli anni della spazzatura, quando solo colpì la Protezione Civile. Il Procuratore Beatrice, stratega mediatico delle intercettazioni dei carabinieri, si sta peraltro godendo “Gomorra”, di cui è il vero autore, in un certo senso appagato, in una col capo Narducci. Mentre tra i carabinieri gli autori dell’inchiesta e gli sceneggiatori degli interrogatori nel proscenio di via In Selci a Roma non hanno avuto le promozioni che da due anni si attendono - non quelle folgoranti di merito, solo qualche avanzamento di anzianità.
I due “Libro nero del calcio”, oltre duemila cartelle sul “coinvolgimento nel sistema Moggi di governo, carabinieri, polizia e guardia di finanza”, che hanno arricchito “L’Espresso” a maggio del 2006, non sono piaciuti all’Arma. Soprattutto per l’ironica avvertenza che le annunciava: “È necessario ribadire con chiarezza che le conclusioni formulate dai carabinieri sulla rilevanza penale dei comportamenti segnalati in questi documenti dovrà essere sottoposta (? dovranno essere sottoposte?) a un doppio vaglio”, della Procura antimafia e dei giudici. L’italiano è quello approssimato di “Gomorra”, quindi di ottima fonte, ma l’Arma evidentemente non si fida.
Surplace a Milano
Non è tutto. Presto potrebbe lasciare Gussoni, e forse anche Collina, i designatori degli arbitri. Non perché sono troppo interisti, ma perché non c’è più armonia nella Lega Calcio post-Calciopoli, dichiaratemente Milan-Interista. Guido Rossi ha irritato Berlusconi, in politica e inpiù di un affare, i giornali milanesi lo sanno e sono divisi, e tutto quello che l’avvocato ha fatto potrebbe venire in questione – che è molto: Guido Rossi non è un Carlo Colombo qualsiasi, è un nome vero, esiste, era consigliere dell’Inter, s’è impadronito della Federcalcio e ha rovinato la Juventus e la Fiorentina. Napoli, dove tutto in teoria si è fatto, ha naso sensibilissimo su chi comanda.
Ieri, in altra epoca, i giudici avrebbero pure marciato, ma oggi suonano strampalate come prove in tribunale le formazioni e le cronache giornalistiche delle partite, di cui i carabineri hanno farcito i Libri Neri. Una sola cronaca a partita scelta tra le tante, quella che criticava la Juventus. O il juventinismo dell’arbitro De Santis, quello col quale la Juventus non ha mai vinto, che le intercettazioni mostrano all’orecchio del Milan. O il rapporto di Moggi con Lapo Elkann. O le denunce, non controllate, di dirigenti sportivi e procuratori inaffidabili, pentiti ex post. Accuse problematiche anche per dei giudici napoletani, della scuola cioè che fa il diritto. Gli umori divisi a Milano e la riforma della giustizia mettono in surplace il processo di Calciopoli.

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