venerdì 16 gennaio 2009

Contro Draghi la riforma della Banca d'Italia

Rispetto ai fasti di ancora tre-quattro anni fa, la Banca d’Italia sembra una piazzaforte abbandonata. Tanto più desolata quanto è immensa, in una scenografia materiale da vecchio splendore. E piccina: immersa in una fronda costante al governo. Per nessun motivo, se non le ambizioni dei suoi governatori. Quella di Fazio, da destra, ha perduto il governatore. Ora da sinistra ci riprova Draghi: non c’è settimana che il governatore non si produca in una qualche puntura di spillo al governo. L’annuncio ogni mese che il debito è peggiorato, anche se non può essere altrimenti. L’insufficienza delle misure per contrastare la crisi. Le previsioni sempre negative. Ora sulla produzione e sul pil complessivo.
Il governo dal canto suo ha escluso Draghi da ogni ruolo nel pacchetto di stabilizzazione delle banche. E le previsioni economiche di Draghi Tremonti liquida come “congetture”. Ma sa che non sono asettiche, poiché incidono sulle aspettative. Ponendosi diametralmente all’opposto della politica della fiducia di Berlusconi. Dovrà quindi inventarsi qualcosa per smentire il catastrofismo della Banca d’Italia, in un certo senso la contesa è appassionante.
Ma è anche vero che si discute solo per ambizioni personali. E che la Banca d’Italia, dopo la Bce, l’incriminazione di Fazio e la riforma del sistema di nomina, non è più che una delle tante Authority. È una gara sbagliata, quella col governo, che la Banca perderà sicuramente, sacrificandosi per fare una piattaforma politica a Draghi. Il disegno di lasciare alla Banca solo la Vigilanza, facendola pagare alle banche vigilate, e di liquidare il resto (tesoreria, studi) e sempre lì, e non irragionevole: che bisogno c’è di pagare un organismo così costoso?

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