Ottima cura di Francesco M. Cataluccio, con introduzione e note brevi e esaurienti, non ci sono in libreria molti testi così curati. Ma per una “singolare opera”, dice lo stesso Cataluccio, e irrimediabilmente datata, buona per i cultori della materia, il Novecento in Polonia. Anche se è piuttosto letteratura parigina scritta, in polacco, a Buenos Aires. Con gli umori acidi, a volta a volta, contro Parigi, Beethoven, la stessa Polonia, Borges. Con l’insistenza nota sul Dolore, che però è anche il dolore, si scopre negli appunti di questi anni, per il mancato premio internazionale degli Editori (peraltro ottenuto successivamente). Sull’annotazione “più intelligente, più stupido” il curatore dice che “si gioca il principale problema del nostro tempo, che domina tutto l’episteme occidentale”, e questo è tutto, qualsiasi cosa voglia dire. Un’esumazione certo indolore, e forse inutile.
La parte più interessante, “Diario Parigi-Berlino”, era stata già pubblicata, dallo stesso Cataluccio, con identica cura, nel 1985. Come peraltro il diario nel suo insieme, anche se privilegiando altri anni, dal 1953 al 1961, pubblicato in due parti nel 1970 e nel 1972 dallo stesso editore, per la cura di Riccardo Landau. La parte “Sur Dante”, estrapolata nel 1968 da l’Age de l’Homme, e subito tradotta, che all’epoca fece scandalo, sa oggi di adolescenziale. Ungaretti protestò, ricorda Cataluccio, con una veemente lettera a Dominique de Roux, che collazionava testi per uno dei volumoni dei Cahiers de l’Herne dedicato a Gombrowicz. E si esprimeva, possiamo aggiungere, in questi termini: “ll libro su Dante del polacco è pura cretineria. È assurdo aver pubblicato una cosa simile. Ho fatto a pezzi e ho gettato al diavolo questo scritto stupido, stupido come nessun altro”. Ma Gombrowicz non era stato da meno, per il quale la Commedia era “opera sempliciotta, scadente, noiosa, fiacca”. Tutto, certo, si può dire.
Lo slavista Marinelli fa l’ipotesi, nel saggio “Riaggiustamento o legittimazione? Canone “europeo” e letterature “minori””, che Gombrowicz, polacco in esilio, dunque doppiamente polacco secondo i suoi editori, in realtà sia antidantista per essere antinazionalista: “Gombrowicz scrittore, finissimo letterato e intellettuale di grandi idee e grandi passioni, è ben lontano da qualsivoglia sciovinismo e provincialismo, e infatti mette in opera un'inaudita strategia di demolizione anche e soprattutto nei confronti del canone “nazionale” e – tacciandolo di ”Omero di seconda categoria” e “scrittore secondario di prim'ordine” – proprio nei confronti di quell'Henryk Sienkiewicz che non a caso, anche in favore di una certa “polonità”, nel 1905 aveva avuto il premio Nobel per il romanzo Quo vadis?. La posizione anarchica e integralmente anticanonica di Gombrowicz nasce ovviamente da tutta la sua costruzione concettuale su quella che lo scrittore polacco chiama la “Forma””.
Ma, poi, il Dante di Gombrowicz è solo un’interrogazione, ginnasiale: “O, Divina Commedia, cosa sei dunque?Opera maldestra del piccolo Dante?Immensa opera del grande Dante?Opera mostruosa del perfido Dante?Recitazione retorica del bugiardo Dante?Vuoto rituale dell'epoca dantesca?Fuoco d'artificio? Fuoco vero?Irrealtà?O forse l'intreccio difficile e complesso tra la realtà e l'irrealtà?Spiegaci, o Pellegrino, come dobbiamo fare per giungere a te?” E si risponde con un’altra domanda, seppure non in forma interrogativa: “Nella nostra convivenza con i morti l'unico elemento anormale è che essa sia così normale. Diciamo: visse, morì, scrisse “La Divina Commedia”, e ora me la leggo io”. Le sfide all’epoca che Gombrowicz pone, poneva, sono piuttosto nell’umore: le cose che dice si applicano a se stesso. C’è da interrogarsi sull’utilità dei diari letterari. Ma non della funzione, proprio dell’utilità pratica.
Witold Gombrowicz, Diario (1959-1969), Feltrinelli, pp. 448, € 35
martedì 27 gennaio 2009
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