Il presidente della Camera Fini scrive al “Corriere della sera” un concentrato di nulla, sebbene lungo mezza pagina. Non è una novità, ma la missiva è esemplare del linguaggio politico, un documento storico. Vediamola. Scritta “senza alcuna pretesa di organicità”, chiede subito “un ampio confronto parlamentare tra le forze politiche”, e mette agli atti: “una realtà non più tollerabile”, “un crescente sentimento di sfiducia nei confronti della giustizia”, “le fondamenta della nostra democrazia” minate, “la stella polare della riforma”, e “risorse finanziarie adeguate”. Non: ci sono giudici cialtroni e altri che si fanno il mazzo, ma quelli sono protetti dal Csm, sentina di tutti i vizi, un vero organo, seppure costituzionale. No, un politico deve dire quello che ci si aspetta che lui dica. Per il “ci” intendendosi il nulla.
Nella sua nuova veste di statista, da ex missino Fini pare che voglia imitare Andreotti, ma Andreotti non era banale, ed era anzi un uomo politico senza mezze misure, uno con la ghigliottina. Il programma di Fini è invece quello del conte zio manzoniano, che tutto vuole troncare e sopire. Un programma, incidentalmente, su cui Veltroni si è dichiarato subito d'accordo, prima ancora di averne finito la lettura, e anche questo è importante, è un documento per la storia. Anche perché con esso Fini si pone al centro, pure lui, e la cosa non è da disprezzare, per uno che viene dal neo fascismo. Si assottiglia, come direbbe il toscano, come la sogliola, per confondersi, o come la biscia, per passare meglio. Sarebbe maturo per l'Udc, se non fosse che il posto è saldamente presidiato. E allora perché non il Pd, le parole vuote gli assicurerebbero primarie trionfali... Ma proseguiamo.
Fini è, ci mancherebbe, per “il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale”, che c’è da diecimila anni o più, da quand’è che l’uomo è sapiente. E per “l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge”, nientedimeno. Nonché contro “le nefaste logiche correntizie”. Mentre le intercettazioni “sono e devono restare uno strumento indispensabile di ricerca della prova dei reati”, e chi dice di no? Ma non ci vuole, lo giurereste, “la gogna mediatica”.
Il presidente della Camera dissente dalla riforma che il governo sta preparando, ma il suo dissenso mette tra parentesi “(ipotesi cui non credo)”. Lui vuole una riforma “per un periodo limitato”. Una riforma, dunque, per un periodo limitato, detto da un presidente della Camera. Uno che vuol’essere prudente, non si sa mai, i giudici bisogna temerli. O vuole piacere a tutti, giusto la lezione del primo Veltroni, il buono. Dovrebbe dire: io esisto perché esistono i giudici cialtroni, prima di loro ero un semplice capo dell’ex Msi. Ma questo non si può pretenderlo. Si potrebbe in subordine pretendere che parli in modo diretto, chiaro cioè e franco. Ma forse non avrebbe molto da dire. Si dice di Fini che studia da Andreotti, ma Andreotti, seppure cauto, era un fuoco d’artificio, un politico perfino violento di fronte a tanta voglia di appiattimento. Se mai Fini, il giovanotto famoso per essere stato sdoganato da Berlusconi all’inaugurazione di un ipermercato, ha mai avuto spessore.
sabato 10 gennaio 2009
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