mercoledì 28 gennaio 2009

L'opinione pubblica in epoca plebiscitaria (1)

(Il testo che segue, sulla sostituzione della “tecnica” alla “politica” in regime plebiscitario, si leggeva nel 1932, al § 74, di “Der Arbeiter” di Ernst Jünger)

Bisogna rifarsi qui al modo in cui i Parlamenti cessano di essere organi del concetto borghese di libertà e istituti di formazione dell’opinione, per convertirsi in unità di lavoro. Conversione il cui senso equivale a trasformare degli organi sociali in organi esecutivi. Bisogna qui rifarsi alla padronanza della tecnica del plebiscito che si compie in uno spazio in cui non soltanto il concetto di popolo ma anche le alternative emerse in argomento hanno rivestito un carattere molto equivoco. Bisogna inoltre rifarsi alla sostituzione del dibattito sociale e politico con l’argomento tecnico, che corrisponde alla sostituzione del ceto politico con gli esperti. In questo contesto si situa anche il prosciugamento della palude della libertà di opinione che è oggi la stampa liberale. Qui, ancora una volta, bisogna riconoscere che le tecniche sono molto più importanti dei singoli che producono l’opinione all’interno delle tecniche stesse. La macchina, il cui funzionamento assorbe a elevata andatura questa opinione, è infinitamente più pulita, la precisione e la rapidità con le quali non importa che giornale di partito giunge ai suoi lettori sono infinitamente più significative di tutte le differenza di partito immaginabili. È una potenza, ma una potenza di cui l’individuo borghese non sa più servirsi, e che utilizza, per difetto di legittimazione, come un perpetuum mobile della libera opinione.
Si comincia infine a vedere che un’umanità molto uniforme è qui all’opera e che il fenomeno degli scontri di opinione deve connotarsi come uno spettacolo che l’individuo borghese rappresenta ripartendo i ruoli. Tutte persone radicali, cioè noiose, il cui tipo comune d’alimentazione consiste senza eccezioni nel monetizzare i fatti in opinioni. Il loro stile comune si definisce come un entusiasmo ingenuo scatenato da non importa che punto di vista, non importa quale prospettiva, di cui essi abbiano l’esclusiva – e dunque come il sentimento di un vissuto unico nella sua forma più svalutata.
Quello che abbiamo detto del teatro vale anche per i giornali; diventa sempre più difficile distinguerne gli elementi, che siano i commenti e gli annunci, la critica e le notizie, la parte politica e lo svago. Qui tutto si vuole individuale al massimo e destinato al massimo all’uso della massa.
L’indipendenza cui si appella la stampa presenta ovunque la stessa natura, ovunque s’incontri quella rivendicazione. Consiste nell’indipendenza dell’individuo borghese nei confronti dello Stato: la formula secondo cui la stampa costituisce un nuovo grande potere appartiene al vocabolario dell’Ottocento. Correlativamente, si vedono sorgere grandi affaires in cui il giornalista trascina lo Stato alla sbarra della ragione e della virtù, e dunque, in ogni affaire, alla sbarra della verità e della giustizia. Assistiamo anche qui a un’offensiva sottile che prende una forma difensiva, e lo Stato liberale, che non è che un’apparenza, soccombe con tanta più certezza a questa offensiva in quanto essa si svolge al tribunale dei suoi principi fondamentali. Il quadro non sarebbe completo se non si vedesse simultaneamente la relazione che esiste tra la libertà di opinione e l’interesse. Si conoscono perfettamente i legami tra questo genere d’indipendenza e la corruzione. Che, spinta a conseguenze estreme, non disdegna sussidi estranei, intellettuali e finanziari.
(continua)

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