Il candidato più improbabile, eletto con voto minoritario, è il presidente degli Stati uniti che esordisce con più entusiasmo e più speranze, e questo potrebbe aiutare alcune soluzioni. La realtà è difficile, il peggio della crisi non è passato e le guerre aperte sono quasi perdute. In Afghanistan e in Iraq, con contorno di Iran, Pakistan, Palestina e terrorismo islamico. Ma, come il neo presidente ha detto, l’America ha conosciuto momenti più difficili: alle crisi bisogna solo dare soluzioni. Nel suo caso l'ottimismo potrebbe pagare. E in un ceto senso anche l'inevitabile multiculturalismo.
Il peggio della crisi sono i derivati in agguato, la montagna di operazioni che potrebbero tradursi in debito insostenibile. L’outsider Obama è il presidente migliore per un taglio netto col mondo opaco della finanza (la bad bank di Tremonti). Ma potrebbe farcela entro l’anno. Il crollo di Wall Street il giorno del suo insediamento è beneaugurate. Obama sarà sicuramente il presidente che sconfigge la crisi, poiché ha quattro anni davanti a sé.
In Iraq la pacificazione è ancora possibile, alla sola condizione che ci sia una iniziativa politica. Per la quale non mancano a Obama forti alleati, l’Arabia Saudita e l’Egitto. Ma la chiave più importante dovrebbe essere la Palestina, dove la pace attesa da sessanta anni è solo tardiva. Obama porterà Israele a un negoziato serio di pace: non può evitarlo dopo la guerra di Gaza, e dopo le elezioni potrebbe volerlo lo stesso governo israeliano. Un accordo in Palestina disinnescherebbe molti veleni. L’oltranzismo in Iran e Pakistan ne uscirebbe fortemente ridimensionato.
Obama potrebbe soprattutto, a differenza di Bush, uscire dalla logica errata e improduttiva della geopolitica. E questo proprio in virtù del multiculturalismo che inevitabilmente ne caratterizzrà la presidenza, e di indeblimento del ruolo relativo degli Stati Uniti ("non c'è nessun centro"). Non c’è nessuna ragione, per l’America e per l’Occidente, per controllare direttamente l’Arco della Crisi, da Beirut a Islamabad. Il petrolio non ha nessun valore se non è esportato, e così il gas. Il ruolo marginalissimo dei paesi produttori nel mercato del petrolio degli anni di Bush ne è conferma. Ci sono tre Asie, e questa la meno importante per l’economia globale.
martedì 20 gennaio 2009
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