Il boia a Udine è all’opera, mentre il capo dello Stato si dichiara obiettore contro un decreto del governo che vorrebbe fermarlo, e il governo lo sfida. Se la prossima settimana, per ipotesi, il Parlamento votasse la legge del governo, il presidente obiettore dovrebbe dimettersi. Non sarà così, nessuno si dimette mai in Italia. Ma dalla lutulenta storia gotica di tutti morti che è diventata la vicenda Englaro, gli ultimi lacerti della prima Repubblica usciranno necrotizzati – anche se la Repubblica è passata indenne a molte esecuzioni di massa, ancora di recente con Scalfaro.
Quella di Udine è un’esecuzione capitale, sia pure a opera di un padre nei confronti di sua figlia, e su ordine dei giudici. La sentenza della Cassazione che decreta la morte di Eluana è ideologica e illegale, basandosi su un atto di volontà che starebbe nello “stile di vita” di una ragazza a diciotto anni - cos’è uno “stile di vita”? di solito è una vita “eccessiva”, fino all’uso dell’ecstasy per ballare in discoteca. Non è peraltro una vera sentenza, essendo il caso di volontaria giurisdizione, una sorta di arbitrato, ma i giudici superbi la fanno valere come tale. E Englaro avrebbe potuto, come tutti, risolvere il caso secondo il decorso naturale della vita, ma ha voluto farne un caso esemplare e un precedente giuridico. Berlusconi lo sa, la legge non consente condanne capitali, e su questo dà battaglia aperta.
Ma l’aspetto giuridico non è prevalente, anche se caratterizzerà il duello con le solite estenuanti diatribe. Del resto, non ci sono giudici in Italia ma cordate di potere, più faziose e determinate anzi di altri gruppi di potere.
Il presidente con i suoi nemici
Berlusconi punta sul disagio reale per questa vicenda, in cui un padre si ostina con le carte bollate e col pregiudizio ideologico a dare la morte a una figlia, e che domani vedrà tanti figli dare la morte ai padri e ai nonni, compassionevolmente certo. Per dare una spallata all’ultimo architrave della Repubblica, il potere esecutivo frazionato e di fatto bloccato. Benché si mostri agitato, è anzi insolitamente calcolato. Il plebiscito elettorale con cui minaccia il capo dello Stato è proceduralmente confuso, ma compatterà nel voto in settimana come niente altro i becchini di casa, compresi quelli ai quali la vicenda pone un reale caso di coscienza - Bossi non rischierà il successo inatteso di otto mesi fa, gli uomini di Fini non sanno quanto durano.
Il presidente della Repubblica si pone a difensore della Costituzione, dei poteri che la Costituzione gli dà, per obiettare in favore del boia di Udine. È una decisione che lui riterrà, caratteristicamente, doverosa ma tre volte paradossale. La sua comprensibile propensione personale per la “buona morte” lo trasforma di fatto in portabandiera del veterocomunismo che ha sempre aborrito, e del partito dei giudici che lo aborre. Per non dire dell'anticlericalismo,
che è il motore vero, non compassionato, della storia Englaro, con i suoi poteri oscuri che in realtà sono palesi se non dichiarati, duri ma non segreti. Napolitano, inoltre, si batte in difesa di un’ingovernabilità su cui da presidente della Camera e cultore della materia ha più volte avuto da ridire. Con l’esito inevitabile di un potere esecutivo finalmente unico, ma senza i necessari contrappesi parlamentari.
Duello di vivi morti
Con i duellanti già in campo è difficile dire chi prevarrà, o anche fare il tifo. Sarà una scena lunga e quindi poco interessante, come tutte quelle tra i vivi morti. E c’è altro di cui occuparsi, con la crisi: della sopravvivenza ora e non del testamento biologico dei nonni o le zie – l’eutanasia è questione di popoli satolli, il grasso ha bisogno di stimoli sempre più trasgressivi. Ma ci sarà alla fine un solo potere esecutivo. Forse non in settimana, come vorrebbe Berlusconi, ci vorrà qualche mese. Un potere esecutivo unico che potrà essere a Palazzo Chigi oppure al Quirinale, ma arriverà senza i necessari contrappesi in Parlamento.
L’esito certo è infatti che giunge a compimento la deriva plebiscitaria, o all’americana, del sistema politico, col “partito del presidente”. Ma senza le guarentigie fermamente fissate dalla costituzione americana per il contropotere parlamentare, e con una giustizia politica.
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